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Bisogna che il Re dimostri di essere amico della Chiesa. Per trovare i soldi, gli propongono di
invadere la Francia, dato che, come gli dicono loro, è il legittimo proprietario. Enrico 5° all’inizio
non prometteva molto: da giovane viveva con una compagnia di pochi di buono (Falstaff), risse,
furti, piccoli crimini. Faceva parte di una piccola gang di delinquenti. Ma è un re cambiato
radicalmente. Sembra che con il padre sia morto anche il figlio disgraziato, è passato alla età della
ragione. L’Adamo peccatore è stato cacciato da un angelo. Era posseduto. No, come ci dirà lui
stesso, ha studiato tutto a tavolino. “Mai tanto d’improvviso nacque un dotto”. Torna il linguaggio
teologico e l’immagine dell’acqua. Insomma, sembra un miracolo, ma non lo è. Enrico è uno
straordinario oratore, e quando parla di teologia sembra che sappia benissimo di cosa parla, come
anche, ovviamente, quando parla di stato, e così anche per la guerra (i suoi discorsi diventeranno
‘musica’). E’ un grande incantatore, come il pifferaio magico, ma non a tutto tondo, è soprattutto un
grande nella voce, se ci si riesce a distrarre dal suono della sua voce si vede che qualcosa non
torna. Sono le orecchie il miglior amico di Enrico. L’arte e la pratica della vita sono maestre della
teoria: evidentemente la vita gli ha insegnato qualcosa, tra un scazzottata e l’altra ha imparato a
vivere. Nelle parole dell’arcivescovo, Enrico è il personaggio opposto di Amleto: si è immerso nella
marmaglia. Il vescovo dice: comincia a portarci verso la direzione giusta, ha nascosto, sotto il velo
della dissolutezza, la sua vera natura. L’altro gli dà ragione, “dato che i miracoli sono finti” (detto
dal Vescovo). Enrico è un camaleonte e noi non scopriremo chi è, perché è sempre travestito, ha
sempre una maschera, persino in amore. C’è la benedizione verso il re, ma il trono è detto ‘sacro’,
quindi viene sottolineata la dipendenza della Chiesa, e, inoltre, si usa la parola ‘ornamento’, come
a dire: ti possiamo sostituire. Il re chiede loro un parere giuridico sulla legge salica, che regolava la
legge ereditaria: a seconda del fatto che il trono del regno di Francia possa passare per via
femminile (in tal caso Enrico 5° avrebbe diritto al trono). Enrico sa bene perché sono venuti da lui,
e, dato che è sveglio, dice di non ingannarlo.
Vediamo qualche pagina dell’Enrico 4° per vedere i precedenti: è un dramma storico che
Shakespeare ha deciso di dividere in due.
5.2. Enrico non è ancora re, è un giovane principe. Si crea gruppo di giovani scapestrati (p907).
Enrico sa bene chi sono, li conosce, ma per un po’ vuole assecondare lo sfrenato umore dei loro
desideri. Sa che in realtà sono dei nessuno, e non ha alcuna intenzione di aiutarli. Lui vuole
“imitare il sole”, non essere il sole come i re della vecchia concezione del potere, ma imitarlo. Fa la
parte del bullo di quartiere, come il sole a volte si fa coprire dal sole. Gli servono da paravento, è
un trucco scenico, così che si faccia desiderare. Bisogna farsi desiderare per poi suscitare
ammirazione ancora maggiore. Le eccezioni colpiscono di più, le cose ripetitive vengono a noi,
anche se sono belle. Infatti nell’Enrico 5° vediamo lo stupore nei vertici della chiesa. Una delle
armi di Enrico è saper dosare la propria immagine. Enrico ha imparato da suo padre che bisogna
sedurre la comunità. Ma ha trasformato il talento del padre in un arte. La politica deve essere
seducente, se si rinuncia all’unzione divina. Quando sembrerà convertirsi, il buio da cui viene
sembrerà far rilucere ancora di più l’oro della corona. Enrico ha ‘messo in scena’ l’età della
trasgressione, ma era un trucco. Sfrutterà l’effetto a sorpresa. Non è un eroe, senza macchia e
senza paura, ma è una persona fredda, calcolatrice. Ma è tutt’altro che un re ideale, è uno che
volta le spalle agli amici, anzi, li paragona agli strumenti. La prova più dura ce l’abbiamo nella II°
parte dell’Enrico 4°, nell’ultimissima scena. Muore Enrico 4°, e viene incoronato il figlio. Nella folla
ci sono gli amici di sempre, che oltre ad essere amici sono anche lestofanti, quindi sono pronti a
sfruttarlo (p1058). Urlano per farsi sentire, e quando Enrico 5° si gira, dice: “io non ti conosco
vecchio”. Dice di darsi alla preghiera. Poi dice che forse gli ricorda un sogno, ma che ora che è
desto quel sogno gli fa schifo. Il re modello, il Marte in terra, il nuovo Ulisse, in realtà è uno che
tradisce gli amici. E che li uccide. Falstaff, come tutte le persone tradite, rinnega il tradimento, anzi
poi muore “perché Enrico gli ha spezzato il cuore”.
17 mar.’14
Enrico V sa che per mostrare che si è Re “certi” non si può più appellarsi al diritto divino. Enrico è
uno straordinario attore: è un re “camaleontico”. Incarna perfettamente l’idea di regalità di tipo
ascendente. Non è una sovranità “moderna”, è una sovranità diversa ma è sempre medievale.
C’era anche nei regni romano-barbarici. Enrico V: quello che ha fatto da giovane era una messa in
scena per fare più stupore. Enrico IV EV2 44 molto preoccupato per l comportamento del figlio.
Metafora di giardinaggio. Il terreno, tanto più è fertile quanto più è infestato dalle male erbe. Il suo
consigliere gli dice che sta studiando i suoi tristi compagni. Quando sarà matura allora li
rinnegherà. Enrico V nei legami famigliari non è proprio ineccepibile. Enrico IV è malato, il futuro
Enrico V è al capezzale del padre. P.1041 Il dialogo è tra Enrico V e la corona. Il figlio sembra
provare tenerezza nei confronti del padre, che non riesce a dormire per le responsabilità. Scena
che colpisce per la velocità con cui il figlio supera il dolore per la morte del padre che, tra l’altro,
non è morto. Enrico IV muore poi veramente. Enrico V si esprime come se fosse un attore: “ il
mantello della regalità”, non la regalità. Si accinge a indossare il loro stesso costume e a portarlo
nel cuore. Rassicura i nobili e i giudici che l’hanno condannato dicendo che non è più ciò che era.
P.1051 Suo padre è morto da peccatore: si è portato nella tomba tutte le sue malefatte. Ora ha
assunto la sua gravità. Ha fiuto per deridere le attese del mondo. Quest’uomo è un grande
pianificatore, e la recita continua, perché l’Enrico V che vediamo è comunque un Enrico che finge.
D’altra parte questo è il prezzo da pagare per l’uscita di scena del Re divino. Ora il re deve fingere
e mentire. Enrico V si decide a rivendicare il suo diritto al trono di Francia. Enrico V 3.3 p1093
Deve fingere ancora: si dimostra peggiore di quello che è. Scena che ci ricorda la scena di
Angiers. La capacità bellica è uno dei requisiti fondamentali per mantenere la regalità. Sembra
pronto a tradire ogni regola di cavalleria. Forse il suo è solo un bluff. Si dimostra un bravo attore,
sa mostrarsi peggiore di quello che è. Poco dopo non sembra lo stesso comandante cattivo.
L’armata inglese è provata, soprattutto dalla fame. Gli inglesi non hanno subito perdite, tranne
Belstaff che sarà giustiziato per aver rubato in una chiesa. Il re lo conosce, perché era un suo
compagno di sventura. “Quando indulgenza e crudeltà si giocano un regno” a vincere è sempre
quello gentile dice il Re.
Atto IV. Atto epico, si racconta un’impresa incredibile, quella di un esercito ridotto allo stremo e in
svantaggio numerico che risulta l’esercito vincente. ‘Battaglia di Ajincourt’: il re cerca di dare
coraggio alla sua banda. Li chiama fratelli. E’ lo stesso linguaggio con cui il padre si rivolgeva agli
umili. Enrico sa essere anche il ‘sole’: si traveste da Re che scalda.
Enrico V 4.1 scena in cui Enrico V ci svela il suo modus vivendi: Enrico V si traveste: prima
incoraggia i suoi soldati, poi si ripresenta dai suoi soldati da ufficiale e va a vedere l’effetto che ha
fatto il calore che ha cercato di trasmettere. Uno dei soldati in cui si imbatte è Pistola, uno dei suoi
vecchi amici. Gioco di parole: chi va là? –Un amico. (Espressione militare, ma volutamente
ambigua). P.1109 Enrico ha un’ottima occasione per sondare il morale delle truppe. Non sarebbe
giusto che l’ufficiale parlasse col Re, dicendogli di tornare, perché il Re è “uno come lui”. Non ci
sono due parti della regalità, in ultima analisi c’è solo un uomo come gli altri. Leggere bene 1110-1
(sul tema della guerra giusta). Riesce a distrarli dal vero nocciolo della questione. Poi rimane da
solo e sembra se stesso p.1112 torna il tema che essere Re è soprattutto un peso.
20 mar.’14
P.1112 4.1 Dottrina dei due corpi del re: natura del re fragile e umana come le altre. Enrico di
maschere se ne intende. E’ adatto a smascherare gli altri. Torna sull’idea che tutto l’armamentario
rituale non protegga il Re (nemmeno dall’insonnia profonda).
P1113 il Re mostra paura e prega Dio. I francesi sono infinitamente più numeroso degli inglesi.
Egli ha una macchia che gli deriva dal padre e ha paura che Dio gliela faccia scontare. Chiede
allora a Dio di non vendicarsi proprio quel giorno, di prendersi una pausa. Sa che deve tenersi
buono anche Dio, oltre che il popolo. Sappiamo che ha dato a Riccardo II onori funebri degni del
lignaggio e che mantiene delle persone che preghino per il perdono. Piange per lui. Non è un
personaggio bipolare come Riccardo, ma un po’ lo è anche lui.
P.1116 Arriva l’alba. Enrico è un abile oratore, è uno che di qualunque cosa parli sa risultare
convincente. E’ fondamentale saper parlare e convincere per ottenere il consenso. Westmorland,
un conte che ha paura. Egli vorrebbe che ci fossero più inglesi,ì. Enrico parte da questo spunto per
costruire il suo discorso retorico. Fa leva sul desiderio di gloria. Enrico è uno che sa bluffare,
nessuno avrà il coraggio di andarsene, nonostante l’invito nel discorso. Notare le parole che
utilizza: “compagno” e “compagnia”. Parole che derivano dal vocabolario del padre. Il Re in questo
linguaggio sembra quasi un compagno, un fratello maggiore. “Happy few”, dice. Non contempla più
la possibilità che si perda in battaglia. Noi “band of brothers”. Mescola entrambi i linguaggi: chi
versa il sangue con