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Avicenna 1

La metafisica come scienza dell’ente in quanto tale

Il Libro della Guarigione si articola in quattro parti (logica, filosofia naturale, matematica e

“scienza delle cose divine” o metafisica) che coprono tanto gli ambiti giò ricompresi nel corpus

aristotelico, quanto quelli delle discipline matematiche in esso assenti. Avicenna non procede a

un commento più o meno fedele delle opere di Aristotele, ma propone una diversa e originale

organizzazione della materia. Questa diversa impostazione si nota già a proposito della

determinazione dell’oggetto della metafisica, o secondo la terminologia araba filtrata poi

anche in latino, del suo “soggetto”, ovvero ciò intorno a cui verte una scienza, ciò che deve

essere esaminato nelle sue proprietà. La Metafisica aristotelica offriva indicazioni differenti e non

perfettamente compatibili tra loro: la filosofia prima o metafisica viene presentata come:

a. Scienza delle cause in quanto tali;

b. Scienza dell’ente in quanto ente o del suo significato principale, la sostanza;

c. Scienza delle sostanze immobili e separate dalla materia, e cioè del divino.

Avicenna propone di reinterpretare il testo aristotelico sulla base dei criteri epistemologici offerti

dallo stesso Aristotele negli Analitici secondi: ogni scienza non può dimostrare l’esistenza del

proprio soggetto, ossia di ciò che costituisce in essa il punto di partenza; questa esistenza deve

pertanto o essere evidente di per sé, o essere dimostrata in una scienza diversa. L’esistenza di

Dio non è infatti in sé evidente, né è per Avicenna dimostrata in una scienza diversa dalla

metafisica stessa. Lo stesso discorso vale per le cause. L’esistenza dei nessi causali non è

evidente e non è dimostrata da nessun’altra scienza. Il soggetto della “scienza divina” sarà

dunque l’ente in quanto ente, o l’esistente in quanto esistente. Dio e le cause rientreranno

nell’ambito delle “questioni”, ovvero di ciò che dovrà essere ricercato o dimostrato all’interno di

questa scienza: la metafisica comincia a configurarsi come un’ontologia generale, ovvero una

scienza dell’ente in generale. Resta il problema dell’immaterialità: in che modo la metafica è

comunque una scienza di ciò che è separato dalla materia? La soluzione è innovativa: il soggetto

della metafisica non è immateriale in senso stretto, perché allora esso sarebbe rappresentato

solo dal divino; è immateriale nel senso che non richiede la materia per la sua definizione, in

quanto precede la stessa distinzione tra materiale e immateriale. Tutto dipende da dove si

colloca la negazione che è implicita nel concetto di immaterialità. Quando ci riferiamo a Dio,

intendiamo per immateriale ciò che si dà a condizione di non essere materiale; quando ci

riferiamo all’ente o esistente in quanto tale, intendiamo per immateriale ciò che si dà non a

condizione di essere materiale. In queste due formulazioni cambia solo la posizione della

negazione, ma la differenza di significato è invece decisiva. L’ente in quanto ente è qualcosa

che precede e include al suo interno tutte le possibili determinazioni dell’ente: se

infatti dicessimo che all’ente in quanto ente appartiene sempre la materia, Dio e le altre

sostanze separate non sarebbero enti; mentre se dicessimo che all’ente in quanto ente

appartiene sempre l’immaterialità, tutte le cose di questo mondo non sarebbero enti, e

entrambe le conclusioni sono inammissibili

La dottrina dell’indifferenza delle essenze

La Metafisica del Libro della Guarigione contiene anche un importante trattato (il V) dedicato agli

universali, in cui Avicenna espone la propria dottrina dell’indifferenza delle essenza. Per

comprenderla bisogna chiarire la differenza tra essenza ed esistenza. Rispetto a un

qualunque ente, posso pormi due domande distinte.

1. Esiste o no?

2. Che cos’è?

Le due domande non coincidono affatto. Posso infatti sapere che cos’è un triangolo isoscele,

senza che in questo momento esiste sotto il mio sguardo alcun triangolo isoscele; lo stesso vale

per tutte le altre cose: posso sapere che cos’è un rinocerente, perché me ne hanno dato la

definizione, senza averne mai incontrato uno. Ciò che è diverso, in essi, non è il fatto di esistere,

l’esistenza, ma la loro essenza, ovvero: non il fatto che sono, ma ciò che sono. Le essenze

sono forme separate, come nella tradizione platonica; sono forme particolari che esistono

soltanto singolarmente in ciascun individuo; o infine sono solo concetti universali, con cui

indichiamo una classe di singoli individui esistenti? L’essenza di qualcosa non è in sé né

universale né particolare, ma è soltanto sé stessa. Ciò non significa che l’essenza goda di

un’esistenza separata, irriducibile tanto a quella dei concetti universali presenti nella nostra

mente, quanto a quella degli individui che sussistono nella realtà fisica; al contrario, l’essenza

esiste sempre solo in una di queste due condizioni, senza che esse determinino il suo contenuto:

il tipo di esistenza non rientra mai nell’essenza di qualcosa. Avicenna può affermare che essenza

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A.A. 2013-2014
3 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/08 Storia della filosofia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cricetina93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Sorge Valeria.