Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Entrambi fecero parte della commissione che nel
1259, durante il capitolo di Valenciennes, elaborò e riuscì a far approvare una serie di
proproste sulla riorganizzazione degli studi all’interno dell’Ordine. Non si trattava di misure di
tipo pratico: la riforma mirava piuttosto ad assicurare una centralità assoluta allo studio nella
vita stessa dell’ordine. Tutti gli altri compiti dei frati avrebbero dovuto essere subordinati allo
studio: per questo, si raccomandaa che ai “lettori” (cioè a coloro che insegnavano nei
conventi) non fossero assegnati altri incarichi che potessero impedire loro di insegnare a
tempo pieno; che in ciascun convento fossero selezionati i giovani da inviare agli studia
generalia (cioè agli “studi superiori”, di solito inseriti in una struttura universitaria) per una
preparazione più approfondita; che anche i frati più anziani potessero continuare a ricevere
una prepazione continua, seguendo i corsi. Da questo momento in poi, la filosofia non avrebbe
più rappresentato un corpo estraneo, ma sarebbe entrata nel bagaglio essenziale di ogni buon
frate. Nel caso di Alberto, questa campagna contro gli ignoranti che vogliono in tutti i modo
combattere l’uso della filosofia, era iniziata ben prima, quando era stato incaricato di fondare
un nuovo studium domenicano a Colonia. Qui Alberto mette mano al progetto di
un’esposizione sistematica di tutti gli scritti aristotelici, che proseguirà per due
decenni. Lo scopo del progetto è di rendere intelligibile ai latini le varie parti della filosofia
attraverso aristotele. Questo compito non viene portato avanti commentado più o meno
letteralmente i testi aristotelici, ma seguendo la via di Avicenna, quella cioè di procedere alla
stesura di altrettanti libri, e con gli stessi titoli, di quelli composti da aristotele inserendo
digressioni per spiegare i dubbi e per esplicitare ciò che risultava troppo oscuro o conciso, fino
al punto di integrare quelle parti o gli interi libri interrotti o mancanti che Aristotele non ha
scritto o che non sono giunti sino a noi. Alberto aggiunge al corpus aristotelico vari testi sulla
natura dei luoghi, sulle proprietà degli elementi e l’origine dell’anima, sull’intelletto e
l’intellegibile: ai commentatori arabi e bizantini, ma anche agli enciclopedisti latini medievale;
agli scritti di medicina, magia, ermetismo; alle testimonianza degli artigiani o di altri lavoratori
manuale. La sua vastissima produzione riflette di fatto i suoi molteplici interessi, che vanno
dalla teologia alla filosofia, dagli animali alle piante, dallo studio dei fenomeni naturali alla
divinizzazione e alla magia. Alberto può così essere considerato come il vero iniziatore
dell’aristotelismo latino - una tradizione in cui la filosofia non è più vista come qualcosa di
contrapposto o antitetico, verso cui avere una posizione aggressiva o difensiva, ma come un
insieme dottrinale che non solo merita, ma in qualche modo deve essere studiato in sé. Uno
dei concetti fondamentali è l’autonomia e distinzione degli ambiti tra teologia e
filosofia, dal momento che una si fonda sulla rivelazione, e l’altra sulla ragione. La filosofia
procede secondo le regole del discorso dimostrativo, cerca di spiegare la natura in base alle
sue cause intrinseche, e si sforza di arrivare a Dio già in questa vita, ma sempre attraverso un
procedimento dimostrativo. Il limite ultimo è dato dall’impossibilità di riconoscere il ruolo della
volontà divina, perché è contro ogni principio filosofico che la Causa prima agisca in modo
volontario. Il Dio della filosofia ha i tratti del necessitarismo greco-arabo – è un Dio che agisce
in modo immutabile e necessario. Se la filosofia è un ambito autonomo rispetto alla teologia, è
perfettamente legittimo servirsi in essa dei filosofi greci e di quelli arabi, mentre si possono
trascurare i dottori latini, che in questo ambito hanno aggiunto poco o nulla. L’Aristotele di
Alberto è quello della tradizione peripatetica araba, cioè un Aristotele intriso di neoplatonismo,
e in cui il Liber de causis viene considerato come il vertice del corpus aristotelico, come la
parte teologica mancante in Aristotele. Il modo in cui Alberto concepisce l’Universo rispecchia
che questa fusione di aristotelismo e neoplatonismo: le intelligenze aristoteliche motrici
dei cieli sono considerate come ricolme delle forme intelligibili da cui dipendono le cose
sensibili. Il pensiero delle intelligenze ha pertanto un carattere produttivo: esse si servono del
movimento dei corpi celesti per produrre nella materia le forme naturali che corrispondono a
quelle puramente intelligibili che contengono in sé. E tuttavia le intelligenze non irradiano
direttamente le forme nella materia; piuttosto le forme naturali sono tratte dalla potenza della
materia stessa, dove sono già presenti. È come se le intelligenze guidassero dall’alto,
attraverso il movimento dei cieli, lo sviluppo delle potenzialità presenti nella materia
sublunare, assicurando il corso ordinato dei processi naturali: le operazioni della natura
sono operazioni dell’intelligenza. Quanto alle intelligenze stesse, esse fluiscono dalla
Causa prima, che non produce in modo volontario, ma immutabilmente e per
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Storia della filosofia medievale - Sigieri di Bradante e Boezio di Dacia
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Riassunto esame Storia della filosofia medievale, prof. Sorge
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Storia medievale
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