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Ci sono diverse conseguenze dell’alienazione del lavoro:
il lavoro diventa estraneo al lavoratore: la ricchezza prodotta è per gli altri; il suo lavoro
1. non è volontario, ma costretto, forzato; non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma
soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. Per tutto ciò, l’uomo si sente libero
solo nelle sue funzioni animali (mangiare, bere, procreare, e anche abitare una casa e
vestirsi), e si sente niente più che una bestia nelle sue funzioni umane, cioè nel lavoro;
il prodotto rende estranea anche la propria attività;
2. l’uomo, con il suo lavoro, aliena dalla sua natura stessa come uomo; il lavoro non
3. appartiene più al suo essere, e quindi ne suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si
sente non soddisfatto ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma
sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito; il lavoro diventa solo un mezzo per
sopravvivere; il lavoro è solo un modo per conservare la sua vita animalesca;
l’uomo diventa alienato dall’altro uomo: io sono un animale in mezzo a tanti animali.
4.
Il lavoro alienato diventa oggetto di un’altra persona, godimento del padrone, del capitalista.
L’economia politica parte dal lavoro, ma non dà nulla al lavoro perché dà tutto alla proprietà
privata.
Le leggi dell’economia sono quelle della forma assunta dall’economia in un dato momento
storico, non sono leggi della natura umana, per cui non sono immutabili.
Mutando le strutture economiche muteranno anche le leggi economiche. Ma c’è bisogno di
un mutamento radicale, sopprimendo la proprietà privata e, di conseguenza, il salario.
Non ci sono rimedi intermedi.
Non basta un aumento del salario come proponeva Proudhon.
Così soltanto si arriverà al vero comunismo.
Con la soppressione della proprietà privata si avrà la riappropriazione dell’umanità da parte
dell’operaio. Si elimina, così, l’autoalienazione.
Ogni attività dell’uomo è appropriazione della natura umana.
Le cose non sono più viste come cose da possedere, ma come oggetti di cui tutti possono
fruire.
L’ultimo dei Manoscritti è una critica alla dialettica e, più in generale, alla filosofia
hegeliana. Marx critica anche gli hegeliani di sinistra, in particolare Stirner e Bauer. Questi
criticano Hegel, ma la loro critica rimane a livello di teoria e non giunge alla pratica. Anche
la filosofia hegeliana è alienazione (lo diceva Feuerbach? Per questo Marx qui lo salva???)
“Ideologia tedesca” 1846) scritta con Engels.
(
Anche in quest’opera Marx critica Hegel e gli hegeliani di sinistra, compreso Feuerbach
che, nell’ultimo dei Manoscritti, aveva salvato.
Il sottotitolo dell’opera è “Critica della filosofia tedesca nei suoi rappresentanti (Feuerbach,
Bauer, Stirner) e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti”.
Per Marx questi sono ideologi in senso dispregiativo.
Le teorie sono espressioni delle condizioni reali nel quale l’uomo si trova.
Le idee, le teorie non cambiano il mondo. Invece, cambiando il mondo cambiano anche le
idee.
Nell’opera c’è un’esposizione del materialismo storico.
Marx ed Engels partono dal presupposto che esistono individui umani viventi.
Gli uomini sono individui che non trovano pronti i loro mezzi di sussistenza, ma li
producono.
Gli uomini producono la loro vita reale.
Per Marx gli uomini si possono distinguere dagli animali per la religione, per la coscienza o
per ciò che si vuole, «ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché
cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza». L’essenza dell’uomo, pertanto, sta
nella sua attività produttiva.
Il modo in cui l’uomo determina i suoi mezzi di sussistenza determina il suo modo di vita.
L’economia è la struttura base dell’esistenza umana: le altre sono sovrastrutture.
Nell’ultima parte Marx parla della divisione del lavoro. Questa ha portato alla formazione di
classi: capitalisti e lavoratori.
Per eliminare l’alienazione è necessaria una lotta politica.
“Manifesto del partito comunista” (1848)
Tema principale di quest’opera di Marx ed Engels è la lotta di classe.
« La storia di ogni società esistita fino a questo momento — scrivono Marx ed Engels nel
Manifesto del partito comunista — è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e
plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori
ed oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta
ininterrotta, ora latente, ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione
rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta ».
Oppressori ed oppressi: ecco, dunque, quanto vede Marx nel travaglio della storia umana
nella sua totalità. E la nostra epoca, l’epoca della borghesia moderna, non ha affatto
eliminato l’antagonismo delle classi; essa, piuttosto, lo ha semplificato, dal momento che «
l’intera società si va scindendo sempre di più in due grandi campi nemici, in due grandi
classi direttamente contrapposte l’una all’altra: borghesia e proletariato
In una nota all’edizione inglese del Manifesto del 1888, Engels spiega che per borghesia
s’intende la classe dei moderni capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione e assuntori di
salariati. Per proletariato si intende, invece, la classe dei moderni salariati, i quali, non
avendo mezzi di produzione propri, sono ridotti a vendere la loro forza-lavoro per vivere.
Per la legge della dialettica (in Marx si parla di materialismo dialettico), come la borghesia è
la contraddizione interna del feudalesimo, così il proletariato è la contraddizione interna
della borghesia. Difatti, « la proprietà privata, come ricchezza, è costretta a man tenere in
essere se stessa e con ciò il suo termine antitetico, il proletariato ». La borghesia, insomma,
si sviluppa e cresce come tale alimentando in se stessa il proletariato: « nella stessa
proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la
classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano
lavoro fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale ». Ed è così che « le armi che son
servite alla borghesia per atterra re il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa ».:
Come fu inutile per il signore feudale difendere i diritti feudali davanti a quella sua creatura
che era la borghesia; così ora la borghesia è inutile che lavori per la conservazione dei suoi
diritti sul proletariato. La realtà è che « la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le
porteranno la morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai
moderni, i proletari ». Il progresso della grande industria crea, al posto di operai isolati e in
concorrenza, unioni di operai organizzati e coscienti della propria forza e della propria
missione. E «quando la teoria afferra le masse, essa diventa violenza rivoluzionaria ». La
borghesia produce dunque i suoi seppellitori. « Il suo tramonto e la vittoria del proletariato
sono del pari inevitabili ».
L’avvento del Comunismo
Il feudalesimo ha prodotto la borghesia. La borghesia, per esistere e svilupparsi, deve
produrre nel suo seno chi la porterà alla morte, cioè il proletariato. Il proletariato è, infatti,
l’antitesi della borghesia. Lungo la via crucis della dialettica il proletariato porta sulle sue
spalle la croce dell’umanità intera. L’alba della rivoluzione è un giorno inevitabile. E questo
giorno che segnerà il trionfo del proletariato sarà il giorno della resurrezione di tutta
l’umanità.
Ed è così che si passa dalla società capitalista al comunismo. Questo non è un passaggio che
si fa attraverso le « prediche moraleggianti » che non servono a nulla. « La classe operaia —
dice Marx — non ha da realizzare alcun ideale ». Si tratta di un passaggio necessario ad una
società senza proprietà privata e quindi senza classi, senza divisione del lavoro, senza
alienazione e soprattutto senza Stato. Il comunismo, per Marx, è « il completo, consapevole
ritorno dell’uomo a se stesso, come uomo sociale, cioè come uomo umano ».
A dire il vero, non è che Marx dica molto su come si configurerà la nuova società, la quale,
dopo l’abbattimento della società capitalista, non potrà che realizzarsi per gradi. All’inizio
resterà una certa disuguaglianza tra gli uomini, ma poi più tardi, quando sarà scomparsa la
divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e quando il lavoro sarà diventato un
bisogno e non un mezzo della vita, allora la società — scrive Marx in Per la critica del
programma di Gotha (1875) — « potrà scrivere sulla propria bandiera: Ognuno secondo la
sua capacità, ad ognuno secondo i propri bisogni
Questo sarebbe per Marx il comunismo autentico, che Marx nei Manoscritti del ‘44
distingueva da quello rozzo consistente non nell’abolizione della proprietà privata ma
nell’attribuzione della proprietà privata allo Stato: questa attribuzione ridurrebbe tutti gli
uomini a proletari. Questo comunismo rozzo negherebbe ovunque “la personalità
dell’uomo”. In realtà, Marx pensava che, abolita la proprietà privata, il potere politico si
sarebbe gradualmente ritirato, fino — come disse En gels — ad estinguersi. Lo Stato, infatti,
per Marx, « non è altro che la forma di organizzazione che i borghesi si danno per necessità
[...] al fine di garantire reciprocamente la loro proprietà e i loro interessi». Per questo,
quando non ci sarà più né proprietà privata né esisteranno più le classi sociali, allora —
leggiamo nella Miseria della filosofia — « non ci sarà più nessun potere politico vero e
proprio ». Il potere politico, infatti, non sarebbe altro che la violenza organizzata di una
classe per l’oppressione dell’altra.
Tuttavia, questo non si realizzerà subito. Subito avremo quella che è la ditta tura del
proletariato, il quale userà il suo dominio « per accentrare tutti gli strumenti di produzione
nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante