Anteprima
Vedrai una selezione di 8 pagine su 33
Storia della filosofia antica Pag. 1 Storia della filosofia antica Pag. 2
Anteprima di 8 pagg. su 33.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia antica Pag. 6
Anteprima di 8 pagg. su 33.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia antica Pag. 11
Anteprima di 8 pagg. su 33.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia antica Pag. 16
Anteprima di 8 pagg. su 33.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia antica Pag. 21
Anteprima di 8 pagg. su 33.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia antica Pag. 26
Anteprima di 8 pagg. su 33.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia antica Pag. 31
1 su 33
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

STORIA DELLA FILOSOFIA ANTICA 13-5-2015

Profilo di Edipo come tiranno: Diego Lanza, filologo, in uno dei suoi libri sulla tragedia: “Il

tiranno e il suo pubblico”-> il tiranno ricorre spesso sulle scene del dramma attico, è lo spettro della

democrazia ateniese, accentra il potere assoluto nelle sue mani. Si pone come una figura antitetica

ma presente tra i vari orizzonti di possibilità dell’Atene del V secolo (si ricorda il regime dei trenta

tiranni). Colpisce anche per i suoi elementi caratteriali: ad es Creonte nell’Antigone rientra in una

tipologia di tiranno in quanto accentratore di un dominio, potere assoluto; un altro è quello

dell’Elettra di Euripide dove figura Egisto, secondo sposo di Clitemnestra e figura come violento,

tracotante; Eteocle anche ha tratti negativi da tiranno. Il i tiranno è colui che si contrappone alle

ragioni del protagonista-> il caso di Edipo è atipico, poiché egli è il protagonista e i suoi tratti non

sono quelli tipici del tiranno. Questi tratti per Lanza non emergono all’inizio ma dopo la prima

rivelazione di Tiresia nel primo episodio-> emergono qualità caratteriali tipiche del tiranno della

Repubblica di Platone (paura, facilità al sospetto nell’altro, ira ed eccessi ad essa legati, empietà

quando si scaglia contro Tiresia-figura religiosa).

Verso 873: il coro preannuncia questa paura, “la dismisura (hybris) genera il tiranno” (pag 207). La

scoperta finale lo trova impreparato, il rifiuto di guardare ciò che può essere realmente accaduto

fanno si che egli non guardi con lucida consapevolezza il fatto di cui viene accusato.

Si manifesta una DIFFIDENZA VERSO GLI ORACOLI manifestata come un dubbio dal Coro e

poi più chiaramente anche da Giocasta, che esprime un punto di vista negativo rispetto alla validità

degli oracoli. Si potrebbe pensare a una posizione negativa dello stesso Sofocle, ma in realtà egli

rappresenta in Edipo come in Giocasta posizioni intellettuali autonome e irriverenti, proponendole

alla disapprovazione da parte del pubblico. Vuol mostrare a cosa vanno incontro gli uomini che

hanno solo fiducia nelle capacità cognitive umane, tralasciando il giudizio degli oracoli.

Giocasta è preoccupata dello stato di angoscia e paura di Edipo, entra poi in scena un messaggero

da Corinto città nella quale è stato cresciuto Edipo, portavoce di notizie liete (ironia socratica): il re

apologo è morto; Giocasta gioisce per il fatto che l’oracolo avuto da Edipo è falso, non si è

realizzato (il re è morto per mano del destino, della sorte e non di Edipo (pag 213). Edipo ascolta il

racconto e alla fine aderisce a questa interpretazione del nunzio e ribadendo la non validità degli

oracoli. Trionfo di una posizione irrazionalistica. Edipo non è ancora liberato dalla paura

dell’oracolo, teme ancora la parte della predizione che riguarda il talamo della madre ancora viva. A

questo punto del dramma la città è ormai dimenticata. Giocasta invita Edipo ad abbandonare le sue

paure e ad accettare ciò che viene. Emerge qui quello che viene chiamato il “COMPLESSO DI

EDIPO”. Il messaggero vuole rasserenare Edipo, ma in realtà no fa altro che avvicinare Edipo

prima a un senso di liberazione ma poi alla verità circa la sua nascita.

Giocasta, appresa in se la verità, lo invita poi a lasciar perdere, non precedere nell’indagine.

Edipo (pag 221) si comporta ancora in modo un po' tracotante verso Giocasta, ritenendo che questa

teme di esser in sposa a un individuo di umile origine. La ritiene superba da donna lussuosa che

prova vergogna per l’umile origine di Edipo. Edipo si dice frutto della Fortuna benefica e afferma di

essere tale in quanto somma di tutte le esperienze vissute e a queste affermazioni di Edipo si unisce

il coro-> da ciò si comprende che Sofocle sta abilmente preparando la caduta e la tensione

successiva. Entra poi il servo di Laio, testimone dell’ucciso dello stesso re (pag 223). Edipo lo fa

violentemente parlare per costringerlo a dire la verità. Edipo ha ormai tutto chiaro (pag 229)-> “luce

del sole che io ti veda per l’ultima volta”: espressione ambigua sia per intendere il suicidio che

l’accecamento, colpisce che qui tutto è ormai chiaro e a ciò si accompagna l’impossibilita’ per

Edipo di vedere un mondo come lui si rifiutava di vederlo, e verso un futuro incerto e pauroso.

Pag 233: un secondo nunzio vede questi mali come “mali volontari”-> è stato Edipo come causa a

uccidere volontariamente un uomo pur non sapendo che egli fosse suo padre. Su questo punto è

d’accordo lo stesso Edipo che provoca il suo autoaccecamento. Parricidio e incesto sono comunque

atti che egli ha compiuto, se ne assume la responsabilità, pur avendo agito per ignoranza delle

circostanze. E questo per risanare a un errore che qualcuno aveva commesso in precedenza. Il

nunzio racconta poi dell’uccisione di Giocasta per impiccagione e dell’accecamento di Edipo, che

STORIA DELLA FILOSOFIA ANTICA 14-4-2015

ETICA SOCRATICA: si riprende la lettura del grande monologo di Medea; ciò che Medea vive

nel finale del monologo è un conflitto fra ragione e passione oppure conflitto tra diverse passioni

che la ragione riconosce? Questa è la più auspicabile. I suoi propositi sono razionalmente

organizzati e consapevoli nel realizzare la vendetta su Giasone nel modo più forte possibile-> sarà

una sventura globale che la renderà infelice ma i suoi piani sono comunque governati dalla

passione. È una componente emotiva che contrasta con un’altra componente emotiva. Il

razionalismo tragico euripideo sta nella consapevolezza che il personaggio ha della propria

scissione interiore, tra vari impulsi passionali ma consapevolmente riconosciuti. Euripide si

distingue in questo modo da Eschilo ma soprattutto da Sofocle; la G. Cupido a pag 96 distingue

bene la distinzione tra i personaggi di Euripide e quelli di Sofocle, i quali sono posseduti da una

forza interiore, sono un tutt’uno con la propria passione. Argomenta contro l’interpretazione di

Snell. Ciò implica anche che il Thumos cui Medea si rivolge, un luogo di passioni, è presente anche

in Omero con i suoi eroi, trasportati dal proprio MENOS impeto o dal loro Thumos (in Medea è

scatenato da motivazioni che sono anch’esse omeriche, il disonore provato per l’ingiustizia arrecata

da Giasone, ma poi questi motivi sono orientati verso una Interpretazione nuova-> il disonore si

intreccia a una forza erotica dominante + Medea si auto descrive, è fortemente consapevole delle

sue scelte individuali). Si può parlare di una valenza morale di questo conflitto psichico? La Cupido

da una serie di interpretazioni e letture; Medea non pone il suo dilemma interiore in termini morali

nel suo flusso di emozioni, ma un sottotesto morale non manca perché Medea si dichiara infelice

per ciò che sta per compiere (anche se non ci sono termini che hanno a che fare con la colpa,

emergono termini però di giudizio morale)-> Medea porterà un peso esistenziale facendo qualcosa

di terribile, e anche il coro ne ha orrore ma non la biasima moralmente, e la continua a chiamarla

infelice portandole la propria solidarietà e compassione. Medea si assume però allo stesso tempo

tutta la responsabilità. La Cupido afferma che la tragicità di Medea consiste nel collocarsi nella

tragedia alla fine tra la vergogna e la colpa.

Etica Socratica: verso finali monologo di Medea: alcuni hanno ritenuto che questi versi (so quali

mali sto per fare...) si riferirebbero polemicamente alla posizione etica sostenuta da SOCRATE.

Prima di valutare ciò occorre leggere alcuni passi del Protagora di Platone. Si ritiene che il dialogo

corrisponda per di più a una concezione socratica. Nella prospettiva di SOCRATE, poiché gli

uomini tendono alla felicità si volgono al bene, cioè al piacere; spesso gli uomini scelgono piaceri

che sono dei beni ma solo apparenti da un punto di vista morale. L’individuo dovrebbe compiere un

calcolo dei piaceri, una valutazione precisa dei piaceri.

Nel primo passo, SOCRATE afferma che Simonide non era ignorante e i suoi versi lodano qualcuno

che compie beni in qualche maniera, ma per SOCRATE non esistono persone che compiono del

male volontariamente; chi compie azioni brutte e cattive le compie involontariamente. Nessuno può

voler compiere il male perché ognuno compie qualcosa credendo che sia un bene per se’ e se

conosce veramente il bene non può non farlo. Questa concezione è paradossale perché non riflette

quelli che sono i comportamenti umani. Si ha qui a che fare con una ATTRAENZA DEL BENE,

come ciò che dà la vera felicità all’uomo, come cura della propria anima e per questo non si può

non farlo. Il soggetto morale non può volere il proprio male (non si tiene atto della passione). Ciò es

confermato in un altro passo del Protagora dove si dice che la scienza (“episteme”) non può essere

portata qua e là dalle passioni. Socrate si oppone a una visione diffusa per cui la ragione può essere

debole, e perciò non può realizzarsi in quelle azioni buoni che si ritengono essere tali. La

conoscenza non è schiava di nulla, per cui non esistono comportamenti deboli, quindi SOCRATE

non conosce o rifiuta di accettare l’esistenza del conflitto interiore, non conosce la debolezza della

volontà (“AKRASIA”, mancanza di controllo, di un controllo della ragione, incapacità di

dominarsi, dominare desideri passionali mediante una ragione buona e morale). Questo è un

fenomeno al centro del pensiero morale di PLATONE e Aristotele e diventa un problema nel

STORIA DELLA FILOSOFIA ANTICA 15-4-2015

La paradossalità della morale socratica si mette in contrasto con elementi della tragedia euripidea, si

sottolinea la debolezza della volontà di fare il bene se sopraffatti dalle passioni.

Forse lo stesso Socrate ha posto il suo punto di vista filosofico mettendolo in esame con la

dimensione tragica. Si ha una grande importanza nel Gorgia in questo percorso, egli percorre una

visione critica di Platone, dove questi esprime una riflessione più propriamente platonica, una

critica verso la tendenza socratica dell’uomo proteso al bene; in questo processo naturale la ragione

è deputata a cogliere quale sia il vero bene. Nel Gorgia, Callicle (una costruzione platonica e non un

personaggio) condensa in se una pluralità di posizioni sostenute da sofisti e si fa portavoce contro

Socrate di un edonismo assoluto. Contesta che il piacere che l’individuo cerca sempre di soddisfare

non coincide con il vero bene ma con ciò che è bene per l’individuo

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
33 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/07 Storia della filosofia antica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fred10 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Sassi Michela.