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SOCRATE

Di Socrate non c’è rimasto nulla, se non gli scritti di alcuni autore come Senofonte, Platone, poi riprese da

Aristotele. Si pensa che i dialoghi Socratici siano stati trascritti nel momento in cui avvenivano. Nei dialoghi

platonici si dice che molti dei dialoghi trascritti fossero poi stati approvati dallo stesso Socrate. Questo

Platone lo diceva per dare valenza ai propri scritti. C’è quindi una cultura trascritta di Socrate che si è stata

tramandata. Alcuni di questi sono anche Aristofane che descrive Socrate come un personaggio da commedia.

Questi testi allora sono diversa, la cui base è autentica, e che danno un’immagine diversa di Socrate a

secondo dello scopo dello scrittore stesso. Lo stesso è stato poi rielaborato sugli stessi dialoghi, non del

Socrate vero, ma dei suoi tra scrittori. Quindi dobbiamo decifrale le iscrizioni di tali personaggi, soprattutto

per Platone: quando leggiamo un dialogo platonico non troviamo mai Platone che esprime e dice il suo

pensiero, ma lo fa tramite dei personaggi, tra i quali, nella maggior parte dei casi, il protagonista è Socrate.

Quindi dobbiamo recuperare il pensiero platonico, in una produzione alquanto mista di stili, in cui Platone

arriva o non arriva a determinate conclusioni (dialoghi aporetici – attribuiti alla prima parte della produzione

platonica, detti anche “dialoghi socratici” i quali non giungono ad una conclusione, ma ad una

chiarificazione di campo). Questo tipo di dialoghi che la critica ha affibbiato una migliore presentazione del

Socrate storico, ma non si possono dire quali siano esattamente quali siano i resoconti precisi del Socrate

storico, anche perché Platone rivedeva e modificava le proprie opere. Si è cercato di risalire alla data di

composizione dei dialoghi platonici attraverso il metodo stilometrico, cioè un misuratore dei metodi stilistici

(o stilemi) che va a ricercare qui particolari automatismi che l’autore possiede in un determinato periodo

storico. Infatti molte caratteristiche del scrivere platonico sono state messe a confronto con altri scritti di altri

autori, così a cercare di formare una figura di Socrate coerente.

Da tali ricerche si è definito che dove Socrate usa il metodo della “confutazione” (“elenchos”)

nell’intenzione di arrivare ad una sorta di compromesso (“homologia”) alla fine del dialogo è quella

l’immagine più affidabile di Socrate e del metodo socratico. Elementi del dialogo socratico: elenchos e

homologia. La dove invece Socrate si articola in discorsi ancora più strutturati e più complessi, per esempio

la Repubblica di Platone, è chiaro che tale discorso fu costruita su base socratica, ma elaborata poi da

Platone.

La filosofia nasce come dialogare socratico. Nei primi 30-40anni del V secolo a.C. furono pubblicare cinque

unita dialogiche di Socrate. C’è un intento apologetico, cioè di giustificare ciò che Socrate è stato, in quanto

le accuse al processo era quella di voler corrompere i giovane e introdurre nuovi dei. Un tal Policrate, sei

anni più tardi, disse che le vere accuse erano politiche e non di tipo morale o religioso, quindi accuse di

empietà in quanto possibile sostenitore del governo dei Trenta Tiranni. Tutt’oggi però non si sa il pensiero di

Socrate in merito alla questione politica.

L’immagine che Senofonte ha dato di Socrate è molto diversa da quella che Platone ha dato. Nei dialoghi di

Senofonte troviamo un Socrate completamente a suo agio nella cultura tradizionale greca. In Platone invece

sono evidenziati più i caratteri oppositivi. Sia Senofonte che Platone però mostrano Socrate che dialoga con

dei sofisti, cioè i nuovi maestri di virtù, insegnanti e promotori della “kalokagathia”, capaci di formare la

nuova classe politica.

La cultura tradizionale che si rifaceva alla poesia omerica ecc. era accessibile a tutti, invece l’insegnamento

dei sofisti era a pagamento e questo viene molto criticato dal Socrate platonico, in quanto già di per sé

contrario alla tradizione. Molti sofisti, tra cui Protagora, promuovono il proprio insegnamento dicendo che il

loro insegnamento migliora i giovani e alla fine del suo discorso dice che saranno le famiglie alla fine della

lezione decidere quanto pararlo in proposizione al valore del proprio insegnamento. Il Socrate platonico

confuterà lo stesso Protagora facendogli intendere che lui non sa con precisione quale sia l’oggetto del suo

insegnamento, cioè la virtù. La virtù che i sofisti insegnano è la virtù della retorica, cioè della tecnica di

riuscire a persuadere gli altri e di avere successo. I maestri sofisti sono spesso maestri stranieri e non sono

ateniesi. È quindi uno straniero che insegna agli ateniese come essere dei bravi cittadini e questo aspetto

nella polemica prende vita, in quanto non è sufficiente il bravo cittadino che come esempio basti ad

insegnare agli altri cittadini come essere buoni e giusti. In questo campo la virtù viene collegata ad un sapere,

quando la virtù e soprattutto quella politica (la più importante), secondo il Socrate platonico non è

insegnabile, quindi non bisogna ridurre la virtù ad una tecnica. La virtù è una qualcosa che si può sviluppare

ad una natura adatta, in quanto per Platone gli uomini non sono tutti uguali. Quindi Socrate appare in

contrasto con le idee che circolavano nella democrazia ateniese del V° secolo. Socrate si mette a discutere

con i sofisti stranieri.

Memorabili di Senofonte

Dialogo tra Antifonte e Socrate, in cui viene descritta la virtù socratica come strettamente collegata alle

qualità del soggetto, invece che al potere della ricchezza di beni. collegate all’allenamento fisico che dovrà

permettere il dominio di piaceri e dolori e soprattutto un dea di felicità legata all’indipendenza, libertà e

capacità di autogovernarsi.

Nel Socrate di Platone possiamo vederlo molto diverso, soprattutto per quanto riguarda il Socrate di

Senofonte, in quanto si evidenzia più l’interiorità che l’esteriorità. Per Senofonte il massimo male è la

dipendenza. Si può fare riferimento ad un modello aristocratico, in quanto all’interno del socratismo tali virtù

non vengono date perché si è aristocratici, ma è la forza dell’individuo che si esercita ad essere autonomo dai

piaceri e che lo rende libero e felice (il pensiero aristocratico si rifaceva di una sorta di “pauperismo”:

fenomeno economico sociale caratterizzato dalla presenza di strati di popolazione in condizioni di miseria).

Il soggetto socratico ha la libertà grazie alle sue qualità. Un discepolo di Socrate, Antistene, passato alla

storia come il padre del cinismo (anche se non lo è), espone al massimo questo modello di povertà di beni,

ma ricchezza dello spirito. C’è una forza nel soggetto, il quale si impone sulla realtà solo con le sue forze. In

Platone nella “roccaforte” dell’anima ci sono altre cose come la ricerca del sapere. Il filosofo platonico non

si arroga il diritto di essere già sapiente, ma che è alla ricerca del sapere. Quando il filosofo si è staccato dai

beni esterni deve investigare il sapere che occupa la sua interiorità.

Il Giorgia è un dialogo molto particolare rispetto ai grandi dialoghi della maturità, la Repubblica, il

Simposio, cioè dialoghi dove si trattano argomentazioni molto solide come la struttura della polis ecc. Il

Gorgia è un dialogo sostanzialmente aporetico, in cui non arriva a una conclusione concordata. Il dialogo

non è una semplice espressione di opinioni, perché se tale dialogo lascia ognuno nella propria opinione, non

è un dialogo costruttivo. Socrate, parlando con Callicle, non arrivano ad una soluzione, in quanto i due hanno

due visione molto contrastanti tra di loro. Dire però che un dialogo non arriva a una conclusione non vuol

dire che sia un dialogo inutile. Abbiamo due visioni opposte della vita che ci dicono rispettivamente che se

ci poniamo più verso un pensiero o un altro arriveremo a determinate conclusioni. Qui c’è il collegamento tra

virtù e felicità. Noi dobbiamo a questo dialogo la più forte caratterizzazione di Socrate come colui che si

pone contro alla logica del piacere. Non in tutti i dialoghi troviamo una così forte differenziazione tra piacere

e felicità. Il personaggio Callicle ritiene che il desiderio di piacere sia un assoluto, cioè che colui che riesce

ad accogliere il maggiore numero di piaceri (ricchezza e soprattutto potere) è propriamente un uomo felice.

L’unico limite è la capacità. L’obbiettivo del uomo che vuole affermare il suo diritto alla felicità è attuare le

proprie capacità al massimo del proprio piacere. L’obbiettivo non è quello di accumulare una serie di piaceri,

ma di creare un vero e proprio stile di vita in equilibrio. I piaceri vanno pensati secondo un’architettura

armonica. La virtù è quella capacità che permette di perseguire ogni tipo di piacere. Però dipende da cosa si

desidera e che cosa si intende per piacere. L’obbiettivo ultimo è sempre la felicità.

Nella prima parte del dialogo, in cui Socrate si confronta con Gorgia, il maestro non viene trattato troppo

male, in quanto Gorgia vuole solo mostrare la sua capacità di persuasione e Socrate dice semplicemente che

questa non è la capacità più grande di un cittadino. Gorgia vuole fare propaganda della propria capacità

persuasiva (base della capacità politica). Socrate non è aggressivo nei confronti di Gorgia. Il problema è chi

lo ascolta. Un altro che interviene è Polo che manifesta la sua grande ammirazione per un tiranno che aveva

conquistato il potere senza alcuno scrupolo. Il fine allora è quello di guadagnare una carica politica è di fare

poi quello che si vuole e esercitare per sé il proprio potere. Il caso più eclatante è appunto Callicle che, a

differenza di Gorgia e Polo, è ateniese. I sofisti lo hanno aiutato arazionale quello che lui pensava di sé e

desiderava. Egli allora è un cittadino educato dai sofisti che lo hanno condotto a non avere più alcuno

scrupolo morale. I sofisti infatti insegnano a migliorare sé stessi per ottenere il potere politico con cui

esercitare il potere per la propria felicità. La legge (“nomos”) la fanno gli uomini, ma non così vale per la

legge di natura (“physis”). Socrate non pensa che i meriti siano dati secondo la legge di natura in cui il più

forte prevale. Il “nomos” vale per convenzione per i sofisti ed è invece la &

Dettagli
A.A. 2015-2016
16 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/07 Storia della filosofia antica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher insintesiHegel di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof De Luise Fulvia.