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LA GRAMMATICA DELLO SPEZIALE
1) I sillabari dello speziale: formulari e farmacopee.
La Grammatica a cui si riferiva Capello nel suo ‘Lessico farmaceutico’ era riferito alle
informazioni desumibili dai ‘libri di formule’ o ‘elenchi di medicamenti’ che lo speziale era
tenuto a conoscere e a consultare per la corretta preparazione dei rimedi. Formulari e
farmacopee erano i sillabari dello speziale e non potevano mancare sul bancone
dell’officina farmaceutica ospedaliera. La necessità di razionalizzare la preparazione e di
contenere i costi fece sì che ogni spezieria ospedaliera si dotasse di un proprio corredo di
libri, formato principalmente da classici trattati della farmacologia arabo-medioevale.
Accanto a questi vi erano anche formulari più modesti, come il Pillolarium, integrati da
semplici elenchi di medicamenti, raccolte di ricette e formule elaborate. Per eliminare le
disomogeneità, nel 1948 venne stampate a Firenze il Ricettario Fiorentino, la prima vera
Farmacopea Ufficiale, divisa in tre sezioni: la prima conteneva indicazioni sulla figura dello
speziale, la seconda costituita da 18 capitoli, ognuno riguardante una specifica forma
farmaceutica, la terza riportava alcune regole fondamentali sulle composizioni e
preparazioni e trattava pesi e misure utilizzabili in spezieria. Le Farmacopee furono quasi
tutte compilate da medici, solo poche da commissioni di medici e farmacisti. Per questo
pur essendo un elemento di modernizzazione e di progresso, erano anche strumento di
potere, di pesante controllo dei medici sui farmacisti. Tra 600 e 800 nacquero Farmacopee
ospedaliere per uso interno. Francesco Rasori, farmacista dell’ospedale magno di Parma,
nel suo ricettario, reso obbligatorio per le spezierie ospedaliere, aveva eliminato le
preparazioni tradizionali giudicandole inutili e inefficaci: questo snellimento terapeutico
giovava a medici, speziali, amministratori, e anche ai malati. Anche all’estero ci fu un
processo di revisione e di rinnovamento farmacologico attraverso l’uso di formulari
ospedalieri. L’abitudine di rivedere con cadenza decennale i prontuari, continuò fino alla
prima Farmacopea Ufficiale del Regno d’Italia (1892). La grammatica dello speziale
ospedaliero era modesta, elementare, con parole essenziali e valide.
2) Tra guerra e pace: speziali civili e militari.
Con l’introduzione nel 16° secolo delle armi da fuoco, era più acuto il bisogno di ospedali e
personale sanitario per la cura dei militari. Castelli e fortezze si trovarono nella necessità di
affrontare i disagi attrezzandosi, come il castello fatto ostruire dagli Sforza divenne
fortezza militare, e al suo interno oltre all’ospedale militare necessitava di una speciaria
con annessa abitazione. La bottega era costituita da un laboratorio officinale da cui si
accedeva all’ospedale e una scala portava all’alloggio dello speziale militare. Solo un secolo
dopo il servizio sanitario non fu più appannaggio militare ma fu dato in appalto a medici e
speziali civili. I medicamenti da utilizzare sia sul campo che negli ospedali dovevano essere
semplici da preparare e da somministrare, con un numero ridotto di componenti scelti tra
quelli di più semplice reperimento in ogni circostanza. Il servizio farmaceutico militare del
Regno Sardo, ispirato all’organizzazione francese, fu terreno dal quale germogliò il servizio
farmaceutico militare del Regno d’Italia. Nel 1838 veniva pubblicato il Codice Farmaceutico
Militare valido per tutto il Regno che univa insieme vecchi e nuovi rimedi, con accurata
descrizione dei semplici. La nuova Italia era tale anche nell’organizzazione farmaceutica
militare.
3) L’ospedale e i suoi preparatori di cure.
Nel travagliato 600 la posizione dello speziale ospedaliero si consolidava ma non mutava.
Parallelamente l’organizzazione ospedaliera subiva un’involuzione sanitaria e
amministrativa. Si faceva strada un modello iatromeccanico, a cui si affiancava quello
iatrochimico: l’ottica iatromeccanica privilegiava le parti solide dell’organismo, mentre
l’ottica iatrochimica le parti fluide. La qualità delle cure negli ospedali doveva migliorare, e
così era necessario scegliere con attenzione i preparatori di tali cure. Lo speziale doveva
possedere competenza tecnica, ma anche rigore morale, pratica ed etica erano due facce
inscindibili della stessa medaglia sanitaria; doveva essere abile anche nella sorveglianza
organizzativa, ed era facilmente riconoscibile per l’abbigliamento (veste di tela prima nera,
poi grigia, infine bianca). Nel 700 invece i preparatori di medicinali subivano ulteriori
cambiamenti, non tanto per il maestro speziale, ma per gli aiutanti di bottega. Per il
maestro speziale era fondamentale avere un rapporto esclusivo con l’ospedale ed evitare
qualsiasi conflitto d’interessi. Gli aiutanti passarono da personale retribuito a volontario,
dovuto al nuovo compito affidato allo speziale: essere anche preparatore di farmacisti. Gli
aiutanti si iscrivevano ad un quadriennio presso la spezieria, pagando una retta per il
periodo di tirocinio e di pratica, conseguendo poi un titolo professionale. Era l’inizio di una
piccola rivoluzione culturale: allo speziale ospedaliero veniva affidata autorità didattica, il
bancone si trasformava in cattedra accademica. L’ospedale, accanto all’università era
destinato a diventare ‘scuola farmaceutica’.
DA SPEZIALI A FARMACISTI
1) Tra scienza e pratica: la ricerca del <<principio attivo>>
Tra i lumi della ragione scientifica e i fuochi della rivoluzione francese, mentre l’Europa si
accingeva ad un cambiamento politico istituzionale radicale, anche la farmacologia si
avviava verso un rinnovamento sostanziale. I progressi maggiori si ottennero con la
chimica farmaceutica che sembrava in grado di fornire nuove prospettive per una cura
empirica, ma soprattutto fondata su basi razionali. Iniziatore di questa disciplina fu
Scheele, e negli stessi anni Lavoisier pose le basi della chimica quantitativa. Il 700 quindi si
chiudeva con i tentativi di estrarre il ‘semplice’ (medicamento) ovvero la frazione ritenuta
efficace dal punto di vista terapeutico, mentre l’800 si apriva con il tentativo della chimica
farmaceutica di isolare dalle piante medicinali il principio attivo. Protagonisti di questa
nuova epoca erano gli speziali-chimici. Le sostanza farmacologicamente attive identificate
in questi decenni furono poi divise in due grandi categorie in base al loro comportamento
chimico: alcaloidi e glucosidi; insieme agli anestetici, erano il risultato più evidente della
nuova farmacologia ottocentesca. Questa nuova farmacologia lasciava spazio anche alla
fisiologia, fondamentale per studiare l’interazione con l’organismo ed eventuali effetti
terapeutici e tossici. I farmacisti-scienziati che interpretavano la rivoluzione scientifica della
nuova farmacologia erano spesso affiancati da speziali-patrioti che aspiravano ad un’Italia
indipendente e unita.
2) Un nuovo ruolo e una precisa identità: da speziali a farmacisti.
All’inizio dell’800 la società si era trasformata in modo irreversibile a causa delle riforme
introdotte dai francesi. Lo speziale, e il farmacista poi erano sul piano sociale
rappresentanti della media borghesia, propensi ad accettare sia le innovazioni scientifiche
che le istanza politiche rivoluzionarie. Nell’800 le farmacie erano anche punti di
socializzazione e politicizzazione, oltre che di preparazione e vendita medicinali. I
retrobottega servivano sia per le preparazioni che per la preparazione culturale di
intellettuali e cospiratori massoni e carbonai. Non a torto le farmacie venivano guardate
con sospetto dalla polizia. Emergeva l’atteggiamento progressista del laico farmacista,
impegnato nella cura del corpo nelle sue componenti fisiche e mentali, affiancato da
medico e maestro elementare. Si formava così una triade importante per l’evoluzione
culturale, sociale e sanitaria dell’Italia prima e dopo l’Unità. Importante anche la figura del
prete, che on disdegnava accompagnare le direttive morali con consigli igienici e
distribuzione di medicinali, per i quali era dotato di armadio farmaceutico. Dopo l’Unità i
farmacisti-patrioti si trasformarono in deputati; insieme ai medici furono i protagonisti del
risorgimento sanitario. Nei laboratori delle botteghe, e nelle officine apotecarie
ospedaliere, furono sperimentati nuovi farmaci capaci di realizzare la rivoluzione
terapeutica che in Europa era già iniziata. Agli inizi dell’800 infatti in Italia si era ancora
fermi all’officina apotecaria di origine 400esca. Prima della metà del secolo si passò dalle
species al medicamentum, dalle spezie ai farmaci, e dietro il bancone lo speziale lasciava
posto al farmacista. Farmacista: era questa la parola nuova che entrava nel linguaggio per
indicare colui che esercitava la farmacia, l’arte di far e usar farmaci. Il farmacista diventava
professionista conscio della propria arte, tecnico esperto ed eccellente conoscitore delle
proprietà farmacologiche delle sostanze che lavora. Anche sotto il profilo normativo
emergeva una nuova consapevolezza individuale e collettiva; la presenza di un diplomato o
patentato in farmacia era vincolante per avere bottega. Il numero di botteghe era limitato,
stabilito da autorità centrale, che concedeva licenze d’esercizio, tenendo conto di un
preciso rapporto con la popolazione e di una distanza minima fra farmacie. La concessione
era trasmissibile per via ereditaria e personale; vi era obbligo di tassa annuale.
3) Farmacisti e ospedali tra terapia e didattica.
I cambiamenti in ambito medico e farmacologico hanno portato ad un diverso modo di
lavorare del farmacista, anche di quello ospedaliero, più coinvolto nei cambiamenti
amministrativi e scientifici. Cambiava la medicina e cambiava la funzione degli ospedali,
cambiando anche l’esercizio di farmacia ospedaliera. In diverse città come Milano, la
formazione medica e farmaceutica cambiavano; l’istruzione di speziali e collaboratori si
fondava sull’apprendimento di Antidotarium Mediolanense e sulla pratica presso le
officine farmaceutiche. Un’apposita commissione esaminatrice delegata dal Collegium
Aromatariorum selezionava gli alunni speziali che volevano immatricolarsi nell’arte,
tramandata da padre in figlio. Più rigorosa risultava la designazione di speziali destinati a
dirigere farmacie ospedaliere ai quali era richiesta la frequenza degli insegnamenti di
chimica farmaceutica presso le facoltà mediche di Pavia e Padova. Il desiderio si superare
questo sistema era grande, e nel 1784 la nuova scuola di pubblica istruzione degli speziali
venne inaugurata presso l’Ospedale Maggiore di Milano. Dopo un inizio travagliato e una
breve interruzione per motivi econo