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Crociate, alla nascita dei Comuni, assistiamo al rifiorire, con nuova ricchezza di forme e di ritmi,
dell’arte coreutica che assume ancora un altro nome: danza (dal germanico danezzan, antico
francese dencier, spagnolo danzar, tedesco tanzen, antico slavo tanec) che, nei linguaggi romanici,
viene a collocarsi accanto alla vecchia dizione ballo ed a distinguersi ed a contrapporsi ad altre voci
germogliate in ambito europeo:
carola (da corolla; francese carole)
• ronda (francese ronde; latino rotundus)
• brando (germanico brand; francese brande)
• ridda (alto tedesco ridan)
• tresca (germanico threskan)
•
Sin qui abbiamo seguito l’evolversi di un processo semantico, abbiamo cioè visto come, sotto
l’effetto di vari eventi, cambiava la nomenclatura di una medesima manifestazione artistica: la
danza nella lunga stagione del Medioevo europeo.
Cerchiamo ora di scoprire cosa ci resta della danza medievale.
Se diamo uno sguardo alla trattatistica sul tema ci accorgiamo che essa non può soccorrerci in
quanto quella conservataci è molto tarda; siamo quasi alle soglie del Rinascimento. Intendiamo
riferirci ai famosi trattati De arte saltandi et choreas ducendi (ca. 1420) di Domenico da Piacenza
(o Domenichino da Ferrara), De praticha seu arte tripudii vulgare opusculum (conservato in sei
redazioni diverse variamente datate tra il 1460 e il 1475) di Guglielmo Ebreo e Libro dell’arte del
danzare (1465) di Antonio Cornazano, gli ultimi due discepoli del primo.
Indirettamente ci viene incontro Johannes de Grocheo, teorico musicale francese della seconda metà
del sec. XIII, con il suo singolarissimo trattato De musica nel quale, delle tre specie di musica
(mundana, humana e instrumentalis) codificate da Boezio, rifiutò le prime due e circoscrisse il suo
studio solo all’instrumentalis. Buon per noi in quanto, parlando della musica profana strumentale, ci
riporta nomi di danze e, sia pure sommariamente, ce ne descrive le forme.
Pertanto, la ricerca delle informazioni dobbiamo orientarla su altre fonti e non sempre pertinenti alla
materia oggetto della nostra indagine. Tali fonti sono rappresentate dai preziosi codici miniati della
letteratura cortese e da quelli, altrettanto importanti, della musica profana.
Utili segnalazioni le ricaviamo inoltre dagli apparati iconografici: affreschi, dipinti, miniature, che
riproducono scene di ballo, al chiuso o en plein air, che, talvolta in maniera elementare, altre volte
con dovizia di particolari, ci mostrano la composizione cavalieri-dame, il loro atteggiamento e le
loro movenze, nonché la formazione strumentale che esegue le musiche del ballo.
Diamo un fugacissimo cenno di alcune di queste fonti secondarie:
Dipinti e Miniature
l’affresco intitolato Gli effetti del buon governo di Ambrogio Lorenzetti, nel Palazzo
• Pubblico di Siena
l’affresco intitolato Danza delle donzelle nel giardino d’amore di Andrea di Bonaiuto nella
• Cappella degli Spagnoli di Santa Maria Novella a Firenze
l’affresco “Danza all’aperto” nel ciclo pittorico del Castello del Buonconsiglio di Trento
• un riquadro della miniatura della cantiga 120 delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso X
• “El Sabio” nel codice b. I. 2 della Biblioteca del Monastero dell’Escorial
una immagine da Le Roman de Fauvel del celebre miniaturista Geoffroy de Saint-Léger.
• miniatura nel “Codice d’Amore” di Ermengol de Béziers (XIII sec.) Madrid – Biblioteca del
• Monastero dell’Escorial.
Testi musicali
lo Chansonnier du Roi della Biblioteca Nazionale di Parigi
• il Codice italiano (MS Additional 29987 fols. 55v e segg.) nel British Museum
• il Llibre Vermell dell’Abbazia di Montserrat in Catalogna.
•
Alla luce di quanto detto finora, tentiamo di delineare un profilo dell’arte coreutica medievale.
Dalla variegata terminologia poc’anzi ricordata (carola, ronda, brando, ridda, tresca), arguiamo che
esistevano vari modi di danzare: in tondo; a fronte; a catena aperta.
Dal punto di vista ritmico, sappiamo ancora che le danze medievali si dividevano in:
danze vivaci e saltellate (proprie dei contadini e del popolo in generale con un più
• accentuato sviluppo pantomimico);
danze camminate o strisciate (proprie del ceto nobile e quindi cortigiane) nel cui ambito,
• sotto il profilo tecnico, individuiamo ancora due specie fondamentali per l’evoluzione
artistica:
danze “a carola” (in circolo, corali);
o danze “a coppia” (in fronte o in linea) tra cui si configura la danza di
o corteggiamento.
Su tali moduli nasce la danza (francese e italiana) del Medioevo della quale purtroppo non
conosciamo la coreografia che, dalle scarne descrizioni tramandate, doveva essere comunque assai
semplice. Tutto ciò che possiamo ricavare dalla sola terminologia ha un valore puramente
semantico, vale a dire che:
balade e ballata, stanno genericamente per ballare, ballo;
• rondeau, rotta, rondellus, rond, round stanno per danza in tondo;
• virelai (dal verbo virer) sta per “torcere”, quindi danza con torsione;
• carola, karol, querole, stanno per danza in cerchio;
•
ma, al di là di ciò, le parole nulla ci svelano sul numero dei passi, sulle movenze, su eventuali salti
ecc.
Altra cosa è invece il discorso sul piano musicale. La qualità ed il numero dei testi musicali in
nostro possesso ci consentono di ricostruire almeno quattro differenti tipologie coreutiche: danze
vocali; danze strumentali; danze sacre; danze macabre.
Le danze vocali sono le cosiddette “canzoni a ballo” e, in senso lato, anche le ballate. Esempi
classici di danze vocali sono: A l’entrada del tens clar, Souvent souspire, e Kalenda maya.
Il testo del primo di questi esempi parla di ciò che avviene all’ingresso della primavera allorché la
“regina d’aprile” indice un ballo aperto a tutte le belle fanciulle, ma dal quale debbono stare alla
larga in primis il re vecchio e geloso e, con lui, tutti gli altri mariti gelosi: Via, via, gelosi,
lasciateci, lasciateci danzare tra noi! ripete allegramente il ritornello tutto femminile.
Anche Kalenda maya può essere ricompresa tra le danze vocali. Il contenuto poetico non richiama
lieti eventi, bensì un amore infelice dell’autore, il trovatore Raimbaut de Vaqueiras, per donna
Beatrice, sorella del Marchese del Monferrato. Ma la razo che precede la composizione ci tramanda
il motivo occasionale di quest’opera che fu appunto composta sulla musica di una estampida
(ovvero di una danza) che due suonatori di viella, venuti da Parigi, eseguivano, con grande
successo, proprio alla corte dove lo stesso Raimbaut soggiornava triste e taciturno.
Le danze strumentali sono danze senza testo letterario, quindi musica strumentale vera e propria.
Nel citato De musica, Johannes de Grocheo parla di tre diversi tipi di danza medievale: Estampie,
Ductia e Nota.
L’Estampie rappresenta l’unico genere di danza di cui disponiamo di un vero e proprio corpus
musicale composto da 16 brani, provenienti da due differenti fonti di epoche diverse. Otto
composizioni, del secolo XIII, sono francesi e compaiono nello Chansonnier du Roi (vedi Fonti di
musica francese) e sono tutte chiamate Estampie, nome questo che è preceduto da una numerazione
e seguito da un’aggettivazione Real o Royal. Le altre otto risalgono al secolo XIV e sono inserite in
un codice italiano (fiorentino), acquisito dalla BL di Londra (vedi Fonti di musica italiana), con
l’intestazione Istanpitta e l’aggiunta di una titolatura più specifica: Ghaetta; Chominciamento di
Gioia; Isabella; Tre Fontane; Belicha; Parlamento; In Pro; Principio di Virtù.