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D'ITALIA

Un acceso dibattito accompagnò la legge con cui furono concessi i pieni poteri al Governo; al riguardo Cavour fu accusato dai conservatori di aver determinato una situazione antitetica al costituzionalismo liberale fondato sulla separazione tra potere esecutivo e potere legislativo mentre in conferimento dei pieni poteri fu giustificato dal convincimento che era necessaria la massima unità di decisione per realizzare gli obiettivi risorgimentali.

Il Governo, integrando in modo estensivo i poteri ricevuti, prese sotto la guida di LAMARMORA alcune fondamentali norme legislative che, anche se potevano andare oltre i limiti della concessione ottenuta dal Parlamento, costituivano il presupposto di un'UNIFICAZIONE POLITICA E GIURIDICA.

  1. Ci fu il CONTROLLO e il COMPLETAMENTO della CODIFICAZIONE Carlo-Albertina con la promulgazione del codice di procedura civile (20/11/1859), la modifica del codice penale militare e del codice di procedura penale;
  2. Ci fu...

La RIORGANIZZAZIONE dell'AMMINISTRAZIONE e dei servizi pubblici, della GIUSTIZIA e dell'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO attraverso la pubblicazione di nuove leggi sulla pubblica istruzione, sulle opere pie, sulla pubblica sicurezza, sull'amministrazione sanitaria, sui lavori pubblici, sul riordinamento delle amministrazioni.

3. Fu votata la nuova legge elettorale (20/11/1859).

La violazione del postulato garantista della separazione dei poteri determinata dall'attribuzione all'esecutivo della funzione legislativa, anche se fondamentalmente andava contro i principi del costituzionalismo, si trattava di un episodio non rilevante per l'omogeneità della classe politica rispetto all'elettorato che lo esprimeva sia per la coincidenza d'ideali e fini tra maggioranza parlamentare e Governo, perciò era passata l'epoca in cui si richiedeva sulla base della tesi di MONTESQUIEU la separazione dei poteri tra l'esecutivo monarchico e il

Il potere legislativo era affidato ad un Parlamento che, in un ramo, era a base aristocratica e in un altro a base borghese, proprio perché il predominio assoluto di una borghesia omogenea e la scomparsa di ogni potere dell'aristocrazia potevano consentire la confluenza del potere legislativo nelle mani di un esecutivo in cui il Parlamento aveva piena fiducia.

Per quanto riguarda le annessioni territoriali delle diverse regioni, nonostante le differenze riconoscibili da regione a regione nel processo formativo dello Stato nazionale e nell'abbattimento degli antichi ordinamenti, ovunque ci fu un dato comune: la formazione di organi di governo provvisori e straordinari che avevano la loro legittimazione nelle insurrezioni popolari con cui erano stati sostituiti ai principi spodestati.

In Lombardia, dopo un breve periodo di governo eccezionale da parte di commissari straordinari subito dopo l'ingresso delle truppe piemontesi, fu introdotta un'amministrazione civile.

avente a capo un governatore investito di pieni poteri per favorire l'annessione al regno subalpino; in particolare, dopo il consolidamento della nuova amministrazione e lo scioglimento degli organi del passato regime (la Congregazione centrale e quella provinciale) fu introdotta la legislazione amministrativa vigente in Piemonte, mentre con il TRATTATO DI ZURIGO (10/11/1859) fu riconosciuta la sovranità subalpina sulla regione e fu dichiarato valido il plebiscito che nel 1848 aveva espresso il consenso del popolo all'annessione della Lombardia al regno di Sardegna. Anche nelle altre regioni, i Comitati, le Giunte di Governo, le Commissioni governative, i Governatori, i regi commissari operanti nei ducati emiliani, in Toscana, in Umbria e nelle Marche per favorire l'annessione estesero, nelle zone in cui esercitavano la loro influenza, lo STATUTO ALBERTINO, cercarono di applicare le leggi e le istituzioni dello stato sardo anche se ciò doveva avvenire con.cautela per evitare l'insorgere degli autonomismi locali d'origine municipale. Mentre la prima fase del processo d'unificazione politica fu caratterizzata dalla formazione di governi provvisori che smantellarono con energia i vecchi apparati statali cercando di introdurre gli istituti giuridici della monarchia subalpina, la seconda fase fu caratterizzata dall'istituzione delle cosiddette LUOGOTENENZE REGIONALI cui erano delegati poteri straordinari di governo su un determinato territorio e su una determinata popolazione e aventi natura amministrativa dal momento che operavano alle dipendenze dello Stato sabaudo a differenza dei governi provvisori che invece operavano in modo autonomo. Con decreto del governo subalpino furono istituite le principali luogotenenze (quali quelle del principe EUGENIO in Toscana, molto cauto nel procedere alla modificazione politica, amministrativa, legislativa, ansioso di estendere le leggi subalpine, e quella del principe EUGENIO DEL CORDERO DI

MONTEZEMOLO in Sicilia) con il compito di adottare i provvedimenti utilia determinare le annessioni di tali territori con lo Stato sabaudo.Tali luogotenenze furono soppresse nel 1861 alla vigilia della proclamazione dell'unità d'Italia,perchè granparte dei loro compiti erano esauriti e ad esse furono affidate soltanto alcune funzioniavente carattere locare. Nonostante alcuni limiti, quali il grado d'arretratezza culturale dellapopolazione, è sicuramente molto indicativo il fatto che l'intera popolazione fu resa partecipe delprocesso d'unificazione, la quale, attraverso plebisciti, esprimeva il proprio consenso alla funzionee all'integrazione con la monarchia subalpina. Furono usate formule diverse per i plebiscitipopolari e in particolare si chiedeva al popolo se avesse preferito l'unificazione alla monarchiacostituzionale di VITTORIO EMANUELE II o il regno separato, e per evitare qualunque contrastocon l'organo

parlamentare fu esteso il suffragio e in particolare fu attivato il diritto di voto a coloro che abitavano nelle province lombarde e nell'Italia centrale ed in particolare il numero dei deputati passò da 204 a 387, ma tale legislatura ebbe vita breve perché travolto dalla vicende della rivoluzione nazionale; la cessione di NIZZA e della SAVOIA alla Francia era avvenuta senza la deliberazione del Parlamento necessaria per ogni trattato che aveva implicato modifiche territoriali. Le esigenze di rendere partecipe tutto l'elettorato della penisola alla formazione del 1° Parlamento italiano indussero Cavour a sciogliere nel dicembre del 1850 la camera elettiva al fine di indire le elezioni con l'applicazione della nuova legge elettorale che portava a 443 i deputati, comprendendo anche i deputati rappresentanti del Mezzogiorno eletti uno per ogni 49.000 abitanti con il sistema uninominali a doppio turno, mentre il numero dei senatori fu elevato a 211. Il nuovo

Parlamento eletto il 27 gennaio 1861 proclamò l'unità d'Italia per CAVOUR i plebisciti per le annessioni significarono l'effettiva adesione della nazione allo stato costituzionale e parlamentare senza assumere valore di volontà diretta a mutare le forme e gli istituti di questo. Egli volle mantenere inalterata l'iniziativa governativa nella guida del parlamento al momento della proclamazione del Regno d'Italia e per questo affidò ad un disegno di legge universale e non ad una proposta di legge parlamentare il compito di proclamare la nascita del nuovo Stato. Tale legge con il voto unanime della Camera fu promulgata il 17-03-61, nella quale si affermava che "Vittorio Emanuele II assume per se e per i suoi successori il titolo di RE D'ITALIA", laddove il numero ordinale II garantiva la continuità del nuovo stato rispetto all'ordinamento subalpino e la sussistenza del titolo "re d'Italia".

è stata definita come una monarchia costituzionale. Tale definizione sottolinea il ruolo centrale del sovrano, che detiene il potere in virtù della sua discendenza dinastica, ma allo stesso tempo riconosce l'importanza del consenso popolare nella legittimazione del potere monarchico. La formula "per grazia di Dio e per volontà della nazione" evidenzia questa dualità di fonti di legittimità, sottolineando che il potere del sovrano deriva sia dalla volontà divina che dal consenso della nazione. Questa formula rappresenta anche una netta rottura con il passato, segnando l'entrata in una nuova realtà statale. Durante il passaggio dalla monarchia subalpina alla monarchia nazionale, ci fu un acceso dibattito tra diverse posizioni. Alcuni, come ROMANO, sostenevano la continuità statale, affermando che i plebisciti non avevano valore giuridico senza la convalida di una legge del regno. Altri, come l'anzillotti, invece, sostenevano l'esistenza di una nuova realtà basata sulla fusione delle entità regionali, riconosciuta dalla coscienza nazionale e internazionale. Tra queste posizioni, rilevante fu quella dell'ORLANDO, che dichiarava NUOVO l'ordinamento postoin essere nel 1861, definendolo come una monarchia costituzionale. Questa definizione sottolinea l'importanza della costituzione come fondamento del potere monarchico, conferendo al sovrano un ruolo limitato e sottoposto al rispetto delle leggi.

parlamentare si poteva cogliere nella convalida delle assemblee legislative nei confronti dei plebisciti con cui si era espressa la volontà del popolo. Anche dopo l'unificazione d'Italia, la dottrina costituzionale (FIORENTINI - CASTIGLIONI) ha continuato a elaborare quella concezione pedagogica che dominava il pensiero liberale moderato con la quale era affermata la necessità di allargare con l'istituzione popolare la base consensuale ancora precaria sulla quale si fondava il nuovo Stato. Mentre prima dell'unificazione il Mancini esaltava il principio di nazionalità come fondamento della costituzione dei singoli Stati, dopo la proclamazione del regno d'Italia, la dottrina costituzionalistica cercò di mettere in luce i profondi legami che univano la costituzione alla storia e alla cultura del popolo; da ciò il frequente richiamo alle vicende delle istituzioni politiche italiane e straniere quali quelle francesi, dal

momento che le esperienze d'oltralpe avevano avuto un carattere flessibile dello Stato suscettibile di subire modifiche per consentire il miglioramento seguente al progresso civile e politico della nazione. Con la nascita del nuovo stato, in particolare la dottrina più consapevole dell'esistenza di limiti intrinseci alla frammentaria codificazione di diritto pubblico esistente e per questo che ribadì il carattere non perpetuo ma modificabile della cornice statutaria in modo che questa si potesse adeguare alle circostanze che si sarebbero verificate nel tempo consentendo riforme e miglioramenti all'intero ordinamento dello Stato. All'indomani dell'unificazione del regno d'Italia erano la grande BORGHESIA E L'ARISTOCRAZIA IMBORGHESITA, e tenere nelle loro mani la direzione politica del paese orientandone lo sviluppo sociale e politico. Il contrasto con la chiesa e l'esclusione delle masse contadine e della piccola borghesia da ogni

Possibile influenza nella vita dello Stato costrinsero la borghesia liberale ad accettare il compromesso con le FORZE SOCIALI più arretrate e quindi con la borghesia agraria del mezzogiorno garantendo a questa la continu

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Publisher
A.A. 2006-2007
54 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher niobe di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della cultura francese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Ferrandes Carmela.