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LE KHMER ROUGE
Fino alla primavera del 1970, niente che Saloth Sar avesse fatto o permesso che venisse fatto dal
Partito che dirigeva diede il minimo indizio degli episodi abominevoli che sarebbero seguiti. Stando a
tutte le apparenze, era ancora sempre lo stesso personaggio sorridente, gradevole e che parlava a bassa
voce, il quale, da studente a Parigi era ricordato per il suo umorismo e come buon compagnone; e in
seguito come insegnante a Phnom Penh, era stato adorato dai suoi allievi e infine, da comunista, era
per la sua capacità di mettere d’accordo tendenza e gruppi differenti. Il suo alias
apprezzato
rivoluzionario degli anni sessanta rifletteva la sua reputazione. Si faceva chiamare infatti Pouk, che
significa materasso, in quanto il suo ruolo era quello di ammorbidire i contrasti. Certo, sotto il suo
comando il Partito comunista aveva dichiarato guerra a Sihanouk, ma in buona parte gli era stato
imposto. In uno stato profondamente corrotto, retto da un autocrate e lacerato dall’ingiustizia sociale
ed economica, la ribellione armata era diventata non solo una scelta naturale, ma addirittura
inevitabile, per qualsiasi giovane idealista, uomo o donna che fosse, preoccupato del bene della
nazione. Per di più, la ribellione non era stata, nei primi momenti, molto diversa da conflitti simili in
altre parti del mondo. I capi villaggio che collaboravano con i khmer rossi, furono trucidati in pubblico
con esemplari esecuzioni di massa, vi furono dei piccoli atti di banditismo, ma nulla a confronto delle
atrocità perpetrate dal dalle truppe governative, in questa fase della ribellione sicuramente la violenza
era appannaggio del governo cambogiano. Con questo non si vuol dire che le forze che avrebbero dato
una forma tanto malvagia alla rivoluzione dei khmer rossi non fossero già al lavoro, vorrei solo
ricordare che la violenza generata dal colonialismo e dal “capitalcolonismo” è stata precorritrice di
tutta quella che scaturì in Cambogia dopo l’aprile 1975. Basti pensare al principio guida che si era dato
il PCK, se catturi un contadino rimandalo a casa se catturi un combattente è un nemico quindi
uccidilo, si doveva tracciare una linea netta di demarcazione , tra loro e gli altri. Dato che quello era il
modo in cui si comportavano le truppe governative. Anch’esse facevano pochi prigionieri. Ma la
giustificazione dei comunisti, tracciare una linea netta di demarcazione sollevò problemi diversi. Le
forze governative uccidevano i loro prigionieri perché Sihanouk aveva ordinato una repressione
esemplare. I khmer rossi lo facevano perché i <<nemici>> erano definiti come incorreggibilmente
ostili. Non si trattava ancora di un articolo di fede, ma l’approccio maoista, strumentale nel conseguire
la vittoria nella guerra civile cinese, che i prigionieri nemici potevano e dovevano essere convertiti alla
causa comunista, non rientrava nel modo di pensare dei cambogiani. Nelle culture confuciane della
Cina e del Vietnam, gli uomini, in teoria, sono sempre in grado di essere riformati. Nella cultura
khmer no. La linea di demarcazione è assoluta. Questo atteggiamento è conforme al pensiero e al
comportamento khmer, ma la sua applicazione dipende dalle circostanze. Alla fine divenne
predominante in ogni aspetto della politica e della pratica del PCK. 23
Nemico Proletario
Nella primavera del 1970, ancora nessuno poteva immaginare in quale inferno avrebbero portato la
c’erano solo alcuni spunti su cui poter riflettere, prima di arrivare alla
Cambogia, i khmer rossi,
distruzione totale di un popolo. L’insistenza di Sar che la rivoluzione doveva essere guidata da
un’alleanza di contadini e intellettuali era, in termini marxisti ortodossi, una ricetta estremista.
– –
Entrambe le classi secondo Marx e secondo Mao avevano le caratteristiche della piccola
borghesia: individualismo, incostanza, indisciplina e una tendenza alla metapsichia e all’anarchia.
Avrebbero potuto comportarsi da rivoluzionarie soltanto sotto la guida del proletariato. Ma qualcosa
non tornava, in questo ragionamento super comunista. Per Sar e i suoi colleghi non furono le certezze
del socialismo scientifico, negli scritti di Marx e di Lenin, di Mao e di Stalin, a offrire le risposte belle
pronte a ogni problema che incontravano. I cambogiani cercarono d’intuito la loro via verso il
dichiarò Sar <<risiede all’interno dei movimenti forgiati dal
comunismo. <<il marxismo-leninismo>>
popolo e sono i movimenti popolari in ogni azione a costruire il loro marxismo-leninismo. Non era
necessario che i membri del Partito studiassero i classici marxisti e di conseguenza non era necessario
tradurli in khmer. Sar riconobbe che l’esperienza estera poteva fornire utili lezioni, ma l’obiettivo era
una dottrina khmer autentica, con le radici dell’identità cambogiana. Un approccio non dottrinario,
quasi mistico, del genere, al comunismo, non aveva precedenti né con il marxismo cinese né in quello
europeo. C’era un parallelo superficiale con gli scritti di Mao. Sar, come lui, credeva che la verità
rivoluzionaria veniva <<dalle masse, verso le masse>>. Entrambi avevano un concetto romantico dei
contadini. Per Mao i contadini erano puri e senza macchia, per Sar, come per Rousseau, essi
riassumevano i desideri più nobili, più profondi della loro razza. Ma il romanticismo rivoluzionario di
Mao era temperato, almeno in teoria, da una coscienza della realtà. Come aveva spiegato in Sulla
nuova democrazia, che Sar aveva letto a Parigi. <<Noi non siamo utopisti e non possiamo staccarci
dalle vere condizioni che abbiamo davanti>>. Era necessario <<cercare la realtà dei fatti>> e
<<collaudare con l’azione la bontà delle idee>>.
Per Sar e i suoi colleghi, queste considerazioni non erano semplicemente valide. Quel che importava
era la visione, l’ispirazione. Mentre Mao era il prodotto di una società intensamente razionale, istruita,
con tradizioni altamente sviluppate di dibattito filosofico, il retaggio culturale di Sar era irrazionale,
k’ruu,
orale, guidato dal trascendentalismo theravada e dagli gli spiriti maestri, la cui verità non
derivava dall’analisi ma dall’illuminazione. Il Partito cambogiano identificò i contadini delle classi
medie e inferiori come il <<semi-proletariato>> delle campagne e i contadini poveri e senza terra
come << l’elemento di base della classe lavoratrice e linfa vitale della rivoluzione>>, un’eresia, in
termini marxisti, che cercò di mascherare insistendo sul ruolo guida delle minuscole forze operaie
a quell’epoca
industriali, non più di diecimila elementi. Ma partendo da Sar arrivando a Sary, nessuno
dei quadri dirigenti del partito aveva idea di cosa fosse l’industria, erano contadini studenti, per loro
l’industria era come un libro chiuso. L’incapacità del Partito di penetrare nel nascente proletariato
della nazione avrebbe avuto conseguenze vastissime. Sar e i suoi colleghi non si chiesero mai quali
errori stessero stavano commettendo. Nel 1965 decisero che le <<fabbriche>> erano state infiltrate e 24
che << gli operai erano stati trasformati in agenti nemici>>. Da quel momento, a tutti gli operai delle
fabbriche venne sistematicamente rifiutata l’iscrizione al partito. Per un partito comunista, la cui
raison d’etre è proprio quella di rappresentare la classe operaia, questa fu una decisione sorprendente.
Il problema, per questo approccio, era che capovolgeva il marxismo. Per Marx, il proletariato
industriale rappresentava il progresso; i contadini rappresentavano l’arretratezza e la piccola borghesia
l’estremismo. Perché i contadini sviluppassero caratteristiche proletarie, il loro ruolo nella società
avrebbe dovuto cambiare in un modo che, per un marxista ortodosso, poteva venire soltanto dalla
trasformazione del suo ruolo economico.
L’uscita da questa difficoltà, venne offerta a Sar dal buddhismo. La parola khmer vannan, rappresenta
la metafisica theravada l’ultimo dei cinque aggregati sensoriali che condizionano la vita. Significa
coscienza ed è la forza che anima ogni impresa umana. Per <<proletarizzare>> i contadini, l’unica
necessità, in questa situazione di ispirazione buddhista, era la <<coscienza proletaria>>. La classe, che
per i marxisti di qualunque parte, compresa la Cina, era determinata dall’attività economica di una
persona, era per i comunisti cambogiani un attributo mentale. Che questo fosse del tutto eretico non
importava. Ai khmer sembrava un’idea attraente e logica.
“Estremo” oriente
Le strutture statali cambogiane erano al collasso, la terra del sorriso si stava pian piano inzuppando del
sangue vietnamita. Gli americani bombardavano costantemente le zone di frontiera, colpendo anche la
popolazione inerme. Lon Nol alla direzione del paese era sempre più isolato, Sihanouk, in esilio
cominciava a prendere contatti, con alcuni paesi comunisti, come la Russia e la Cina, ed era alla guida
del governo di unione nazionale in esilio, il Grunc, le fila dei khmer rossi si ingrossano costantemente.
In questa parte di mondo l’estremo era la consuetudine. L’estremismo dei khmer rossi cominciava a
venire a galla, nonostante il Partito fosse diretto da intellettuali, lo studio dei libri veniva disprezzato,
l’insistenza monastica della disciplina venne esasperata, i bagni d’indottrinamento vennero aumentati,
l’isolamento era la chiave di Volta per la riuscita della rivoluzione, la jungla era la cattedrale per
professare il verbo comunista khmer. Più che un partito il PCK, sembrava una setta religiosa. Ma fino
all’aprile del 1975, nessuno poteva minimamente sospettare della follia sterminatrice che avrebbe
modificato radicalmente la società cambogiana, vuoi per il permissivismo del popolo khmer, vuoi
perché all’alternativa colonizzatrice degli americani, che per mano di Lon Nol stava mietendo vittime,
i khmer rossi erano l’unica sicurezza per una Cambogia finalmente libera e unita. Per i primi due anni
dopo la destituzione di Sihanouk, la politica dei khmer rossi nelle campagne si era fatta notare
soprattutto per la sua moderazione. I khmer rossi garantivano il funzionamento dei villaggi martoriati
dai bombardamenti, trattavano con delicatezza i contadini perché l’unico modo di guadagnare
l’appoggio era migliorando la loro vita. Per chi veniva considerato ostile, la situazione era diversa.
Opporsi alla rivoluzione, sia con le parole sia con gli atti, di solito comportava la morte. Nella maggior
parte dei casi, il colpevole veniva convocato al comando del distretto e non faceva più ritorno. Ma
queste furono eccezioni, il khmer rossi facevano di tutto per non inimicarsi la popolazione. Dopo la 25
riunione