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Storia dell'arte moderna - Piero della Francesca Pag. 1
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L’UMANESIMO IN PITTURA: PIERO DELLA FRANCESCA

DOMENICO VENEZIANO (1410-1461)

Di origine veneziana, Domanico di Bartolomeo, attivo tra Umbria e Toscana, seppe

appropriarsi delle novità rinascimentali fondendole con la sua formazione di stampo gotico

internazionale, avvenuta sulle opere di Gentile da Favriano e Pisanello. Nella “MADONNA COL

BAMBINO” del 1443, sullo sfondo di un roseto, la Madonna è rappresentata in piedi, a mezza

figura, con il Bambino in piedi davanti che si protende verso di lei per abbracciarla. La

tavolozza è tenue e delicata, dipinta con colori vivaci e brillanti, influenzati dalle opere

dell’Angelico e della sua pittura di luce; mentre la plasticità delle figure appare accentuata,

secondo l’esempio di Masaccio e Donatello. Le aureole e le rose sullo sfondo mostrano un

andamento prospettico.

Tra il 1445 e il 1450, Domenico eseguì la straordinaria “PALA DI SANTA LUCIA DE’ MAGNOLI”:

lo spazio è definito secondo un complesso sistema prospettico, con tre punti di fuga, che

dimostra la massima attenzione per la descrizione dei fenomeni luministici. La luce è un

elemento fondamentale dell'opera, che si stende tenue sulle architetture e sui personaggi,

entrando dall'alto, dal cortile scoperchiato dietro il quale si stende un giardino, come fanno

intendere i rami di tre aranci sullo sfondo del cielo azzurro. I santi presenti sono San Giovanni

Battista e San Zanobi, protettori della città di Firenze e della sua diocesi, Santa Lucia, titolare

della chiesa, e San Francesco. Straordinariamente ricco è l'abito vescovile di san Zanobi, in

particolare la mitria, in stoffa vellutata sulla quale sono incastonate perle, pietre preziose,

placchette d'oro e smalti. La predella era composta da tavole con le storie dei santi illustrati e

un'Annunciazione a dimensione doppia: San Francesco riceve le stigmate e San Giovanni

Battista nel deserto, l' Annunciazione e il Miracolo di san Zanobi e il Martirio di santa Lucia.

Proprio questa "sintesi di luce e colore" è l'elemento fondamentale che si trasmise a Piero

della Francesca, allievo di Domenico, ben visibile nei suoi capolavori come le Storie della Vera

Croce di Arezzo. I volumi sono modellati con grazia e la tavolozza di tonalità "pastello" risente

in maniera esemplare delle più fini variazioni della luce e dello spazio.

“ADORAZIONE DEI MAGI” (1438) commissionatogli da Piero dé Medici.

L'opera si ispira, per eleganza, sontuosità e tono fiabesco della rappresentazione, alle

opere tardogotico, in particolare a Gentile da Fabriano e Pisanello, tradotti da Domenico

mediante la prospettiva; ma vi si trovano perfettamente fusi elementi nuovi del Rinascimento,

come la padronanza spaziale e dei volumi, la fisicità reale dei personaggi, l'uso unificato della

luce, che coinvolge nella medesima visione sia i dettagli più minuti in primo piano che il

paesaggio più lontano. Le colline più lontane sono chiarissime per effetto della foschia, e

rivelano un'assimilazione precoce delle novità della pittura fiamminga, che in quel periodo

erano già oggetto di collezionismo a Firenze. Domenico fa sintesi perfetta dello stile di

Masaccio e la pittura fiamminga di van Eyck, insegnamenti su cui il giovane Piero della

Francesca si forma. Il paesaggio sullo sfondo, sintetico e brullo, si arricchisce di con una

qualtità di specie vegetali descritte con attenzione.

PIERO DELLA FRANCESCA (1415/20-1492)

Figura chiave del Quattrocento italiano; nativo di Borgo San Sepolcro, Piero compì numerosi

viaggi nella penisola: a Roma, Ferrara, Rimini, esercitando una forte influenza sulla locale

cultura figurativa. Non si possono spiegare senza la pittura di Piero, la nascita della Scuola

Ferrarese o l’evolversi della pittura di Bellini e Antonello da Messina.

La ragione dell’enorme fortuna della sua pittura risiede, oltre che nella qulità eccelsa delle sue

opere, nell’accordanza tra visioni prospettiche e geometrizzazione delle forme, con un forte

senso della figura umana, protagonista dei suoi dipinti ed immersa in atmosfere nitide e

rischiarate da una luce assoluta e metafisica.

La sua opera fece da cerniera tra la prospettiva geometrica brunelleschiana, la plasticità

di Masaccio, la luce altissima che schiarisce le ombre e intride i colori di Beato

Angelico e Domenico Veneziano, la descrizione precisa e attenta alla realtà dei fiamminghi.

Altre caratteristiche fondamentali della sua espressione poetica sono la semplificazione

geometrica sia delle composizioni che dei volumi, l'immobilità cerimoniale dei gesti,

l'attenzione alla verità umana.

“BATTESIMO DI CRISTO” (1448-1450)

In origine parte centrale di un polittico. Gesù, in posizione frontale, sta ricevendo

il battesimo da san Giovanni nel Giordano, mentre dal cielo è comparsa, in conformità col

racconto evangelico, la colomba dello Spirito Santo. Sottili striature d'oro rappresentano la

luce divina che discende con la colomba. A sinistra, accanto a un grosso albero dal fogliame

fitto, assistono alla scena tre angeli. A destra, più in lontananza, un altro battezzando si sta

spogliando, mentre sullo sfondo sta passando un gruppo di sacerdoti greci, uno dei quali

indica stupefatto il cielo.

Il dipinto è composto secondo una rigorosa costruzione geometrica, la composizione

manifesta l'idea di appartenenza dei soggetti al tutto: la colomba dello Spirito Santo è

accostabile alle nuvole sullo sfondo, Gesù è assimilabile al bianco tronco d'albero che ha

accanto a sé, reso possibile mediante il concepimento delle figure come forme geometriche. I

tre angeli, vestiti di colori differenti, si tengono per mano, in segno di concordia: molti critici

vedono in loro la celebrazione del Concilio tenutosi in quegli anni a Firenze (1438-1439) per

l'unificazione della chiesa occidentale con quella orientale. Tale simbolismo sembra essere

testimoniato anche dalla presenza, subito dietro il neofita, di personaggi vestiti all'orientale.

Già in quest'opera sono evidenti i debiti con la scuola pittorica fiorentina, in particolare la

solidità plastica di Masaccio e il colore luminoso dei "pittori di luce" quali Beato

Angelico e Domenico Veneziano, sebbene il tutto sia reinterpretato in maniera personalissima.

La luce annulla le ombre rendendo omogenea tutta la composizione. L’intera scena è

ambientata in un paesaggio collinare indagato con minuzia, memore della lezione fiamminga.

In questa pittura di sintesi tra prospettiva e luce che punta ai volumi, Piero raggiunge

un’armonia totale della composizione.

“POLITTICO DELLA MISERICORDIA” (1445-1460)

Commissionatogli dalla Confraternita della Misericordia, il polittico si presenta ancora di gusto

arcaizzante con la presenza del fondo oro: elementi richiesti dalla committenza stessa.

Nonostante queste limitazioni Piero riuscì a creare un'opera di forte modernità, tramite alcuni

espedienti quali la fusione spaziale in un unico pannello principale della Madonna della

Misericordia e dei quattro Santi, ai piedi dei quali corre un unico gradino marmoreo e con

dettagli, quali le vesti dei fedeli inginocchiati, che sporgono negli attigui scomparti. Al centro

si trova la Madonna della Misericordia, una rappresentazione della Vergine Maria che apre il

mantello per dare riparo e protezione alle persone che la venerano, esemplata all’iconografia

medievale della "protezione del mantello". I fedeli sono gerarchicamente più piccoli e sono

disposti a semicerchi, quattro per parte (uomini a sinistra e donne a destra), lasciando un

ideale posto al centro per l'osservatore. Nella cimasa rappresentante la Crocefissione, si nota

una maggiore dipendenza da Masaccio, con il Cristo rappresentato di scorcio ottimizzato per

una veduta dal basso, migliorando il tentativo sperimentale, ma un po' goffo,

della Crocifissione masaccesca di Napoli. I gesti della Vergine Maria e di Giovanni, ai lati della

croce, sono ampi e drammaticamente espressivi, ricordando da vicino il pathos dell'analoga

tavola masaccesca. È stato osservato come le figure sono investite della solidità delle opere

di Masaccio, immersi nel colore insegnato da Domenico Veneziano e fanno tutte da contorno

al gesto della Madonna, scolpito dalla prospettiva appresa dagli studi di Filippo Brunelleschi.

La chiesa di San Francesco di Rimini era il tradizionale luogo di sepoltura del Malatesta e tra

il 1447 e il 1450 Sigismondo Pandolfo Malatesta lo fece trasformare in un mausoleo

classicheggiante, un vero e proprio tempio dinastico, su progetto di Leon Battista Alberti. Il

progetto, sebbene incompiuto, ridefinì completamente l'edificio, che da allora venne

chiamato Tempio Malatestiano.

Piero della Francesca si trovava a Rimini alla corte di Pandolfo e lavorò al cantiere del Tempio

lasciando il monumentale affresco votivo di “SIGISMONDO PANDOLFO MALATESTA

INGINOCCHIATO DAVANTI A SAN SIGISMONDO”(1451) nella cappella di San Sigismondo. Al

centro esatto dell'affresco sta inginocchiato Sigismondo Pandolfo Malatesta, ritratto di profilo

e con le mani giunte, mentre prega san Sigismondo, re dei Burgundi e suo protettore, ritratto

seduto in trono al di sopra di un gradino nella parte sinistra dell'affresco e reggente in mano i

segni della sua dignità regale. Dietro Sigismondo Pandolfo si trovano, nell'estremità destra

inferiore, due cani levrieri accucciati, uno bianco ed uno nero, di estrema eleganza formale,

ritratti dal vero con una cura degna delle migliori opere naturalistiche di Pisanello. Essi

simboleggiano la fedeltà (quello bianco) e la vigilanza (quello nero).

“LA FLAGELLAZIONE” (1452 c.)

Originale è la composizione della scena, divisa in due parti, con tre figure in primo piano a

destra, sullo sfondo di una via cittadina all'aperto, e la flagellazione vera e propria che

avviene a sinistra, più distante, al di sotto di un edificio classicheggiante. Due colonne in

primo piano inquadrano la scena e, soprattutto quella in posizione semicentrale, fanno da

spartiacque con il mondo esterno, regolato da una diversa concezione e illuminazione. Le due

aree rettangolari stanno fra loro in rapporto aureo. Delle tre figure a destra, quella centrale è

un giovane vestito di rosso, con i piedi scalzi; quello di sinistra è un uomo maturo barbuto, con

un cappello alla bizantina, i calzari da viaggio e un mantello bruno avvolto all'antica, ritratto

mentre sembra accennare una richiesta di silenzio per iniziare a parlare; il terzo, a destra, è

un uomo in età più avanzata, con la capigliatura rasata e con un sontuoso vestito broccato

azzurro ed oro. La parte sinistra è ambientata in un edificio aperto posto più in profondità,<

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Publisher
A.A. 2013-2014
5 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/02 Storia dell'arte moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aandreadrew94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Pattanaro Alessandra.