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ALBRECHT DÜRER

Albrecht Dürer è certamente una delle personalità artistiche più affascinanti e poliedriche dell’Europa del

‘500. Oltre che teorico dell’arte è stato un uomo di cultura universale, amico dei gradi Umanisti dell’epoca.

Questi sono gli elementi essenziali che caratterizzano sua vita e personalità:

- Formazione come orafo e incisore;

- Soggiorno veneziano di un anno, passando per Mantova e Padova; primo contatto con l’opera di

Mantegna, Vivarini e Bellini;

- Produzione incisoria nella quale traspare la cultura italiana;

- Secondo soggiorno italiano (1505-1507) e definitiva assimilazione della nostra cultura, in

particolare di quella veneta combinata a componenti nordiche.

- Scrittore e illustratore di trattati di anatomia geometrica, sulla costruzione di meridiane e sulle

fortificazioni;

- Attenzione al dato naturale mediante la realizzazione di acquarelli con paesaggi, studi botanici e

animali.

Dopo una formazione come orafo e incisore nelle officine librarie della città natale e di Basilea, Albrecht

Dürer (1471-1528), soggiorna probabilmente nelle Fiandre, dove apprende la lezione di Van Eyck; a 23 anni

si trasferisce a Venezia e passa per Mantova e Padova. A Venezia si ferma per un anno e studia opere del

Bellini, Vivarini e Carpaccio. In questo primo soggiorno prende contatto anche con l’opera di Mantegna. 66

Negli anni successivi, ritornato in patria completa una serie di incisioni con i temi dell’Apocalisse (1498),

della Passione di Cristo e della Vita di Maria (1500), che, troveranno larda diffusione in Italia, grazie alla

forte tensione drammatica e alla sapiente articolazione spaziale. La produzione pittorica di quegli anni,

testimoniata dall’Autoritratto del Museo del Prado, dimostra una resa minuziosa per i dettagli e per

rifrazione della luce sulle diverse superfici rappresentate. Sullo sfondo nota una luminosa apertura

paesaggistica, che evidenzia l’attenzione dell’artista per il dato naturale. Di Dürer si conoscono autoritratti a

partire dall’età di tredici anni. Addirittura si potrebbe seguire il suo percorso artistico attraverso gli

autoritratti che, raccontano la storia di un uomo e della sua arte. A un secondo soggiorno veneziano risale

dipinto raff La festa del Rosario, realizzato nel 1506 per Chiesa di S. Bartolomeo. Affollata composizione,

comprende anche Massimiliano I e probabilmente papa Sisto IV in primo piano e autoritratto pittore su

sfondo a dx, combina tradizione fiamminga, nella descrizione degli ornamenti, delle luminescenze e

paesaggio fantastico, alla tradizione monumentale e coloristica dei pittori attivi in laguna. Il distacco

dall’Italia sarà traumatico. Dopo il secondo soggiorno veneziano Dürer progetta un trattato sulle

proporzioni umane, in linea con studi leonardeschi che probabilmente conosceva. Il libro trova diverse

redazioni, fino all’anno della morte nel 1528. In quello stesso frangente la vedova cura l’edizione del testo

che comprende anche norme di geometra. Con questo libro l’artista vuole essere d’aiuto non solo ai pittori

ma anche a “orafi, scultori, scalpellini, e tutti coloro che si servono delle proporzioni”. Ritratto della natura:

in ambito tedesco, Dürer ha posto un’attenzione inedita, per intensità e varietà, al dato naturale,

rapportabile soltanto all’esperienza di Leonardo. Rispetto a quest’ultimo si conservano disegni

maggiormente dettagliati, realizzati speso ad acquarello e tempera della fortissima impronta realistica.

Nella Grande zolla d’erba Dürer ritrae diverse specie botaniche, con una precisione degna di un botanico. La

stessa attenzione si rivela nella variegata Ala di una ghiandaia dove spicca, il monogramma che

contraddistingue le opere autografe dell’artista. La definizione con cui vengono elencate le diverse piume

conserva ancora oggi la brillantezza cromatica originaria, facendo apprezzare i diversi paesaggi tonali.

Questi fogli, fanno assumere alla rapp della natura una dignità paragonabile soltanto al genere della natura

morta, che prenderà piede a partire dalla fine del ‘500. Si veda la Testa di cerco abbattuto, dove l’artista

ritrae il cranio di un cervo trafitto da una freccia, con uno sguardo impietoso senza preoccupazione

compositiva. Allo stesso modo anche paesaggi, che diverranno un genere autonomo di lì a un secolo,

vengono colti da Dürer con maniacale precisione, senza rinunciare ad una profonda suggestione

atmosferica. L’acquarello raffigurante il castello di Arco restituisce, come in una fotografia, un’istantanea

della cittadina veneta ai primi del ‘500, che colpisce più di qualsiasi disegno di artisti e di lui contemporanei,

data anche dal sapiente uso dell’acquarello. Altri artisti dell’arte Nordica: fra gli artisti che portano

l’estrema tensione espressiva e lineare l’arte nordica va annoverato Mathis Gothart Neithart detto

Grunewald (1480-1528). È attivo sui primi del Cinquecento come architetto e ingegnere idraulico per il

cardinale e principe elettore Alberto di Brandeburgo a Magonza, a città che deve precipitosamente

abbandonare nel 1526 per sospetta partecipazione alla rivolta contadina degli Anabattisti contro Chiesa

cattolica. Hans Holbein il Giovane (1497-1543) formatosi ad Augusta nella bottega del padre, durante tutta

la sua carriera, che interessa centri come Basilea e Londra, realizza una galleria incredibile di ritratti, da

Erasmo da Rotterdam (1523 circa) a Enrico VIII .Le fonti parlano di un soggiorno lombardo che,

spiegherebbe le forti assonanze fra la sua pittura e quella di alcuni “lombardi” d’adorazione come Leonardo

e Lotto. L’artista che più di tutti impronta il secolo, è Pieter Bruguel il Vecchio (1530-1569), che vanta un

soggiorno italiano intorno a metà secolo. L’attenzione per il dato paesistico e per descrizione minuziosa

della vita popolare emerge in quadri come i Cacciatori nella neve, la mietitura e il ritorno di Mandria. Sono

soprattutto questi dipinti, di carattere laico e in presa diretta sul quotidiano, a contraddistinguere la

produzione del pittore. Non manca nella sua opera il gusto per l’aneddoto morale, come si vede ne La

parabola dei ciechi realizzata un anno prima di morire: un gruppo di non vedenti, seguendo il primo di una

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lunga fila, cade in un fosso. L’episodio sembra quasi un monito alla condizione esistenziale e politica del

Paese di Bruegel, dilaniato da lotte religiose.

 Unità 16: Lo sperimentalismo anticlassico e L’Età della maniera

I caratteri fondamentali del Manierismo si possono distinguere così:

- Il termine Manierismo non si deve intendere in senso negativo; deriva da parola maniera, cioè stile,

e caratterizza in parte la produzione degli stessi artisti della “terza maniera vasariana” e quella ad

essa successiva;

- Il Manierismo presuppone l’uso della “licenza”, cioè del bizzarro, dell’estroso, del virtuosistico;

- Si possono distinguere due fasi:

a) Un primo periodo di rottura (apice fra 1515-1525), nei confronti della tradizione classicista,

esemplificabile nello sperimentalismo anticlassico di Rosso e Pontormo;

b) Seconda fase, detta Età della maniera (1527-1530), in cui si evidenziano aspetti introdotti

dall’uso della “licenza” all’interno dell’ordine normativo delle regole pittoriche,

architettoniche e di scultura: si esaltano gli aspetti edonistici e celebrativi sui significati e

sulle strutture.

FIRENZE: FASE PRECOCE DELLO SPERIMENTALISMO ANTICLASSICO. Tra il 1515 e 1525 si verifica una prima

fase, precocissima, di sperimentalismo anticlassico ben esemplificabile nella situazione fiorentina e in

particolare nell’opera di Jacopo Carrucci detto Pontormo (1494-1557) e di Giovan Battista di Jacopo, più

noto come Rosso Fiorentino (1495-1540), entrambi con alle spalle un periodo formativo nella bottega di

Andrea del Sarto ( 1486-1531). Il fiorentino Andrea del Sarto (1486-1531) è soprannominato da Vasari

“Andrea senz’errori”, per la sua arte perfettamente equilibrata e quasi anacrosticamente “accademica”,

maturata sugli es lasciti a Firenze da Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Andrea del Sarto, realizzata nel

1517 la Madonna della Arpie: un’accorta combinazione di sfumato leonardesco nei volti, di grazia

raffaellesca e di monumentalità da vicino alla tecnica mostrata nel Tondo Doni. In sostanza viene

assemblato in un linguaggio provo di qualsiasi originalità, una sorta di incastro stilistico sapientemente

selezionato. Andrea è es più alto di questa tendenza a combinare leonardismo, raffaellismo e

michelangiolismo. Altri artisti come Fra’ Bartolomeo della Porta (1475-1517) o Mariotto Albertinelli (1474-

1515) presentavano a Firenze un linguaggio pittorico abbastanza simile. La perfezione raggiunta da Andrea

del Sarto e il clima culturale decisamente classicista a Firenze in questi anni avrebbero prodotto una

reazione sperimentale da parte di Rosso e Pontormo, atta soprattutto a contraddire, l’apollineo classicismo

imperante. Un ruolo non indifferente nell’elaborazione del linguaggio dei due artisti assume un pittore che

presenta una naturale propensione anticlassica: lo spagnolo Alonso Berrugeuete (1486-1561) che verso

fine del primo decennio del ‘500 fa la spola fra Roma e Firenze, città nelle quali è sicuramente in contatto

con Raffaello e Michelangelo. Da questi apprende il nuovo linguaggio della maniera moderna che traduce in

un’inquietante personale versione, come dimostra Salomè dipinta nel 1515, che presenta stringenti affinità

con tendenze anticlassiche di Rosso e Pontormo. Rosso e Pontormo: due posizioni a confronto: per avere

un’idea della tensione spirituale e stilistiche che raggiungono le opere del Manierismo si mettano a

confronto due dipinti, uno di Rosso e uno di Pontormo, realizzati più o meno nello stesso periodo. La prima

pala è una Deposizione della Croce, eseguita intorno al 1521 da Rosso Fiorentino per la Chiesa di S.

Francesco a Volterra ( tavola non è finita: presenta l’indicazione delle tinte scritta a matita su alcune parti).

La composizione è tutta giocata su ritmi spezzati, dati dalle figure spigolose, dalla struttura geometrica della

croce, gesti conciati e dai colori cangianti. Lo spazio è estremamente piatto, personaggi presentano

un’anatomia sfaccettata da pianti geometrici piuttosto rigidi: il tutto è decisamente irreale, come sospeso

nel vuoto. Le figure nella parte sup. presentano toni tragici talmente esasperati da sfiorare la caricaturale.

La struttura di base è quasi simmetrica, alla croce a “T” lievemente disassata verso sx, sono appoggiare sue

scale, una davanti e l’altra dietro, mentre una terza scala è sistemante lateralmente. Il cielo è di un blu 68

intenso che s

Dettagli
A.A. 2016-2017
103 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/02 Storia dell'arte moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lely17-votailprof di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Stoppa Jacopo.