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I NEGOZI OLIVETTI
Progetto d’identità e autonomie espressive
Negozio Olivetti, Torino, Xanti Schawinsky (allievo del
Bauhaus), 1935: Schawinsky non affronta il negozio come un
problema di architettura o di arredamento, ma come
problema di visual design. Egli accosta l’esposizione
commerciale alla comunicazione visiva. L’azienda otterrà il
primato nel campo del design integrato e della
comunicazione pubblicitaria. Ciò avverrà principalmente a
opera degli artisti e architetti, coinvolti nel progetto di identità aziendale, che avranno
la capacità di creare un collegamento tra i principi del disegno industriale e le
esperienze delle avanguardie artistiche. Nel capostipite dei concept-store Olivetti, che
Xanti disegna per il punto vendita di Torino, nel 1935, il tema della presenza
dell’oggetto(prodotto) e la sua identificazione passa in secondo piano rispetto
all’esigenza di comunicare il progetto d’impresa.
L’iterazione dell’oggetto è alla base anche del suggestivo punto vendita Olivetti di
Napoli, che Piero Bottoni progetta nel 1937. In questo caso, la grande innovazione è
legata all’approccio architettonico allo spazio del negozio. Una grande vetrata
continua, impostata sul filo esterno dell’edificio, contiene, ritagliata al suo interno, la
porta d’ingresso. Due esili colonne circolari, poste dietro la superficie del vetro,
sorreggono l’ampia luce del portale; visibilità totale dello spazio interno, profondo solo
pochi metri. La trasparenza è totale, tanto che l’insegna Olivetti è collocata sulla
balaustra della passerella che, attraversando longitudinalmente il negozio, collega i
due soppalchi.
Nei negozi Olivetti, l’architettura non è più foderata, rivestita, arredata, ma un puro
vuoto che accoglie il prodotto; Ed è a questo punto che lo spazio del negozio, rimasto
libero, verrà utilizzato per parlare d’altro, e più precisamente per parlare d’arte.
Collocare l’arte moderna all’interno di una nuova architettura era in quegli anni un atto
d’avanguardia.
Ugo Sissa: il negozio Olivetti in via del Tritone, Roma, 1943
Sul piano tipologico, esiste una differenza tra il negozio base, che
verrà più volte ridisegnato nel corso degli anni, e il cui tipo
standard è rappresentato dal progetto di Gian Antonio Bernasconi,
sviluppato nel 1941, e i negozi che vengono aperti nelle città più
importanti, come veicolo di promozione dell’immagine del marchio. Si tratta, in questi
casi, di spazi disposti su più piani, in cui vengono organizzate le attività: la parte
espositiva a livello strada, un piano interrato dedicato a deposito e a sala di prova
delle macchine, e un mezzanino o primo piano dove vengono svolti i corsi di
dattilografia. Il negozio realizzato da Ugo Sissa nel 1943 a Roma, utilizza questa
configurazione su più livelli, per accentuare il valore spaziale del negozio che
rappresenterà un modello per una serie di interventi sucessivi. Il progetto è tutto
giocato sulla connessione dei tre livelli del negozio attraverso l’articolazione delle
rampe di una scala in metallo e pietra, estremamente leggera sul piano visivo perchè
priva di alzata.
La SCALA come elemento di raccordo con il piano ammezzato ricorrerà anche nei
progetti BBPR a New York e di Scarpa a Venezia, diventando un “episodio”
architettonico centrale nella configurazione dello spazio nei negozi Olivetti. La scala e
quindi l’architettura è al centro dell’attenzione del visitatore. Ponendo lo spazio al
centro del progetto e riducendo gli elementi espositivi a pure lastre di supporto a
parete, Ugo Sissa elimina l’interferenza dell’elemento “arredo” e stabilisce una
relazione diretta tra architettura e prodotto. In questa
architettura vuota, Sissa ritiene che debba essere
inserito un elemento di mediazione tra spazio e
prodotti: l’opera di un’artista.
BBPR: il negozio Olivetti in Fifth Avenue, New
York, 1954
Nel 1952 il MoMA di NY organizza la mostra “Olivetti:
design in industry”. Questo riconoscimento
accompagna l’espansione dell’azienda verso una
dimensione internazionale; infatti nel 1954 l’apertura
del negozio Olivetti a New York è una conseguenza
della creazione nel 1950 della Olivetti Corporation of
America.
Il progetto affidato ai BBPR aveva la doppia valenza di rappresentare la filosofia
Olivetti al pubblico americano mantenendosi, contemporaneamente, all’altezza
dell’omaggio che il MoMA aveva espresso all’azienda italiana; quest’opera ci porta
immediatamente in un clima di immaginazione, e di libertà. Immaginazione e libertà,
nell’idea della macchina da scrivere posta “fuori dal negozio”, nel pavimento in marmo
verde che prosegue al di fuori del negozio, e dentro e fuori si solleva improvviso a
stalagmite a reggere le macchine, sulle quali calano dall’alto lunghe lampade, stalattiti
luminose. L’atmosfera è poetica.
Franco Albini: aria e luce come “materiali da costruzione”, il negozio Olivetti
in rue du Faubourg Saint Honoré, Parigi, 1958
Nel progetto del negozio di Parigi, affrontato da Albini come una mostra temporanea
dei prodotti Olivetti, all’idea di provvisorietà si aggiunge la suggestione del carattere
mobile e itinerante dell’allestimento, suggerito dal sistema di supporti agganciati su
cavi. Se nell’idea di Albini l’architettura deve ricorrere a soluzioni spaziali piuttosto che
a soluzioni plastiche, questo risultato si ottiene costruendo i vuoti, perché “aria e luce
sono i materiali da costruzione”.
Carlo Scarpa, negozio Olivetti in piazza San Marco, Venezia, 1958
FRANK LLOYD WRIGHT
Negozio v.c. morris, San Francisco, 1948
Frank Lloyd Wright ha l’opportunità di sperimentare, l’idea di rampa
elicoidale nel negozio che progetta a San Francisco: Il Morris Gift
Shop, dedicato alla vendita di raffinati articoli da regalo per la
casa. Questo negozio si colloca all’interno della più ampia
elaborazione del progetto per il museo Guggenheim di New York.
Il progetto di questo negozio è il frutto di una ricerca spaziale e
tecnico-costruttiva. Caratteristica di questo negozio è la rampa
interna, assai meno complessa di quella del guggenheim museum,
che si appoggia, nella parte iniziale, a una parete curva che ne
accompagna la salita. La cupola che copre lo spazio centrale funge
da lucernario. Nel negozio la rampa spirale si apre sulla destra
dell’ingresso e abbraccia, con il suo movimento in salita, l’esposizione dei prodotti
nello spazio centrale; questa è la vera vetrina, dal momento che il negozio ne è privo.
La facciata è rettangolare e completamente cieca, rivestita in mattoni e traforata dal
grande portale ad arco che scava la volta dell’ingresso sullo spessore del muro
dell’edificio; si accede così all’interno del negozio attraverso un vero e proprio tunnel,
che crea un effetto visivo a cannocchiale. Lo spazio del negozio è sviluppato su un
piano terra e mezzanino IPERFORME E NOSTALGIA
Linguaggio dei nuovi materiali.
AFRA E TOBIA SCARPA: esperimenti per Benetton 1966-1996
Architetti e designer veneti. Benetton nasce nel 1965 nel contesto di una tradizione
veneta di produttori e distributori d’abbigliamento. Gli innovativi aspetti di carattere
industriali non sarebbero probabilmente bastati a contribuire al grande successo
dell’azienda senza l’adozione di una particolare strategia distributiva, chiamata
franchising( la cessione del diritto di insegna) , che permette alla Benetton di
sviluppare un ampissima rete di distribuzione senza doverne sostenere i costi di
realizzazione. La cessione del diritto d’insegna, passa però attraverso il
“suggerimento” al distributore di una serie di standard espositivi; è in questo contesto
che si colloca il lavoro di Afra e Tobia Scarpa.
Parola d’ordine: semplicità. La vetrina consentiva di vedere lo spazio interno
integralmente; l’illuminazione era ridotta a semplici lampade a bulbo inserite nel
soffitto; tutto semplice ed essenziale; arredo di un ambiente moderno. La scelta di Afra
e Tobia è tutta giocata sull’assemblaggio, nello spazio, di oggetti diversi, dotati però di
una propri autonomia formale( un tavolo, una sedia, un armadio, una lampada…). Con
il passare degli anni questi cardini verranno via via modificati a seconda delle nuove
esigenze ecc…
SOTTSASS ASSOCIATI memphis, fiorucci e il fenomeno esprit
La Sottsass associati nasce nel 1970.
Dal concetto di catalogo si basa il concept di uno dei primi progetti realizzati da
SoTTSASS ASSOCIATI per Fiorucci. Elio Fiorucci è uno dei primi ricercatori di moda
italiani a mettersi in relazione con i giovani come nuova categoria di fruitori,
proponendo uno spazio commerciale come mix di tendenze, stili e culture. Il progetto
SottSass per Fiorucci del 1980, che risponde all’esigenza di sviluppo e rinnovo dei
negozi della rete di vendita, è basato sul concetto di “catalogo” di oggetti da disporre
liberamente nello spazio: una sistema di mobili studiato per molteplici possibilità di
aggregazione.
Nel caso degli showroom Esprit, il procedimento cromatico viene rovesciato: la
pigmentazione dello spazio diventa protagonista, potendosi confrontare con un
prodotto di abbigliamento stilisticamente neutro. Nei negozi, i segni metafisici, colorati
e multimaterici della poetica sottsassiana trovano un equilibrio espressivo.
JAMES STIRLING: bookshop electa ai giardini della biennale di Venezia
L’edificio, a un solo piano, ha forma allungata. L’ingresso è indicato da un’insegna
luminosa posta sul tetto. Un laser collocato nel tamburo del tetto invierà verso il cielo
fasci di luce colorata. Il tetto a spioventi ha una copertura esterna in rame, mentre
all’interno presenta una soffittatura in tavole di sequoia. L’edificio è illuminato da luce
naturale grazie a una lanterna che si alza nella parte centrale del tetto.
I visitatori raggiungono la libreria passando tra gli alberi e vi accedono da una
piattaforma semicircolare pavimentata. Il padiglione è innanzitutto uno spazio pensato
per esporre e vendere libri.
MINIMALISMO E MINIMALISMI
LONDRA
Agli inizi degli anni Novanta una parte del mondo della Moda si orienta nella
concezione degli spazi di vendita verso linguaggi figurativamente astratti, depurati da
intenti evocativi o di “sintonia stilistica”
Ad avvicinarsi all’idea di spazio minimalista sono alcuni stilisti e marchi londinesi e
l’americano Calvin