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Cotrone realizza di notte. Fa scendere Ilse e gli altri attori in quello che lui chiama
"Arsenale delle apparizioni", cioè un magazzino teatrale dove lui conserva fantocci a
cui può dare vita in base alle esigenze di chi guarda. Nel rappresentare questo, l'attore
viene come disumanizzato, gli attori di Ilse, ora affascinati, vogliono rimanere e mettono
in difficolta lei che vuole andare in giro a leggere la sua Favola. A conclusione del 2°
quadro Ilse e Cotrone vengono allo scontro decisivo per quanto riguarda il restare alla
villa o no. Il discorso di Cotrone, "mi sono dimesso dalla vita", può essere letto in chiave
teatrale, riferito alla poetica delle neoavanguardie che predicavano un teatro povero,
a rifiuto del naturalismo e senza effetti spettacolari, interamente basato sull'interiorità
dell'attore. Quello di cui parla Cotrone è proprio la capacità del teatro di trasformare i
fantasmi in realtà, recitare è, come si dice in altre lingue, sinonimo di "giocare", "far finta
che". Per esempio il Living Theatre era arrivato dall'America (dove veniva censurato) in
Europa nel 1964 e proponeva un modello di creazione autonoma. Un modello di teatro
quindi autoreferenziale, opposto a quello di Ilse e di conseguenza a quello di Strehler e
Grassi, questi movimenti nascono da cose totalmente diverse rispetto a quelle che
avevano fatto nascere i loro.
30/04
Il contributo più originale di Strehler è come detto il finale, nel rappresentare quest'opera
molti registi chiudevano semplicemente sulle parole di Pirandello. La sequenza che lui
imposta è invece di carattere strettamente teatrale: gestualità, visibilità, sonorità, pochi
elementi verbali, se presenti tutti presi dal testo pirandelliano. Strehler non scrive una riga
in più rispetto a quelle dell'autore, usa solo i codici del teatro per metterci di mezzo la
sua idea. Vicino a quell'idea di rifiuto di rappresentazione di Pirandello, ci affianca la sua
morale meta teatrale e allegorica del testo: il rifiuto della poesia e del messaggio d'arte
teatrale da parte della società consumistica. L'arte di Strehler si raccoglie intorno al
corpo di Ilse morto, alla 3 volta che viene fischiata e portata via dagli attori, l'ultima
immagine, che vede la carretta con cui erano arrivati stritolata dal sipario di ferro è
un'immagine fortissima che riassume quel momento di amarezza, sia del 66 che del 94,
riconosciuta dalla critica come il vertice della creatività del regista, capace di
raccogliere in un'immagine un intero messaggio.
Video
Una lunga scena pantomimica, rallentata, solenne. Gli attori hanno accettato la
proposta di provare a recitare il loro spettacolo davanti ai Giganti. Il loro vestimento è
simile a quello dei cavalieri medievali, rigido e non realistico, che vuole simboleggiare
l'ingresso in battaglia, un momento di grande concentrazione soprattutto nel momento
in cui si calano la maschera sul viso. Strehler carica gesti degli attori del senso di ilse. Per
rispettare la volontà pirandelliana di non mostrare i Giganti, Strehler sceglie come
scenografia del finale il retro di un palco, che ci permette di vedere chi ci è sopra in
controluce. Noi non vedremo mai gli spettatori, sentiremo solo le loro reazioni. La salita
di Ilse sulla scaletta che porta al palco è molto drammatica, grazie al suono metallico
dei suoi zoccoli e al rullo di tamburi scelto come colonna sonora. Ultimo elemento per
ritmare la solennità del momento il battito del bastone per segnare l'inizio dello
spettacolo, preso in prestito dalla commedia dell'arte italiana. Il ritmo ternario di questi
battiti corrispondono anche con i tentativi di Ilse di recitare la sua opera. L'unica frase
inserita nel finale è quella, la prima battuta della favola che è la stessa che aveva detto
alla sua prima apparizione -> chiusura circolare che consente al regista di citare
Pirandello in un finale che non ha mai scritto. Il primo tentativo suscita fischi, Ilse fugge
dietro il sipario. A questo punto i suoi compagni cercano di rabbonire il pubblico e
predisporlo positivamente prima di riprovarci di nuovo, con un piccolo siparietto
musicale e mimico (in questo caso invenzione di Strehler). Sempre dal controluce,
sentiamo gli applausi del pubblico, dimostrazione che la società consumistica ben
risponde a uno spettacolo disimpegnato e di puro intrattenimento, mentre rifiuta arte e
poesia . Quindi a poco serve quest'intervento, perché i prossimi due interventi di Ilse
falliscono ancor prima che lei possa completare la frase. Drammaticità del momento
risolta ancora una volta con una grande gestualità dell'attrice, che gradualmente cade
al suolo rappresentando la sua fine. Movimenti meccanici e rigidi e infondo inaspettati,
mentre noi ci saremmo aspettati una figura che cade di colpo in modo passionale, i
suoi movimenti fatti così non fanno che aumentare il significato allegorico voluto da
Strehler. Quando gli attori la portano via morta troviamo di nuovo la ripresa precisa dal
testo di Pirandello, la stessa posizione con cui è apparsa la prima volta svenuta ("com'è
pallida, pare morta"). Il corpo deposto al proscenio e le mani protese verso al pubblico
in una sorta di muta accusa sembrano chiedere pietà e compassione ma
contemporaneamente accusare il pubblico: finale estremamente polemico nei
confronti del pubblico che sembra essere chiamato in causa per quanto accaduto, di
cui è responsabile o almeno complice. Strehler riesce a dare anche a uno strumento
puramente tecnico (il sipario di ferro frangifiamme, necessario nei teatri per motivi di
sicurezza) un valore simbolico: cadendo sulla carretta dei comici rappresenta la crisi del
teatro registico di quegli anni. I giganti è una sorta di profezia del teatro italiano.
A maggio del 1967 a Ivrea si tiene il "convegno per il nuovo teatro", dove si ritrovano tutti
coloro che non si riconoscono nel teatro tradizionale, registi giovani ed emergenti tra
cui Luca Ronconi, Carmelo Bene. Alla fine del convegno viene firmato un manifesto,
chiamato con lo stesso nome del convegno, dove si individuano le cose da
combattere: i teatri stabili hanno fallito nella loro missione di teatro d'arte per tutti, troppa
predominanza del teatro del testo e del regista (in pratica tutto ciò che è Strehler). I
nuovi punti sono:
1.Scrittura scenica, non per forza tutta drammaturgica: la parola del testo dell'autore
non dev'essere la cosa più importante, l'unico elemento presente. La scrittura dev'essere
fatta con i codici propri del teatro. Molti spettacoli futuri prenderanno infatti testi che
non erano pensati per il teatro (es. Orlando Furioso di Ronconi, era un poema
cavalleresco su cui lui ha fatto una creazione registica e lo ha adattato per il teatro).
2.Regia collettiva, lo spettacolo dev'essere riconosciuto a tutta la compagnia, non più
figura del regista come demiurgo e tiranno (di nuovo ciò che è Strehler).
3.Il principio del "laboratorio": tutte le pratiche delle scuole di teatro e delle compagnie
derivano da qui: il processo di creazione è più importante del prodotto finale stesso, si
confrontano diverse competenze.
4.Spettacoli teatrali anche al di fuori delle sale, ovunque. Se il pubblico non viene a
teatro, è il teatro ad andare dal pubblico: nelle fabbriche, nelle piazze, nelle scuole,
nelle università, nei palazzetti dello sport. Ogni evento sarà pensato per potersi realizzare
anche in un luogo che non è una sala teatrale. (Di nuovo Orlando furioso).
Quindi sono messi in crisi Grassi e Strehler, che nel '68 si dimette da Milano e con un
piccolo gruppo di attori del Piccolo si trasferisce a Roma dove fonda una compagnia
collettivistica, "Teatro e azione", abbraccia il fenomeno del '68 e si propone di fare
spettacolo impegnato dal punto di vista civile e politico, cercando nuovi linguaggi e
riuscendo ad ottenere un discreto successo. Nel frattempo Grassi regge come può il
Piccolo, chiama nuovi registi, propone classici in chiave contemporanea come i due
Ruzzante. La ventata contestataria si spegne nel 1972 e il Piccolo prende un'altra
direzione, Grassi capisce che la sua missione lì si è esaurita e accetta l'incarico di
sovraintendente alla scala. Comunica questo a Strehler invitandolo a tornare, decisione
che si incontra con lo stato d'animo del regista che aveva usato quegli anni a Roma per
moderare i suoi eccessi dirigistici ma allo stesso tempo per maturare una poetica
influenzata dalla contestazione, seppur manteneva sempre l'importanza di regia e testo.
Cosi Strehler diventa unico direttore del Piccolo e dà il via al decennio più fruttifero, con
una regia critica basata sull'interpretazione del testo su due livelli:
-la lettura attenta dell'opera dell'autore al fine di comprendere la sua scelta, le sue
strutture
-la capacità di rendere l'autore contemporaneo al pubblico e di trasmettere un
messaggio universale per far capire al pubblico quanto un classico sia sempre in grado
di dire parole nuove, che sono sempre state contenute in quel testo ma che possono
emergere in modo diverso in base alla sensibilità del momento. Più il testo è grande più
questa possibilità è ampia.
Nel 1972 torna infatti con Re Lear, nel 1974 ripropone Il giardino dei ciliegi di Checov,
già analizzato nel 1956: aveva riscattato successo, ma lui non ne era stato poi così
soddisfatto. Malgrado gli applausi aveva l'idea di avere solo sfiorato la complessità
dell'autore, di averne dato solo una visione superficiale. Aveva seguito alla lettera il
modo di Stanislavskij (precisione, atmosfera, silenzi), insomma uno spettacolo molto
diligente ma poco innovativo. Il nuovo approccio per affrontare quella che è l'ultima
opera di Checov (scritta nel 1904) è individuare una complessità di piani: la teoria delle
3 scatole cinesi, compresenti sul palco. La più piccola è quella del vero, cioè la vicenda
naturalistica raccontata all'interno del giardino: la storia di due fratelli, Gaev e Ljuba,
costretti a vendere la proprietà di famiglia circondata dal famoso giardino dei ciliegi.
La seconda scatola è invece la Storia con la S maiuscola: all'interno dei meccanismi di
evoluzione sociale della Russia di quel tempo, Gaev e Ljuba non sono altro che
rappresentanti della vecchia Russia zarista, nulla facente e vivente di rendita, che viene
stravolta dalle rivoluzioni del 20° secolo. L'acquirente è infatti Lopachin, esponente della
nuova classe di ricchi, gli arrivati. Intorno a loro tutte le altre classi (studenti, servi,
contabili, donne, ognuno di loro rappresentante di una