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CAVEA-fase periclea/classica →-fase ellenistica (scena rialzata)-fase romana —> la cavea è diminuita, è un semicerchio, così anchel’orchestra, che diviene luogo per gli spettatori; grande e monumentalepalcoscenico
Tetralogia: Inizialmente perteneva all’oratoria, l’arte dell’oratore, non allo spettacolo. Circolazionee fruizione delle tragedie attiche del V secolo a.c —> si pensa che i copioni teatrali al tempoavessero anche una circolazione di tipo librario, in realtà le cose sono più complesse: solo negliultimi tre decenni del V secolo si andò affermando ad Atene un commercio librario (ovvero dipapiri o pergamene) ma questi libri non erano la regola di tale fruizione, erano l’eccezione, eranoun supporto per la comunicazione orale. Si sapeva al tempo che l’unico modo di rendere note leproprie opere scritte era metterle in scena. Quindi siamo in presenza non di una statica
La fruizione della tragedia attica non avveniva attraverso la lettura di libri, ma tramite la rappresentazione teatrale. La circolazione dei libri riguardava principalmente un'élite, mentre la maggioranza delle persone si affidava all'ascolto. Gli attori erano i principali diffusori della drammaturgia tragica, utilizzando le loro voci e i loro corpi. Tra i numerosi titoli esistenti, solo 32 sono giunti fino a noi. Si ipotizza che questi testi siano stati selezionati per un uso scolastico durante l'impero romano, con l'eccezione di alcune opere antiche contenute in edizioni di Euripide. Questa scelta evidenzia la grandezza di Eschilo, Sofocle ed Euripide, sebbene rappresenti solo una parte della produzione teatrale dell'epoca.minima della loro produzione —>selettivo canone di una drammaturgia che si basava su due elementi fondamentali:- La VERSIFICAZIONE: Composizione della parola tragica in versi
- Fondamentale AZIONE: in greco “drama” (centralità dell’azione per l’attuazione della tragedia)
“La poetica” di Aristotele cita: “la tragedia non è mimesi (imitazione) di uomini, bensì di azioni e divita. Non dunque i personaggi di un’azione drammatica agiscono per rappresentare determinaticaratteri, ma assumono quei caratteri per sussidio e per cagione dell’azione (esattamentel’opposto dell’idea di teatro). Per Aristotele quindi ciò che conta è la capacità del poeta scenico didare vita a una ben congegnata macchina di eventi —> teatro in azione (no caratterizzazione deisingoli personaggi). Aristotele è un filosofo/pensatore che guarda al teatro del suo tempo concerto disgusto e
rimpiange il teatro dei grandi passati. Il poeta era l'unico attore -> recitava nelle tragedie da lui composte e calibrate su due caratteristiche: sulle proprie capacità performative e rappresentative. Attore-autore. È solo dalla metà del V secolo a.C. che si afferma una figura diversa che in età ellenistica diverrà egemone: l'attore-interprete, professionista, di testi altrui. Questa figura nel IV secolo diventa bersaglio delle critiche di Aristotele che amava il teatro che aveva alle spalle, quello di Eschilo in particolare. Aristotele quando nella "poetica" parla dello spettacolo parla della fenomenologia dello spettacolo del suo tempo quindi del IV secolo a.C. Perché ad Aristotele non piaceva il teatro del suo tempo? Perché si sta passando alla forma emozionale rispetto a una razionalizzazione della filosofia platonico-aristotelica. Si passa dalla emozionalità alla parola -> centralità
Della parola rispetto al corpo dell'attore. Ad Aristotele non piaceva l'emozionalità: lui era per la parola e per la ragione.
Da Sofocle in poi -> 3 attori:
- Il protagonista
- Il deuteragonista
- Il tritagonista
In più c'era il coro, guidato da un corifeo. Tutti gli attori e coreuti erano maschi, che interpretavano anche le parti femminili.
Il coro tragico era composto da 15 coreuti e prima da 12. Davano vita a figure comuni (il coro dei vecchi, delle donne a lutto). Caratteristica primaria del coro ateniese del V secolo -> la fusione di tre elementi:
- La parola
- Il canto
- La danza
Essendo solo tre attori le varie parti della tragedia venivano ripartite tra di loro: uno poteva interpretare sia uomini che donne, giovani e vecchi. L'importanza stava nella voce, nel timbro. Non potevano essere contemporaneamente in scena più di tre personaggi parlanti. Questi attori erano anche cantanti, recitavano secondo una melodia ritmica. Attori
che usavano il viso—>maschere realizzate in diversi materiali però tutti fragili: materiali che non hanno consentito la sopravvivenza di alcun reperto nonostante una notevole produzione. Lino (irrigidito con lo stucco), sughero, legno leggero, cuoio, cera. Rimangono le sculture e le piccole statue che rappresentano le maschere. MASCHERA—> in greco PROSOPON (volto), confezionata come una sorta di casco integrale, perché copriva tutta la testa, non solo la faccia. Alle maschere erano attaccati dei capelli posticci, come parrucche. Non avevano tratti deformanti, ma dei lineamenti naturali ben marcati e piccole aperture per gli occhi, con la bocca leggermente aperta. Le maschere non avevano funzione megafonica, non servivano cioè ad amplificare la voce. Perché per secoli gli attori recitano con le maschere? Due teorie principali: - Funzione IDENTITARIA: dobbiamo tenere conto della notevole distanza che separava l'attore dagli spettatori; nonavrebbero colto la mimica facciale da così lontano. Quello che importava al pubblico era di individuare subito un personaggio. Serviva all'identificazione anche l'uso di richiamare più volte un personaggio appena arrivato in scena —> il pubblico approssimativamente poteva già conoscere la trama in quanto la tragedia derivava dal mito, e quindi era più facilitato riconoscere un personaggio.Funzione MUTATIVA: soltanto le maschere-costumi permettevano agli attori di cambiare identità. Anche i coreuti portavano le maschere, ma molto probabilmente erano tutte uguali, al pari del costume.
I temi derivavano dai miti, tutto quel mondo già affrontato dall'epica e dalla lirica prima che dallo spettacolo (Omero x epica, Saffo x poesia lirica).
Il mito faceva parte del DNA culturale del pubblico, era patrimonio culturale comune. Instaurare la comunicazione con il pubblico: per eseguire questo scopo i tragediografi utilizzavano ilrepertorio del mito, che è un repertorio condiviso. Mettersi in sintonia con gli spettatori per una più facile fruizione —> il che non esclude che il personaggio potesse essere comunque attualizzato (non personaggi mitici ingessati nel loro tempo). I costumi degli attori erano confezionati per colpire da lontano l'occhio dello spettatore: riccamente ornati, con disegni vistosi, colori vivaci (a eccezione dei personaggi in lutto).
anacronismo: Agamennone nelle tragedie di Eschilo era abbigliato con abiti contemporanei alla messinscena, non di età minoica. Le calzature erano degli stivaletti di pelle morbida, con suole sottili che coprivano una parte del polpaccio. Spesso la punta è ricurva (secondo il gusto orientale). A volte decorati e allacciati per una recitazione agile.
Gli attori recitavano in chiave emozionale, bisognava scatenare la reazione del pubblico. L'attore-cantante non era solo visivo, ma soprattutto una voce che aveva tanti compiti.
In grado di superare l'ampio spazio dell'orchestra, raggiungere le file più distanti -> voce forte e chiara senza gridare; acutezza di dizione; finezza di timbro; voce capace di adattarsi ai vari personaggi e loro stati d'animo.
Attore: una maschera di suono.
SATIRICON: il dramma satiresco. Ha una trama anch'essa derivante dal mito divino o eroico, però proponeva tematiche e scene diverse rispetto alla tragedia -> aveva un intreccio semplificato, definibile come una tragedia scherzosa, permeata di elementi campestri, satiri. Da un lato quindi la fruizione emozionale di un evento tragico, dall'altra una tragedia scherzosa che alleggerisce mente e cuore.
La pittura vascolare del V e IV secolo a.C. è uno dei documenti più importanti (iconografici) per lo studio della tragedia e del dramma statiresco del V secolo ad Atene. Un vaso famoso che si trova a Napoli, nel museo archeologico nazionale, è un cratere attico a volute.
Laterali a figurerosse, attribuito al cosiddetto pittore di PRONOMOS. Si data 410/400 a.c, realizzato ad Atene ma rinvenuto in Magna Grecia, in Puglia. Al centro del vaso c'è un musicista non mascherato, probabilmente il committente del vaso. Pronomos era una star, un famoso musicista che suonava l'AULOS, strumento a fiato a doppia ancia. Il suonatore si chiamava auleta, unico a non indossare la maschera durante lo spettacolo.
Lato A: la sfera del gioco teatrale e del mito—> colmo di attori, satiri e suonatori. Ricco di elementi di pertinenza teatrale. Sopra all'auleta vediamo una coppia di personaggi: Arianna e Dioniso con tratti apollinei. Tratti di un bel giovane ragazzo (mentre a volte veniva rappresentato più selvaggio, barbuto, orientale) —> doppia funzionalità di Dioniso: quella trasgressiva e quella di riportare l'ordine dopo la trasgressione. I due sono circondati dai personaggi del dramma. I satiri hanno il perizoma, alcuni devono ancora
indossare la maschera, tenendola in mano. Accennano passi di danza (sikinnis), conversano tra di loro. Il lato a rappresenta ipoteticamente un "fuoriscena", dei preparativi di uno spettacolo, un dietro le quinte. E' l'unico vaso a noi pervenuto che rappresenta un intero cast delle tragedie. Un Satirello ha già indossato la maschera, che è uguale alle altre che vengono tenute in mano.
Presenza di strumenti musicali vari. Perizoma fallico fatto di pelle con la coda di cavallo; uno invece indossa un perizoma in tessuto a fiori.
Lato B: sfera del mito e del culto. Le persone non indossano più abiti teatrali. C'è sempre Dioniso apollineo con Arianna. Prima i satiri sono in perizoma, mentre nel lato B si trasformano in personaggi mitologici, sono nudi. Mitologica danza dionisiaca sia dei satiri.