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Le leggi positive e il concetto di pena secondo Thomasius

Le leggi positive sono leggi dotate di sanzione e se c'è una sanzione e la legge non viene osservata, allora ci deve essere anche una pena. Il pensiero in proposito di Thomasius rappresenta il passaggio tra le dottrine penalistiche dell'assolutismo del '600 e quelle dell'Illuminismo del '700. Thomasius racchiude questi concetti nella sua opera "Istitutiones iurisprudentia divinae". In quest'opera Thomasius definiva la pena come un qualcosa che si abbatteva sugli uomini a causa dei delitti e indipendentemente dalla loro volontà. Questa definizione di pena comprende sia la pena divina sia quella umana. Secondo Thomasius il giurista deve rivolgere la propria attenzione esclusivamente sulle pene umane. L'uomo nel comminare pena ad altri uomini deve tener presente non solo il male passato ma anche il bene futuro e quindi la pena deve servire a procurare anche un bene futuro. Ne deriva una nuova definizione di pena: un superiore infligge un male.

un dolore a un inferiore contro la volontà di quest'ultimo che ha compiuto un delitto. Lo scopo è quello di arrivare a un miglioramento comune dei cittadini. Questo tipo di pena si riferisce alle pene umane nella società civile. Nello stato civile il fine della pena deve essere quello di rendere lo Stato sicuro e anche del miglioramento del reo (la c.d. emendatio). Il fine dell'emendatio (del miglioramento) è comprensivo anche della sicurezza perché il miglioramento dei sudditi implica anche una maggiore sicurezza della società civile futura. Nello stato di natura la natura della pena era diversa. Nello stato di natura la pena è la vendetta e lo scopo della vendetta è che in futuro il delinquente tema la parte lesa e quindi non compia più nei suoi confronti dei reati. Nello stato civile, dove esiste un capo, la pena è un male inflitto dal superiore all'inferiore per migliorare la situazione dei cittadini (la.

pena è rivolta al miglioramento della comunità). Thomasius invita i sovrani a non comminare pene per pura vendetta, quindi anche se qualcuno compie un reato nei confronti del sovrano è giusto punirlo ma non con spirito vendicativo ma comminando una pena proporzionata al reato commesso. Queste posizioni di Thomasius vogliono anche significare che il sovrano non doveva comminare pene anche per reati troppo piccoli, egli non doveva punire comportamenti dannosi di poca importanza perché la determinazione della pena doveva essere proporzionale all'utilità del sovrano. Interviene quindi l'elemento utilitaristico: la pena deve corrispondere all'utilità del sovrano. Nel 1706 Thomasius termina il suo sistema teorico giuridico originale con la pubblicazione del fundamenta iuris naturae et gentium. Per Hobbes la volontà sovrana ricopriva tutti i campi, per Thomasius, invece, la volontà positiva del sovrano è l'unica.

Criterio di valutazione ma solo nel campo del ius tum. Per Hobbes e Thomasius poi le conclusioni sono le stesse: per Hobbes, il diritto penale era secolarizzato e veniva espresso attraverso il diritto positivo che assorbiva e eliminava la morale religiosa, abolendo anche il diritto penale di origine religiosa; per Thomasius, invece, il diritto penale è secolarizzato perché si distingue dalle regole di condotta religiosa. Per questi motivi la dottrina del Thomasius appariva allora una dottrina liberale, essa evidenziava delle zone esenti dall'intervento dello Stato. Il delitto e i delinquenti per Thomasius si possono definire tali in virtù di quello che è il comando sovrano e tutto il diritto penale consiste nel non turbare i diritti riconosciuti dal sovrano nella società civile. La pena deve essere poi anche meritata, non si può mai punire un innocente e quest'idea deriva dalla dottrina canonistica della pena.

(c'è un'influenza della pena così come intesa nel campo religioso). Prima di scrivere la sua opera, Thomasius aveva già affrontato specifici temi in materia penalistica in altre opere. Nel 1685 infatti aveva pubblicato un'opera: Thomasius condannava la bigamia12 e tale proibizione deriva dal fatto che essa turba la pace sociale esterna portando dei disordini nella comunità. Nel 1697 pubblica un'altra opera intitolata "se l'eresia sia un crimine" e anche qui la sua opinione era che l'eresia non andasse punita dal sovrano perché essa era uno sviamento dell'intelletto e non della volontà. L'eresia rientra tra le opinioni e perciò non va punita. Tutte queste sue monografie servivano a spiegare perché Thomasius condivideva o non condivideva alcuni comportamenti condannati dalla chiesa. Nel 1705 pubblica De torturae in due capitoli. La tortura era considerata uno strumento per estorcerela confessione perché quest'ultima era considerata la prova regina. Nel primo capitolo Thomasius illustrava l'istituto della tortura giudiziaria (applicata sull'inquisito ancora prima di essere dimostrato colpevole) e concludeva contestando l'utilizzo della tortura. Nel secondo capitolo spiega perché la tortura giudiziaria debba essere abolita. Tra i vari motivi elencati, Thomasius considera che la tortura può portare a comminare la pena a un innocente. Secondo lui deve poi essere abolita per ragioni di morale e di umanità. Mette anche in risalto che spesso la tortura è utilizzata dal sovrano come vendetta. Thomasius porta anche delle argomentazioni più profonde: la tortura non va applicata perché viola la libertà di autodifesa. Sostiene quindi il diritto di difesa da parte dell'imputato. In ultimo Thomasius sottolinea che la tortura può portare anche a una falsa confessione. Il pensiero di Thomasius fa

Daponte tra il pensiero tradizionalista del '600 e il pensiero illuministico che si svilupperà da lì a poco tempo. 07/03/2022

Il secondo filone di matrice germanica è quello della teoria di Leibnitz. Quest'ultimo vive tra il 1646 e il 1716 (inizio secolo degli illuministi) ed era un matematico. Leibnitz elabora la sua teoria sulla giurisprudenza tenendo conto e partendo dall'idea che la giurisprudenza sia una scienza esatta che si svolge secondo dei sistemi logici e dei sistemi dimostrativi che riproducono il rigore matematico. Nel 1667 egli pubblica la sua opera con l'uscita del suo libro "il nuovo metodo per imparare e insegnare il diritto". Il diritto è un sistema logico, esiste un ragionamento giuridico. Il metodo che Leibnitz applica al diritto è il metodo geometrico. Secondo Leibnitz il diritto è un sistema razionale, completo del diritto si costruisce partendo da semplici principi incontrovertibili che prendono

Il nome di assiomi. Questi assiomi sono capaci di generare attraverso deduzioni logiche dei nuovi principi scientifici in grado di coprire ogni questione particolare. I principi di partenza devono essere principi semplici da cui dedurre poi dei precetti veri e univoci in modo matematico. Secondo Leibnitz la giurisprudenza è il metodo per costruire un sistema unitario e razionale del diritto. Il sistema che vorrà razionalizzare il diritto e renderlo completo sarà poi il sistema della codificazione quindi Leibnitz inizia a piantare i primi semi del pensiero che porterà alla codificazione. L'idea di razionalità e completezza del diritto sono tutte idee che si concretizzeranno con la codificazione. Leibnitz interpreta anche la giurisprudenza come una scienza universale e razionale. La giurisprudenza doveva abbracciare tutti i comportamenti umani, di tutte le sfere umane (comportamenti interni, religiosi, sociali). Leibnitz, a differenza di ciò che

hanno messo in evidenza Pufendorf e Thomasius

pensava che la giurisprudenza dovesse abbracciare tutti gli aspetti e quindi se un'azione era giusta lo era sotto il profilo morale, religioso e giuridico. Quindi, non vi è differenza tra diritto e morale. La base del suo pensiero è il razionalismo mentre la base su cui poggiavano le teorie di Pufendorf e Thomasius era il volontarismo.

Leibnitz riconosce la giurisprudenza come universale scienza di ragione perché egli sostiene che alla giurisprudenza non si sottrae la sfera morale delle azioni umane e al dominio della ragione non si sottrae il sapere teologico (la teologica viene capita con la ragione).

Nella sua opera del '67 Leibnitz elabora la sua concezione del diritto: i principi del diritto secondo lui sono da ricercare nella volontà divina perché Dio è vincolato dalle regole della natura e dalle leggi di giustizia. Dioperò ha, secondo Leibnitz, strutturato le leggi di natura in

modo da renderle intellegibili anche agli uomini che possono comprenderle attraverso regole basate sulla matematica e sulla geometria. Leibnitz non distingue tra diritto e morale, anzi polemizza contro ogni tentativo di laicizzare la giurisprudenza. Leibnitz non condivide le istanze individualiste e liberiste di Pufendorf e di Thomasius, egli è ancora legato al mondo antico. Secondo lui il compito del giurista è quello di riuscire a ordinare il diritto in un'unità coerente e razionale e non in un complesso di regole astratte. Leibnitz vuole riordinare il diritto positivo, non innovarlo: è conservatore nei programmi e innovatore nei metodi. Quando elabora questa sua teoria, egli si riferisce al diritto positivo presente in Germania e al diritto romano comune. Leibnitz introduce anche delle idee innovative perché anticipa l'idea di completezza dell'ordinamento giuridico, idea che si realizzerà poi con la codificazione. Leibnitz, per

Raggiungere questo scopo di completezza, inventa la struttura grammaticale della norma. Secondo Leibnitz il compito del legislatore è quello di individuare tra la molteplicità di norme vigenti, quelle che rappresentano la rigorosa enunciazione di una verità. La verità viene dedotta da una preesistente regola già enunciata come vera che è l'assioma. La norma deve essere chiaramente formulata per enunciare la verità e deve essere formulata come una proposizione. Grammaticalmente le proposizioni hanno un predicato, un soggetto e una copula. Il predicato indica nel campo giuridico il diritto o il dovere che viene attribuito a un soggetto giuridico attraverso un legame verbale (una copula). Secondo Leibnitz questa struttura grammaticale delle norme rende possibile la costruzione di un sistema logicamente ordinato e matematicamente organizzato dei dati vigenti. In un tale sistema si fissano quindi le proposizioni-verità (gli assiomi di partenza),

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    Cioè le categorie e i principi generali, e da questi principi generali si possono ricavare poi le norme più particolari attraverso un ragionamento logico.

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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher saracondo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Casana Paola.