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RANCESCO
primo pilone è costituito dalla Constitutio criminalis Theresiana (1769). Dopo una breve parentesi
“accusatoria” (il regolamento di procedura criminale del 1850), solo con il regolamento di
procedura criminale del 1852 (di F G ), pendant del nuovo codice penale del
RANCESCO IUSEPPE
1852, le cose incominciano a cambiare (il processo “misto” approda in terra asburgica, con il
procuratore di Stato e il difensore, ma senza giuria e senza libero convincimento, pur se si codifica
il principio della c.d. prova legale negativa) per poi mutare decisamente di rotta con il codice di
procedura penale del 1873 (promulgato ancora da F G ), celebratissimo anche
RANCESCO IUSEPPE
dal più grande penalista italiano dell’Ottocento, Francesco Carrara, quale nuovo avamposto europeo
del processo accusatorio, da contrapporre alle miserande prove del processo misto di origine
francese. Vale dunque la pena di spendere qualche parola per illustrare un po’ meglio il primo
“codice” di procedura penale moderno, passando in rassegna i suoi principali segmenti.
Il giudice asburgico, come è stato efficacemente scritto, è un giudice “factotum” (Cavanna): egli
ha infatti l’obbligo “di indagare e approfondire la verità, sia che la medesima suffraghi all’inquisito
o gli sia contraria”. La pesante conseguenza di ciò è niente meno che l’eliminazione della difesa
tecnica: infatti, dichiara solennemente il § 83, “la difesa dell’innocenza forma una parte essenziale
dei doveri del giudice e quindi gli inquisiti non hanno diritto ad alcun difensore, né gli si potrà
accordare la comunicazione degli indizi, che avranno occasionato la procedura: l’inquisito avrà
tuttavia un illimitato diritto di somministrare durante l’inquisizione tutto ciò che sarà da lui stimato
valevole per sua difesa e giustificazione”. Qui il garantismo del codice cede di fronte
all’assolutismo, l’elemento statualistico prevale.
Il giudice è seguito passo passo, come un automa, nelle operazioni che deve compiere. Questo
comporta delle innegabili garanzie per l’inquisito, ma anche dei gravi rischi.
Le garanzie sono le “buone maniere”, che il giudice deve usare verso l’inquisito durante
l’interrogatorio. Inoltre, grande cura deve essere posta dal giudice nel ricavare la verità dalla bocca
dell’inquisito, senza togliergli la possibilità di difesa, con un prontuario di accortezze. Si vieta così
al giudice “di servirsi di supposti indizi, di finte prove, di promesse d’impunità o di mitigazione di
pena, di minacce, o di qualsivoglia atto effettivo di violenza contra l’inquisito ad oggetto di
strappargli di bocca qualche risposta” (§ 106). E’ il sovrano illuminato che parla, rammentandosi di
come la tortura sia stata definitivamente abolita negli stati ereditari.
Ma se la tortura non esiste più, rimane la possibilità del castigo, quando l’imputato si finga
pazzo, non voglia rispondere o menta. E la tortura allora risorge, sotto altre spoglie. E’ la terribile
coppia costituita dai §§ 109 e 110, che compongono una sequenza da autentico film dell’orrore, in
piena età dei Lumi: § 109
Se l’inquisito risponde o parla in modo da doversi credere impazzito o fuori di senno, il Giudice Criminale lo farà
visitare da due Esperti, che siano Medici, o Chirurghi, e si farà dare in iscritto il loro giudizio sul punto cioè, se
l’apparente forsennatezza dell’inquisito sia un accesso di vera pazzia opure un effetto di simulazione.
Se gli Esperti vi trovassero simulazione, l’inquisito, sempreché non si arrenda alla seria ammonizione da farglisi, dovrà
essere gastigato con colpi di bastone. Questo gastigo si ripeterà, persistendo l’Inquisito nella finzione, da tre in tre
giorni, previa sempre l’ammonizione, e si anderà gradatamente aumentando, di maniera che cominciando con dieci
colpi, il numero ne venga ogni volta accresciuto di cinque, sino a che si sarà arrivato a quello di trenta colpi, col quale si
continuerà finché l’Inquisito avrà desistito dal suo infingimento”. 8
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§ 110
Se l’inquisito è contumace a segno di non voler fare alcuna risposta sulle interrogazioni, che gli saranno proposte, si
dovrà ammonirlo seriamente dell’obbligo ch’egli ha di rispondere al suo legittimo giudice, come pure della punizione,
ch’egli si tirerà addosso con sì disubbidiente contegno: qualora l’ammonizione non basti a piegarlo al dovere, si dovrà
ricorrere al gastigo delle bastonate, e continuare tal mezzo nella maniera precisata al precedente § rispetto ai finti pazzi,
fino a tanto che durerà l’ostinato silenzio. Oltre a ciò tal inquisito contumace sarà gastigato col digiuno a pane ed acqua
finché si sarà ridotto ubbidiente. Lo stesso doppio gastigo, vale a dire la bastonata, e il digiuno a pane ed acqua dovrà
pure adoperarsi contro un inquisito che cercasse di tirare a lungo o d’imbrogliare il processo con manifeste e provate
menzogne.
Guai quindi all’inquisito che faccia finta di essere pazzo, o si rifiutarsi di rispondere o dica
menzogne, perché per lui può incominciare un incubo, da clinica psichiatrica di altri tempi, da
lucido genio del male: “scomparso il nome di tortura e comparso quello di castigo, la regola del
gioco rimane quella di sempre: l’imputato è un mezzo di prova” (Cavanna).
Ed è bene sottolineare che nel successivo codice del 1803, tali sofisticati supplizi daranno vita al
“truce terzetto dei §§ 363-364-365” (Cavanna), che tanto avrebbero terrorizzato i carbonari
italiani, messi alle strette dal giudice lombardo-veneto Antonio Salvotti. Ce lo confermano le
memorie del conte milanese Federico Confalonieri (1785-1846), condannato a morte nel 1823 e poi
all’ergastolo da scontare nella fortezza dello Spielberg a Brno (ma deportato in America nel 1835);
una testimonianza che getta luce anche sul comportamento, altrimenti inspiegabile, di altri imputati
celebri, come Silvio Pellico (1789-1854) e Piero Maroncelli, condannati a morte nel 1821 e poi
rispettivamente a 15 e 20 anni di carcere duro.
Il garantismo cede anche riguardo alla difesa: tre soli giorni gli sono concessi, trascorsi i quali egli
potrà allegare davanti al giudice tutto ciò che crede “per sua giustificazione e difesa”.
E veniamo al sistema probatorio. Il regolamento hai piedi ancora ben piantati nelle prove legali, e
non stupisce. Ma la prova legale del regolamento non è più soltanto quella della tradizione: ai
tradizionali requisiti, minutamente specificati, il legislatore affianca la riduzione dei margini di
libertà e di discrezionalità nella valutazione, che competevano al giudice nel passato.
I mezzi di prova sono la confessione e i “due testimoni maggiori di ogni eccezione ossia
irrefragabili”, mentre “la deposizione di un sol testimonio non potrà mai costituire una prova piena,
ma solo ha la forza di semiprova”. Grandi novità nella disciplina degli indizi. Anche questi possono
ora assurgere al rango di prova piena: è il c.d. “concorso delle circostanze”, come lo chiama ora il
regolamento. Ma il legislatore è molto guardingo e predetermina qualità e numero degli indizi. Un
vero percorso ad ostacoli, in cui il giudice è preso per mano, guidato e controllato.
Ma non basta. La fiducia del legislatore nella prova indiziaria è tale che, quand’anche il giudice
superi tutte le barriere frapposte alla sua libera valutazione degli indizi, la pena dovrà essere
comunque diminuita di un grado.
Quando manchi la piena prova legale (ad es. la confessione o le testimonianze ci sono, ma non
hanno i requisiti legali; gli indizi ci sono ma non sono quelli “legali”, cioè specificati dalla legge, o
sono insufficienti nel numero predeterminato), il reo deve essere assolto per insufficienza di prove.
Il sistema delle prove legali: il modello austriaco
In Austria, il primo codice di procedura penale moderno, cioè il Regolamento generale della
procedura giudiziaria per le cause criminali (Kriminalgerichtsordnung) del 1788, e il successivo
codice generale dei delitti e delle gravi trasgressioni politiche del 1803 (le cui radici sono
“giuseppine”, come dice Cavanna), aboliscono del tutto le pene straordinarie, sostituendole con un
sistema sofisticato di pene diverse in grado e durata, lasciando una certa discrezionalità al giudice di
variare la pena edittale, ma vietando di condannare alla pena ordinaria sulla sola base di indizi. 8
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È concesso tuttavia al magistrato, concorrendo un determinato numero di indizi, di una
determinata qualità (c.d. concorso delle circostanze: un punto di rottura rispetto all’antico regime)
di condannare il reo ad una pena di grado inferiore a quella ordinaria.
Il Regolamento di procedura penale austriaco del 1853, infine, accoglierà la teoria della prova
legale negativa: in presenza dei requisiti delle prove legali il giudice non è costretto a condannare,
se non concorre anche il suo positivo convincimento (e viceversa: il giudice non può condannare se
manca la prova legale, malgrado il suo convincimento positivo). In altri termini, si richiede che il
giudice, per condannare, non solo sia convinto della colpevolezza dell’imputato ma disponga anche
di una prova ‘legale’. È la teoria che risale a taluni esponenti del pensiero illuministico (Gaetano
Filangieri) ed alla successiva dottrina di area germanica e tedesca.
Lombardia e Toscana
La Norma interinale per la Lombardia austriaca (1786) di Karl Anton von Martini, § 204, e la
Riforma della legislazione criminale toscana (c.d. Leopoldina, 1786), § CX, rimarranno invece
ancora fedeli al sistema della prova legale di antico regime: gli indizi possono condurre solo
all’irrogazione di una pena straordinaria e non alla pena ordinaria.
Il principio del libero convincimento del giudice sarà riconosciuto espressamente in Francia
dalla legge 16-29 settembre 1791, dal Codice dei delitti e delle pene di Merlin del 3 brumaio anno
IV (1795) e dal Code d’instruction criminelle del 1808. In tutti e tre i casi, esso è una direttiva
rivolta ai giurati. Gli stessi modelli ispirano il Codice di procedura penale del Regno italico del
1807, opera di Giandomenico Romagnosi, che non introduce nel Regno d’Italia la giuria, ma
recepisce il principio del libero convincimento del giudice.
Le riforme in Lombardia
Anche nella Lombardia il decennio giuseppino fu caratterizzato da un profluvio di interventi,
molti dei quali soppressivi di enti e di istituti operanti da secoli.