IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE DEL REGNO
I re longobardi si inserirono nella tradizione politico-istituzionale bizantina, che
riconosceva nella figura regale il supremo regolatore della convivenza civile.
Autari, marito della cattolica Teodolinda, divenuto re nel 584 dopo l’anarchia
decennale seguita all’uccisione di Alboino, s’intitolò Flavius come Teodorico, e
cercò di legittimarsi di fronte ai Romani liberi in modo da imporre i tributi.
Agilulfo, suo successore, si proclamò “re di tutta l’Italia” e legittimò il proprio
figlio come successore addirittura nel circo romano di Milano.
Con Autari, prende avvio il processo di unificazione del regno. I primi lineamenti
della sovranità si individuano nella rivendica da parte del regnante di una sfera
amministrativa propria nei vari ducati tanto da accostare alla curtis ducalis
(corte, cioè patrimonio del duca) una curtis regia, la corte regia governata da
un incaricato del sovrano: il gastaldo che divenne uno strumento di controllo
dell’esercizio del potere periferico del duca, capo degli exercitales (liberi in
armi) longobardi locali.
Allo stesso tempo Autari frenò gli orientamenti filo-bizantini che si insinuavano
in gran parte dei ducati ed estromise i latifondisti romani restii all’obbedienza
espropriando loro le terre al fine di creare un ceto di maggiorenti longobardi
fedeli al trono. Non ci fu un rifiuto da parte del gruppo longobardo del modello
civile romano. Nella scarsezza delle fonti, si presume che le condizioni dei
dominati fossero localmente diverse nella varie situazioni, e che nonostante ciò
nei rapporti di famiglia e patrimoniali essi continuassero ad avvalersi di un
diritto romano semplificato, ridotto a consuetudine.
Si suppone che, dopo l’integrazione religiosa e culturale nel secolo VII, si
raggiungesse una sostanziale unità giuridica, favorita da una fusione sociale
delle etnie: i maggiorenti di origine romano- italica con i potenti e ricchi tra i
Longobardi e gli umili con gli umili. Si costituì, così un complesso unitario di
regole che accoglieva molti elementi della tradizione di origine romana.
L’EDITTO DEL RE ROTARI (643)
La prima e più importante compilazione normativa longobarda risale al 643,
quando fu emanata da Rotari. Un testo di grande interesse e durata nella
storia del nostro Paese, perché inglobata nella Lombarda, avrà circolazione
anche nel Basso medioevo e alcune sue pratiche rientreranno nelle
consuetudini locali, sia al nord che al sud. L’origine di questo corpus legislativo
si rintraccia nel proposito di porre rimedio ai maltrattamenti e violenze cui
erano sottoposti gli arimanni (i liberi longobardi) poveri: “ a causa delle
continue sopraffazioni perpetue a danno dei poveri e delle eccessive esazioni
(riscossione del denaro) di cui essi stessi erano vittime”. Dall’epilogo sembra
trapelare una sorta di origine pattizia delle disposizioni normative, laddove si
afferma l’approvazione della legge tramite il rituale del gairethinx, grazie al
quale la legge è stata riconosciuta valida e stabile. Al termine gairethinx
bisogna pensare ad una specie di normativa pattizia concordata fra il re e il suo
popolo, che avrebbe convalidato la normativa raccolta nel testo. Questa prima
normativa longobarda non innova ufficialmente la disciplina vigente, fino ad
allora non scritta, ma si limiterebbe a redigere per scritto le consuetudini
popolari (cawarfide). E ciò avvenne in 388 capitoli in latino con solo qualche
parola in longobardo perché intraducibile o indicata accanto all’equivalente
latino (wadia=fideiussio, per esempio), perché i Longobardi non avevano
pratica con la scrittura della loro lingua, limitandosi a trasmettersi oralmente la
loro cultura.
Il re per il suo Editto si è avvalso della competenza di un personale di cui si
fidava, cioè gli iudices, cui sarebbe stata delegata l’applicazione della
normativa, così come gli ecclesiastici, gli unici allora ad avere dimestichezza
con la scrittura e a poter consigliare ad esempio in tema di rapporti di famiglia
e di giuramento. Importante da ricordare è che i Longobardi in quel periodo si
erano già convertiti al cristianesimo, anche se ancora ariani – seguaci
dell’eresia che la Chiesa cattolica attribuiva ad Ario.
Per quanto riguarda i contenuti, molte norme sono destinate a prevedere una
serie di compositiones per i reati più vari, cioè la fissazione di pene
pecuniarie atte a sancire il danno inferto in modo da preservare la pace tra le
famiglie interessate. Ad esempio, sferrare un pugno poteva costare tre soldi,
uno schiaffo sei, cavare un occhio implicava il versamento della metà del
wergild o widrigild (guidrigildo), vale a dire il prezzo dell’uomo, il valore che si
doveva risarcire in caso di omicidio o di altre lesioni alla persona, un valore
dipendente dallo status dell’offeso, dal suo rilievo politico-economico. La
somma da versare era passibile di notevoli variazioni. Il prontuario degli importi
prevedeva stime diversificate per i liberi, i semiliberi o aldii, i servi rustici,
seguendo un ordine descrescente che arrivava fino al pastore. La compositio
era stabilita in base ad una scala gerarchica. Di fronte alle exactiones, che
consistevano nell’esosità dei prezzi imposti dai giudici, Rotari inasprì le
compositiones, soprattutto quelle relative all’omicidio, al fine di dissuadere le
frequenti faide tra famiglie. Le sanzioni afflittive e la pena capitale erano
previste raramente. Il carattere agro-pastorale e militare di quella società e la
sua violenza emergono da queste norme. Ad es. il cap. 187 sulla “violenza
contro una donna libera”:
“Se qualcuno prende moglie con la violenza, paghi la composizione come sopra e poi
acquisisca il suo mundio (tutela sulla donna). Ma se occorre il caso che elle muoia
prima che egli acquisisca il suo mundio, i suoi beni siano restituiti ai sui parenti e
l’uomo che l’ha presa in moglie con la violenza paghi una composizione per la morta
come se avesse ucciso un uomo dello stesso sangue, cioè un fratello di lei”.
Le norme processuali tradiscono una società fondamentalmente rozza, non
abituata alle sofisticate procedure romanistiche. Si parla di duello giudiziario,
sconosciuto al diritto romano, nel cap. 368:
“Dei campioni. Nessun campione presuma, quando va a duellare contro un altro, di
portare su di sé erbe che hanno proprietà malefiche, né altre cose di simile natura, ma
soltanto le sue armi. Se c’è il sospetto che le porti (le erbe) di nascosto, le cerchi il
giudice e se vengono trovate su di lui gli siano strappate e gettate via. Dopo questa
ricerca il campione tenda la mano nelle mani dei parenti o dei suoi colliberti: davanti al
giudice rendendo soddisfazione dica di non avere su di sé nessuna cosa di tale natura,
che abbia proprietà malefiche; quindi vada alla lotta”.
Si parla anche del giuramento, ad es. ai cap. 359 e 363:
“Se vi è una causa qualsiasi fra uomini liberi e si deve fornire un giuramento, se la
causa è di 20 solidi o più si giuri sui Santi Vangeli con dodici aiuti, cioè sacramentali (in
quanto prestano il giuramento), propri, in modo tale che sei di loro siano nominati da
colui che muove l’accusa e il settimo sia colui che è accusato e cinque siano dei liberi,
quali l’accusato vuole, cosicché siano dodici. Un giuramento sia considerato rotto
quando colui che viene accusato si riunisce con i suoi sacramentali davanti ai Sacri
Vangeli o alle armi consacrate e non osa giurare, oppure quando egli, o qualcuno dei
sacramentali, si sottrae: allora il giuramento sia considerato rotto”.
Questi sono alcuni esempi delle norme presenti nella raccolta, mentre alcune
disposizioni presentano delle innovazioni che si basano sulla volontà legislativa
del sovrano, come ad esempio dalle prescrizioni introdotte da formule del tipo:
“così stabiliamo… prevediamo”, che riguardano problemi nuovi come sulla
restituzione dello schiavo fuggitivo che abbia trovato rifugio in una chiesa. Il re
ama presentarsi come colui che ha trovato le antiche leggi (consuetudini),
tanto è vero che al cap. 386, in chiusura, si riserva di “aggiungere a questo
editto quanto ancora saremo in grado di ricordare”.
FINO AD ASTOLFO: ALTRI CARATTERI DEL DIRITTO LONGOBARDO
Alla compilazione di Rotari seguirono integrazioni brevi di Grimoaldo del 668,
poi una serie di innovazioni durante il governo di Liutprando (712-744), e
infine altre brevi normative di Rachi emanate nel 746 e di Astolfo promulgate
fra il 750 ed 755. Questi provvedimenti riformarono e integrarono la
legislazione precedente di Rotari, adeguandone la normativa alle mutate
esigenze presentatesi nel corso degli oltre due secoli della dominazione
longobarda; lo richiese il maturare della conversione al cattolicesimo, a fine
600, e anche la progressiva integrazione culturale e sociale delle due
popolazioni.
Con queste aggiunte venne configurandosi l’Editto longobardo nel suo
complesso, coltivato con particolare attenzione nel principato di Benevento,
dove continuò la dominazione longobarda, per esser riuscito ad evitare la
conquista franca. Numerosi sono i capitoli sul diritto di famiglia e lo status della
donna, la quale pur avendo piena capacità giuridica non pare avere capacità di
agire. Questo traspare in primo luogo dai cap. 204 e 215 di Rotari che ricordano
la soggezione del sesso femminile all’istituto del mundio, una sorta di potestas
di tutela affidata ai familiari maschi più stretti. A questa sorta di tutore,
denominato mundualdo, spettava l’autorizzazione alla stipula di tutti i negozi
giuridici della donna: come l’adempimento della desponsatio e l’affidamento al
marito al perfezionarsi dell’atto matrimoniale, l’assenso all’ingresso in
monastero e la correzione della sua condotta servendosi di moderati mezzi
punitivi. Il mundio ha carattere patrimoniale, in quanto il suo valore era
proporzionato al capitale posseduto dalla donna: era incluso l’asse ereditario e
alla morte della madre spettava ai figli minorenni. Il mundualdo poteva
ereditare i beni dell’amministrata ed incorporava gli importi delle
compositiones.
Il contratto nuziale si perfezionava solo con la traditio (trasferimento) della
sposa al marito, il consenso della donna restava fondamentale per contrarre
matrimonio nella cerimonia della subarrhatio anulo (scambio degli anelli), rito
che risentiva dell’influenza esercitata dalla Chiesa dopo la conversione dei
Longobardi al cristianesimo. Alla sposa spettava la titolarità dei doni nuziali che
il marito concedeva dopo lo sposalizio: il c.d. morgincap o morgengabe o dono
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Storia del diritto italiano I
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