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GIUSTINIANO: UNA PRIMA CARATTERIZZAZIONE
Il Tardo Impero continua o l’Alto Medioevo s’inaugura con Giustiniano,
teocratico e autoritario, centralistico, statalistico e cesaro-papistico che si
compendia nella figura di Giustiniano continuò a mantenersi inalterato in
Oriente, almeno fino alla caduta dell’Impero sotto i colpi delle armate turche
nel 1453.
Giustiniano nacque nel 482 da una famiglia di modeste origini. Vide la luce in
una località dell’Illiria ancora fortemente latinizzata. Giustiniano giunse a
Costantinopoli convocato dallo zio imperatore Giustino, fratello della madre,
che lo adottò e lo ammise come co-reggente al trono nel 527. Alla morte di
Giustino, avvenuta nello stesso anno, il trionfante Giustiniano, ormai
imperatore, perseguì l’ambizioso disegno della renovatio dell’Impero. I tratti
essenziali del suo programma politico si individuano:
nella necessità di una codificazione che provvedesse ad ovviare
- all’incertezza del diritto;
nel ripristino dell’unità imperiale anche attraverso l’uso delle armi per
- recuperare terre perdute al governo diretto come l’Italia;
nel rinsaldare culturalmente il proprio popolo serrando i ranghi della fede
- cristiana, anche con la persecuzione degli eretici.
Giustiniano realizzò nell’Impero d’Oriente un governo imperiale organizzato e
basato sulle armi e sulle leggi: è il doppio lume di cui parla Dante.
L’Impero del Medioevo ereditava dalla tarda antichità romana un Impero
cristiano. Giustiniano fu e volle essere per i suoi sudditi un imperatore cristiano
e cristiani furono anche i suoi collaboratori ed i suoi fini di governo. Si avvalse
della collaborazione degli ecclesiastici e li privilegiò nel confermare un’opzione
fondamentale del tardo Impero: l’esclusivismo intollerante del credente.
Giustiniano consolidò un orientamento ben delineato. Le chiese delle varie città
dell’Impero e quella di Costantinopoli caratterizzarono e condizionarono la
conduzione giuridico-politica delle istituzioni pubbliche. La legislazione
giustinianea è riconosciuta dagli studiosi come romano-cristiana; le sue norme
sono definite sacrae, ed anche sacralissime. Le chiese conservarono una
larghissima autonomia nelle materie spirituali riconosciute di loro competenza,
er erano protette e favorite dallo Stato. Proprio Giustiniano recepì come leggi
statali i canoni dei più antichi concili ecumenici con le Novelle e confermò la
giustizia tributata dai vescovi, promuovendo una simbiosi tra i due
ordinamenti.
Non era concepibile una contrapposizione tra le due realtà proprio perché non
esistevano due entità distinte. Tutta la società bizantina era una basileia, un
regno, anche se al suo interno si distinguevano gli humana e i divina,
l’imperium, e il sacerdotium, entrambi derivanti da Dio secondo l’insegnamento
di S.Paolo.
L’imperatore, il basileus della tradizione orientale, era un autocrate
responsabile del governo della società, personificava il vicarius Dei figurato da
Eusebio di Cesarea. L’imperatore era responsabile e capo della Respublica,
ossia dell’organizzazione che ancora adesso chiamiamo pubblica che faceva
degli imperatori dei pontefici massimi della religione tradizionale e che vedeva
i beni destinati al culto, i sacra, come pertinenti al diritto pubblico,
all’amministrazione statale. Le chiese facevano parte dell’amministrazione
pubblica all’interno dell’Impero, ed i loro beni erano detti pubblici. Il
patrimonio ecclesiastico subì un incremento di vaste proporzioni tanto da
sollecitare una disciplina particolare, come quella riservata a tutti i beni
pubblici ritenuti inalienabili e imprescrittibili, ossia non suscettibili di
usucapione per possesso prolungato; erano solo disponibili da parte
dell’autorità pubblica, in quanto parte del patrimonio pubblico.
Qui risiede la premessa ideale e normativa di principi di governo che per lunga
parte del Medioevo restarono saldi ed immutati:
che la pubblica autorità potesse disporre dei beni delle chiese, res
1) sacrae, ma allo stesso tempo res publicae; nella Novella si parla di res
sacrae publicae;
che gli uffici ecclesiastici avessero un’autonomia funzionale che non
2) escludeva una superiore responsabilità delle autorità pubbliche laiche sul
conferimento degli incarichi più elevati, come quelli dei vescovi, membri
dell’amministrazione pubblica statale secondo la legislazione
tardo-imperiale.
Questo era l’Impero bizantino d’Oriente.
GIUSTINIANO LEGISLATORE: IL CODICE
Il diritto divenne uno dei fattori essenziali per dare unità e compattezza a un
Impero i cui abitanti avevano tutti ricevuto la cittadinanza romana. La
redazione di un corpus legislativo unitario si profilò per Giustiniano di fronte ai
pericoli che premevano ai confini e agli elementi di disgregazione che
premevano dall’interno dell’Impero. Nel corso del suo mandato imperiale si
elaborarono e pubblicarono più testi normativi grazie al lavoro di un’apposita
commissione formata da alti funzionari imperiali, fra cui Triboniano,
inizialmente suo magister officio rum e un professore di diritto: Teofilo.
Il primo testo elaborato fu il Codex, i cui lavori presero avvio pochi mesi dopo la
proclamazione di Giustiniano ad imperatore, ma esso non ci è pervenuto,
anche se possiamo ricostruirlo grazie al materiale che doveva rielaborare: il
Codice Gregoriano ed Ermogeniano e il più recente il Codice Teodosiano. La
struttura organizzativa si può desumere da un frammento di indice che cita la
legge di Valentiniano III. La successiva redazione del Codex, nel 529 da parte di
Giustiniano, costituì una revisione che metteva ordine alla produzione di
costituzioni imperiali degli ultimi secoli; selezionava quelle da ritenersi ancora
vigenti e le abbreviava lasciando la sola parte dispositiva, omettendo la
narrazione delle premesse che avevano condotto all’adozione del testo e
all’esposizione degli scopi che avevano determinato la normativa. Esso
comprendeva la più recente legislazione imperiale, ma raccoglieva e
armonizzava anche le leges precedenti, cioè le costituzioni imperiali del Basso
Impero, età in cui l’imperatore divenne l’unica fonte di diritto.
Il Codex pur avendo anche molte norme relative ai privati, rifletteva l’apparato
complesso dell’Impero. Si ricordano ad esempio: il ferreo controllo statale
previsto sui collegia, quelle corporazioni che, soggette ad autorizzazione e
sorveglianza pubblica, a partire dal Basso Impero, ebbero una configurazione
pubblicistica, che vincolò gli eredi dei partecipanti sia al luogo che al mestiere
dei predecessori; oppure le discipline speciali per singole categorie che davano
vita anche a giurisdizioni speciali, come quella vescovile e militare,
accompagnate da altre, come quella fiscale. Nel codice troviamo anche
numerose norme processuali.
Le successioni ereditarie e le norme relative al diritto di famiglia
determinarono, con l’influenza del cristianesimo, il carattere di questa
legislazione come diritto romano-cristiano. Giustiniano revocò, ad esempio,
il divieto di nozze tra cugini, disposto dal Codice Teodosiano, e mantenne il
divorzio. La normativa imperiale tendeva a disciplinare materie in passato
impensabili. La legge era intervenuta ad esempio, a condannare la
matematica, l’astrologia e la brama di sapere, che qualche decennio dopo
divenne motivo di condanna di morte, ritenendosi alto tradimento il solo
fatto della individuazione delle leggi di natura. La prima disposizione fu accolta
nel Codex giustinianeo, le altre due erano già nel Codice di Teodosio. La legge
era intervenuta anche a vietare pratiche che turbavano la sensibilità
umanistica di cultura greco-romana, come quella della vendita dei figli.
IL DIGESTO
Vigente già il Codice, un’altra commissione guidata da Triboniano portava a
compimento un’altra opera già provata invano da Teodosio II. Nel 533 videro la
luce i Digesta, secondo la terminologia latina dette anche Pandectae dal greco
pan décomai (raccogliere tutto). L’opera accoglieva un’accurata selezione del
materiale offerto dai giuristi romani detti dagli studiosi moderni classici. Questi
giuristi, dotati di un’eccellente cultura, di una forte personalità e di un
grandissimo prestigio sociale elaborarono una serie di opere differenziate in
rapporto alle finalità prefissate: ad es. le Institutiones che avevano un carattere
introduttivo al diritto nel suo complesso, i commenti che interpretavano gli
Editti come ad esempio l’importante Edictum pretorio e i Responsa con cui
davano pareri che risolvevano quesiti specifici nati dalla pratica giudiziaria.
Le loro elaborazioni dottrinali avevano la caratteristica di mettere per scritto le
regole ed i problemi del diritto romano che andava maturando e complicandosi
dagli antichi usus e mores non disciplinati dalle leggi. Si trattava di opere
ricognitive e costitutive, che documentavano il diritto romano nel momento
stesso in cui lo aiutavano a svilupparsi adeguandolo ai nuovi problemi del
tempo.
I Digesta, o Digesto, nei suoi 50 libri raccoglie 40mila frammenti di una
quarantina di giuristi le cui opere residuavano dalla dottrina romana antica, e il
termine è rimasto a designare un condensato. Il Digesto è una raccolta di
giurisprudenza derivante dalla iuris prudentia, dalla scienza del diritto, dalla
riflessione specialistica sulle questioni giuridiche portata avanti nel corso di più
secoli dai giuristi romani. Da questo nome deriva il nome delle attuali facoltà
universitarie. Giurisprudenza oggi ha un significato più specifico, perché indica
anche il complesso delle decisioni dei giudici.
I Digesta furono commissionati come una raccolta di iura, distinta da quella
delle leges, i cui contenuti non erano dottrinali, ma legislativi. Anche gli iura
raccolti furono sanzionati solennemente dall’imperatore, per cui il titolo della
loro validità fu immediatamente diverso e più forte.
Gli antichi testi, coordinati e modificati per essere armonizzati tra loro dalla
commissione presieduta da Triboniano, vennero attualizzati, modernizzati da
Giustiniano (VI sec): queste loro note saranno dette dagli umanisti del 400-500
emblemata Triboniani e dagli studiosi tedeschi dell’800 interpolazioni. Il
monopolio legislativo del sovrano si era già affermato; con Giustiniano, e la
duplice compilazione del Codice e del Digesto, si affermò una diversa autorità
dell’opera del legislatore e del giurista. Il recupero dopo secoli degli iura fu
possibile grazie all’interpretazione del diritto più stab