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I PIPINIDI, IL PAPATO E LO STATO PONTIFICIO

Lo Stato Pontificio fu diverso dalle previsioni iniziali. Il Papato aveva sperato di

ripristinare una Respublica Romanorum libera. I Franchi preservarono e

assunsero la direzione del Regnum Langobardorum sconfitto, cui fu assicurata

la conservazione di una propria individualità distinta dal regno dei Franchi, con

proprie leggi, amministrazione, capitale e funzionari. Inoltre assunsero la

sovrintendenza delle terre papali e di quelle ex-bizantine occupate, esercitando

una specie di protettorato sul Papato, che dovette consentire loro di essere

un’istanza di giustizia per chi volesse appellarsi contro le decisioni pontificie. La

crescente potenza temporale suscitava contrasti sempre più vivi intorno alla

carica papale. Un papa fu addirittura assassinato e il Concilio lateranense del

769 esaminò e discusse la grave questione del sistema elettorale. Venne

circoscritto l’intervento dei laici alla sola acclamazione del candidato scelto

dagli ecclesiastici, ed egli doveva rispondere a questi requisiti: a) non poteva

essere un laico; b) doveva essere scelto dal clero e c) esclusivamente tra i

sacerdoti e i diaconi cardinali della città di Roma, ossia a quelli che si

occupavano delle grandi basiliche di san Giovanni in Laterano, san Pietro, san

Paolo fuori le Mura e santa Maria Maggiore. I diaconi erano addetti alla

fondamentale organizzazione assistenziale laico-ecclesiastica al fine di

assicurare il consenso popolare al Papato.

Il governo papale riuscì ad evitare di essere degradato a mero ufficio direttivo

di una chiesa ormai franca, e rimaneva un alleato con una propria individualità

politica ed istituzionale. La mancanza di un apparato militare non consentì alla

Chiesa di Roma di pretendere dal vincitore il rispetto degli accordi di cessione

territoriale. L’omaggio offerto da papa Adriano I a Carlo della nuova redazione

della Collectio canonum Dionysiana, detta Dionysio- Hadriana, sottolinea la

rivendicazione del ruolo autonomo del Papato e dell’organizzazione

ecclesiastica rispetto ai poteri laici.

IL PROGETTO STATALE DI CARLO MAGNO

Il sistema di potere carolingio si configurò come un progetto politico-

istituzionale e culturale di vasta portata sull’eredità del mondo antico da

recuperare dopo gli sconvolgimenti dei secoli V e VI, a fronte del perdurare del

modello imperiale bizantino. L’Impero era ancora simbolo di legittimità e di

ordine. Inoltre Carlo aveva fornito sufficienti prove di fedeltà al progetto papale.

Mancava un elemento decisivo, un rilievo istituzionale maggiore di quello

indotto dal titolo di re, proprio perché i Franchi avevano una tradizione

patrimoniale di più regni separati che conservarono anche dopo la

ricostituzione dell’Impero. L’aggiunto titolo di rex longobardo aveva costretto i

Franchi ad instaurare un rapporto speciale con Roma. Si imponeva una

soluzione obbligata: la sanzione della supremazia di Carlo.

Il dotto precettore del re franco, Alcuino di York, anticipò in una lettera nel

799 i lineamenti del progetto statale carolingio. Alcuino sosteneva che i più alti

poteri nel mondo erano quelli del papa e dell’imperatore, entrambi in crisi.

Carlo era destinato a divenire il salvatore del popolo cristiano, ad eccellere su

ogni altra carica. L’altro dotto di corte, Eginardo, biografo di Carlo, narra le

perplessità e i dubbi del suo biografato di fronte alla famosa incoronazione ad

imperatore, avvenuta nella notte di Natale dell’anno 800 da parte del papa,

Leone III, che lo unse e gli pose addosso le vesti imperiali e la corona.

Il neo-imperatore ebbe modo di valutare pienamente la portata dell’evento.

Bisanzio lo considerò subito un usurpatore, anche se egli era stato proclamato

dal popolo presente in san Pietro solo come imperator senza la specificazione

romana, e il Papato poteva opporre una derivazione del potere imperiale da

quello papale.

Nell’813 fu Carlo stesso a incoronare il figlio Ludovico, senza intervento papale.

L’imperatore Ludovico il Pio nell’817 in un atto relativo alle varie donazioni e

alle promesse territoriali precedenti, dispose che per le elezioni papali

dovessero essere competenti solo “tutti i romani”, operando unanimemente

per ispirazione divina e intercessione del beato Pietro. L’unanimità richiesta

poteva porre problemi di contestazione, che solo la conferma imperiale

avrebbe potuto sanare. Il testo sanciva che dopo la consacrazione gli

ambasciatori avrebbero raggiunto l’imperatore per riconfermare i tradizionali

legami d’amicizia. Il rispetto per i canoni non tutelava adeguatamente i Franchi

che intervennero di nuovo nella questione nell’824 con la c.d. Constitutio

Romana di Lotario, figlio di Ludovico e co-imperatore. Il punto è trattato

nell’ambito di un provvedimento che confermava il protettorato che

confermava il protettorato franco sul Papato, tanto ampio da configurare

l’imperatore come garante dell’obbedienza dovuta dai sudditi al papa e a

quanto disposto dai giudici, che dovevano rispondere della loro attività e della

regolarità canonica dell’elezione. L’eletto prima della consacrazione doveva,

alla presenza di un messo imperiali e del popolo, giurare fedeltà al potere laico

– Ludovico e Lotario.

I dotti di corte esaminarono analiticamente nei Libri carolini la questione

dell’iconoclastia ed elaborarono un’argomentata presa di posizione per

intervenire nelle infinite questione di una struttura ecclesiastica. Il Concilio di

Francoforte del 794 aveva ribadito i dogmi della fede cattolica in merito al

culto delle immagini. Lo stesso Carlo incaricò Alcuino di riesaminare la Bibbia, e

Paolo Diacono di redigere un nuovo omeliario da estendere a tutti i regni

dell’Impero. Si confermava il ruolo di protettore della Chiesa che l’Impero aveva

sempre esercitato.

LA NORMATIVA CAROLINGIA: CAPITULA E CAPITULARIA

Le costituzioni emanate dai Pipinidi, divenuti Carolingi per la personalità del

grande Carlo, presero il nome di capitula o più spesso di capitularia. L’uso di

questa terminologia assume un valore di notevole rilievo. Durante il regno dei

Merovingi si era mantenuto il lessico di derivazione romana adottando le

espressioni di edictum, decretum, praeceptio o praeceptum. La diversità delle

formule carolinge non implica una divergenza sostanziale dalle precedenti

disposizioni. Era prerogativa della Chiesa riferirsi ai capitula per definire le

disposizioni emanate dai concili, che promulgavano norme che vincolavano

tutti i fedeli del territorio interessato. La produzione legislativa carolingia si

assimila a quella categoria forse per aspirare alla stessa vincolatività e

legittimità.

Capitulare indica una serie di singoli capitula pubblicati in un unico testo. Si

distinguono secondo i contenuti: capitularia specialia, cioè quelli disponesti in

relazione a specifiche contingenze locali, e quindi di diritto singolare, di contro

ai generalia, rivolti a tutto l’Impero, espressione d’una volontà di governo delle

molte popolazioni; di capitularia ecclesiastica, per quelli che accoglievano

normative sulle chiese, sui monasteri e sul clero, e di capitularia mundana per

quelli riferibili solo a questioni temporali, riguardanti i laici; di capitularia misso

rum, per quelli con direttive specifiche per i missi dominici, i funzionari di

governo che venivano inviati in rappresentanza del sovrano con compiti di

giurisdizione e controllo: in genere un conte e un vescovo; di capitularia legibus

addita o addenda per designare quelli che modificavano e aggiornavano le

antiche leges popolari. Carlo è stato qualificato novello Giustiniano. La sua

produzione normativa non poteva tardare ad essere raccolta. Ci pensò

Ansegiso, abate presso il monastero di Fontanelle, che collezionò tra l’826 e

l’827 i capitolari di Carlo Magno e di Ludovico il Pio. Dei quattro libri che

derivarono dalla raccolta, due riguardavano la materia temporale e due erano

di contenuto ecclesiastico. Per l’Italia, importantissima la raccolta che va sotto

il nome di Capitulare Italicum, perché raccoglie tutti i capitolari che ebbero

vigore in Italia. Esso compare nei manoscritti come appendice all’Editto

longobardo. La raccolta fu realizzata da privati, e ad essa si aggiunsero poi

testi imperiali non carolingi emessi fino a metà del secolo XI in quanto ritenuti

facenti parte della normativa generale per il regno.

Alcune categorie di capitolari.

I capitularia ecclesiastica sono molto significativi dell’alta protezione che

Carlo e i suoi successori pretendevano sulla Chiesa: sono diritto dello Stato

sulle faccende ecclesiastiche, e corrispondono alla nozione attuale di diritto

ecclesiastico. I capitularia venivano emanate all’interno di diete (assemblee di

notabili, laici ed ecclesiatici) richieste dallo stesso clero.

Questi capitolari tentarono di imporre una disciplina unitaria ai fedeli. Contro la

frammentazione localistica che si era manifestata con la fioritura di abbazie

sottoposte a regole diversissime, in base all’arbitrio dei fondatori laici, essi

prescrissero l’adozione generalizzata della Regula benedettina; riformarono

unitariamente la liturgia; favorirono il coordinamento dei metropoliti (vescovi a

capo delle chiese regionali); l’istruzione e la vita comune del clero; il

pagamento delle decime; il latino dei chierici, il calendario.

Per quanto riguarda ai capitularia mundana, sono tutti gli altri, cioè quelli non

attinenti a materie ecclesiastiche. Diversi nei contenuti, tentarono di ricostituire

sedi per l’insegnamento qualificato di varie discipline, a quelli de villis, con

disposizioni di grandissimo interesse per la storia economica e

dell’amministrazione attinenti all’amministrazione delle grandi proprietà

pubbliche, dai cui raccolti dipendeva anche il mantenimento della corte e dei

suoi numerosi vassalli e servi.

L’altra categoria importante è quella dei capitularia legibus addenda, che

intervenivano a modernizzare le antiche leggi popolari. Questa riforma

richiedeva il consenso di qualificati esponenti dei popoli cui i capitoli erano

destinati. Non sorprende la presenza degli scabini, tecnici professionalmente

qualificati che furono l’asse portante della riforma processuale introdotta da

Carlo Magno sul finire dell’VIII sec. Essi componevano un organo stabile di

giudici locali che aiutavano il conte o il missus nella conduzione del processo,

consigliandolo come esperti quanto ai contenuti della sentenza. La loro

competenza si rivelava al momento dell’approvazione di questi capitularia.

Questo modo di procedere venne colto dagli osservatori. Gli Annali di Lorsch,

ad es, narrano che Carlo nel 802 adunò

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
6 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher casildina di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto italiano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Ascheri Mario.