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REGNO DI NAPOLI

Novità nel 700: ascesa della casata dei Borbone. Carlo III è incoronato Re di Napoli nel 1734 e con lui cessa un periodo che vedeva il regno invaso dagli austriaci e ora indipendente da poteri stranieri. Subito Carlo III si dedica a questo regno che deve essere reso uno splendore. Carlo III si rende conto che questo regno ha bisogno di un rinnovamento e si affida per questa rivisitazione a un personaggio di nome Bernardo Tanucci, professore a Pisa e originario di Stia nel Casentino. Viene definito un "ministro illuminato", che incarnava quelle idee della cultura del suo tempo.

Il sovrano si trovava di fronte a un ordinamento non scritto che era il solo realmente vigente (parole dello storico Aiello): la situazione delle fonti era veramente ingarbugliata. C'era una pluralità di fonti scritte ma oltre a queste c'era anche da fare i conti con le interpretazioni giurisprudenziali, così che tutta quella serie di norme scritte cedeva.

di fronte a un ordinamento non scritto consolidato grazie alla giurisprudenza dei tribunali e all'interpretazione dei dottori. Nell'ottica di razionalizzazione bisognava intervenire in maniera decisa. Già nel Liber Augustalis di Federico II era presente la Costitutio Puritatem con cui si cercava di mettere ordine nelle fonti, tuttavia questo intento era andato deteriorandosi dando vita a tutti questi inconvenienti.

Dunque, di fronte a questa situazione Carlo III e Bernardo Tanucci operano in 2 direzioni:

  1. Riorganizzazione delle strutture giudiziarie: bisognava sfoltire tutte quelle giurisdizioni che nel corso dei secoli si erano succedute e le conseguenti magistrature. C'era una serie intricata di corti che doveva essere semplificata. Cercano di creare una magistratura centralizzata e efficiente al posto dei vecchi tribunali che avevano il difetto di fondo di essere troppo autonomi, rifiutando ingerenze da poteri esterni.

Nel 1738 dunque viene emanata la pragmatica dei tribunali,

norma regia che doveva eliminare queste giurisdizioni. Questa però incontrò tali resistenze da non riuscire a ottenere l'effetto e cadde nel nulla nonostante fosse ritenuta fondamentale nell'ottica di riassetto dello Stato.

Riformulazione del diritto: bisognava riformulare le fonti normative del regno nella loro generalità e soprattutto in materia commerciale, tenendo conto del fatto che c'era una rilevanza pubblicistica di questo ambito. In questa ottica nel 1740 viene dato l'incarico a Pasquale Cirillo di redigere un Codice di leggi. Cirillo era professore di diritto municipale a Napoli e poi di Ius Publicum e era un personaggio di spicco della scuola napoletana, ben conosciuta anche al di fuori dei confini dello stato. Nel 1741 Cirillo viene affiancato da una giunta di funzionari con il compito di revisionare il lavoro e di riportare il tutto al sovrano, testimonianza dell'interesse del re verso questa redazione. Tanto Cirillo quanto i

funzionari erano però giuristi conservatori e l'impresa era votata all'insuccesso, perché la selezione di giuristi era stata fatta scegliendo giuristi che non credevano in quell'intento di riforma. Cirillo e la commissione finiscono il lavoro e presentano il Codex Legum Neapolitanarum, detto anche Codice Carolino perché di Carlo III. Era composto in 12 libri su modello giustinianeo e redatto sia in latino che in italiano. Questo prodotto è però molto prolisso e mal visto, tanto che Cavanna parla di una sistematizzazione esterna e superficiale. Dunque, la giunta fu del tutto inconcludente e non sortì l'effetto sperato.

A causa di tutti questi fallimenti nessuno successivamente credeva più nel tentativo di riforma. A metà del 700 dunque rimaneva quindi fondamentale il sistema di diritto comune, assetto che si confaceva alle situazioni istituzionali consolidate che erano presenti nel regno. Nonostante il fallimento

però si insiste su questa idea di riforma e l'intento più importante è quello del Dispaccio Tanucciano: Ferdinando IV, in un primo periodo, si appoggia ancora a Tanucci, ancora nel ruolo sotto Carlo III. Tenta di dare corpo a quella riforma che recepiva le idee dell'Illuminismo sulla riforma e sul modo di intendere il diritto. Bernando Tanucci pensa che una prima operazione di riforma debba riguardare l'incertezza del diritto derivata dalle opinioni dottrinali, le quali dovevano essere bandite. Veniva inoltre fissato l'obbligo della motivazione della sentenza sulla base delle leggi del regno e non sulle autorità dottrinali. Poi Tanucci prevedeva anche l'istituto dell'interpretazione autentica: i magistrati erano obbligati ad attendere il sovrano oracolo nel caso di completa lacuna della legge, non colmabile dall'attività del giudice. Questo dispaccio dunque rappresenta a livello ideale una grande riforma che dovevainvestire tutti i campi della giurisdizione, ma anche questo incontrò varie resistenze e non trovò mai riscontro nella realtà giuridica. Questa esperienza napoletana, per quanto ricca di intenti rivoluzionari, resta dunque caratterizzata da soli tentativi e da nessuna concretizzazione. GRANDUCATO DI TOSCANA Una situazione analoga si verifica nel granducato di Toscana: negli anni 30 del 700 si estingue la dinastia dei Medici e si pone un problema di successione. Nel 1737 sale al trono Francesco Stefano di Lorena che era anche imperatore del Sacro Romano Impero. Nonostante lui sia il titolare del granducato affida la gestione del regno a Emanuele di Richecourt, il quale viene messo a capo di un consiglio di reggenza che governa in nome del duca assente. Il giudizio della storiografia è molto lusinghiero: Giovanni Tarello lo definisce uno statista insigne, perché è un funzionario del sovrano che però sa far bene il suo mestiere e ha un'altaconcezione dello Stato. Richecourt si trova di fronte un forte particolarismo giuridico amministrativo: la Toscana era la c.d. "terra dei mille campanili", perché sussistevano tantissime giurisdizioni sia speciali sia ordinarie. C'era anche da fare i conti la formazione alluvionale del granducato, che aveva visto un'estensione del dominio fiorentino prima su Pisa e poi su Siena. Accanto a questo particolarismo giuridico e amministrativo ce n'era uno anche economico e sociale, che portava a una sorta di semi-paralisi del commercio e delle finanze (ES: istituto della mano morte: tanti patrimoni di proprietà della Chiesa erano immobilizzati, cosa che andava contro la produzione di ricchezze. Predominio dei ceti nobiliari che tendevano a mantenere lo status quo e che bloccavano il sistema produttivo.) Questo problema del particolarismo, specie giuridico, era stato avvertito anche dai giuristi: abbiamo varie figure come Averani, maestro del Tanucci, eanche Leopoldo Guadagni, i quali sottolineano come questo particolarismo debba essere semplificato. Dunque, se alcuni criticano questo assetto, verso gli anni 40 del '700 si comincia a ragionare di una riformulazione del diritto e sulla riorganizzazione delle strutture giudiziarie. Nel 1745 il sovrano incarica Pompeo Neri, lettore di diritto pubblico a Pisa e funzionario granducale, di preparare un codice di diritto patrio, seguendo l'esempio delle regie costituzioni. Conferisce poi l'incarico a Venturo Neri, figlio di Pompeo, l'incarico di riformare l'assetto giudiziario. Entrambi gli intenti sono quindi presenti. Anche stavolta però già nel 1747 i lavori si insabbiano e non vanno a buon fine. Rimangono però le 3 relazioni di Pompeo Neri con le quali illustrò alla commissione le idee guida che lo avrebbero condotto alla redazione del codice di diritto patrio. Le ragioni del fallimento sono molteplici: una prima ragione viene individuata dalla

Storiografia nella cultura giuridica di Pompeo Neri, il quale era un conservatore. Nella sua ottica si doveva procedere solo a unificare il diritto municipale, che egli intendeva come costituito dagli statuti, dalle consuetudini e dalla giurisprudenza. Per lui non si poteva prescindere dal diritto comune, fondamento principale.

Un'altra ragione è il fatto che Neri si ostina a richiedere per il testo un impianto romanistico: questo codice doveva seguire lo schema delle Istituzioni di Giustiniano, conseguenza dell'importanza del diritto romano, ritenuto diritto intangibile e per nessuna ragione da mettere in discussione. Neri era consapevole che non si poteva prescindere dal diritto comune in quanto fattore unificante di molti popoli. La Toscana era vista dall'immaginario del tempo come una piccola nazione che si inseriva nell'ampio contesto europeo, inserimento garantito dal diritto romano.

Un'altra ragione individuata dalla storiografia come causa del...

Il fallimento del progetto era quello di un suo atteggiamento anti-razionalistico: Neri non ha quella fiducia di poter rinvenire un ordine razionale nelle norme giuridiche, ma pensa che se il diritto è frutto dell'arbitrio degli uomini e la verità contenuta nella legge è fondata in questo arbitrio allora è inutile cercare un ordine razionale, che può esserci come non esserci. La legge è frutto della volontà arbitraria del legislatore e quindi cercare un ordine razionale rappresenta un'utopia. La ragione fondamentale risiede però nel fatto che la codificazione necessitava di una profonda riforma della società sia dal punto di vista giuridico che economico-sociale. Per quanto la dinastia avesse un anelito riformista c'era bisogno di un evento dirompente come l'abolizione dell'Ancient Regime che non poteva essere messa in atto.

ILLUMINISMO

Corrente filosofica di difficile definizione perché si riferisce

Il movimento dell'illuminismo è un movimento che si estende in numerosi ambiti diversi. Ha un ruolo fondamentale nell'elemento della ragione umana, capace con la sua luce di dissipare le tenebre dell'ignoranza. Il movimento che si cela dietro è un movimento amplissimo che investe tutti i settori del sapere, dalla letteratura, all'arte, alla politica ecc. Il secolo di riferimento in cui si colloca questo movimento è il 1700. Tra questi campi c'è anche l'ambito giuridico, che vede varie riflessioni sui fondamenti del diritto, sulla sua natura e sulle sue funzioni. Questi dibattiti spesso sono tenuti da soggetti non esperti di diritto, ma da frequentatori dei celebri salotti letterari. L'illuminismo giuridico vede due indirizzi prevalenti: da una parte l'illuminismo si interessa delle istituzioni politiche e sociali del tempo (Es. si interessa dello Stato: negli ultimi decenni del 700 si consolida il c.d. "assolutismo illuminato": nella seconda metà del 700 si costruisce una

nuova forma di Stato dove anche l'esercizio dei poteri si fonda sull'elemento della ragione). Dall'altra parte l'illuminismo prende in analisi le varie branche del diritto, gli
Dettagli
A.A. 2020-2021
132 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giadascaramelli97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Landi Andrea.