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L'ECONOMIA DEL SECOLO "NUOVO"

Ci interessa come la crisi economica abbia un importante impatto sull'universo giuridico e sullo stesso diritto; ci interessa comprendere il rapporto che si instaura tra diritto ed economia nell'inizio Novecento.

L'economia era il risultato delle evoluzioni iniziate con la rivoluzione industriale e assestata dopo il primo conflitto iniziale dimostrandosi sempre più come un'economia dei consumi; da quello che era stato il capitalismo borghese che aveva dato vita ai codici dell'Ottocento la produzione si era allargata e la distruzione della ricchezza con essa e si conseguenza i consumi e l'economia erano diventati una questione di massa.

Il capitalismo del secolo nuovo (così detto "secolo americano") è un sistema economico basato sull'incremento dei consumi che portano alla massificazione della ricchezza: la spinta a trasferire il potere economico dalle élite.

finanziarie a quello dei consumatori, che assumono il ruolo ulteriore di pubblica opinione. Questo sistema è complesso ma necessita di un ordine nuovo rispetto a quello semplice dell'Ottocento: "il Capitalismo non è a-gerarchia, ché anzi divinizza e invidia la gerarchia del denaro, ma confusione tra lo spirituale e l'economico. Il Capitalismo è appunto l'economicizzazione dell'essere felici, confusione tra due campi della vita, loro continuato disordine" (G. ALVI, Il Secolo Americano, Milano, Adelphi, 1996). Si tratta di una citazione di questo famoso economista italiano; il momento del lavoro e della produzione rappresenta una delle colonne portanti delle nuove costruzioni dell'ordine novecentesco, l'universo economico diventa sempre più protagonista e diventa argomento di discussione anche dei discorsi giuridici. L'economia di massa è un'economia confusionaria che rispecchia la confusione dellasocietà dimassa stessa che è disordinata e derivata dalla fine dell'ordine ottocentesco, ma è una confusione insenso diverso quasi giuridico del termine: confusione tra spirituale e economico tra felicità ericchezza (es. grande gatsby). Questa sovrapposizione che il capitalismo finisce per realizzare tra dimensione economica edimensione etica era stata in realtà già evidenziata da Max Weber, intellettuale e sociologo a cavallotra i due secoli, che in una serie di scatti raccolti all'interno di un piccolo libro fa risalirel'evoluzione del capitalismo alla riforma protestante che aveva incoraggiato una sovrapposizione trail piano dell'essere e dell'avere; questa visione secondo Weber avrebbe caratterizzato le societàoccidentali ovvero la tendenza di esse a considerare un valore spirituale e morale anche la ricchezzamateriale, coem metro per la ricchezza spirituale. Non vi è dubbio che la riforma

protestante era stato un momento storico e culturale importante che aveva contribuito all'affermazione del modello individualistico di convivenza, che aveva affidato ai singoli la piena e diretta responsabilità di essere uomini di fronte a dio senza intermediazioni di una comunità (che era invece l'idea cattolica); e proprio ciò secondo Weber aveva determinato il fatto che gli uomini avevano visto nella realizzazione materiale l'unico modo per comprendere la propria realizzazione spirituale, questo aveva segnato l'intera evoluzione della società occidentale finendo per arrivare nel novecento a creare questa confusione tra materiale espirituale.

"Il guadagno è considerato come scopo della vita dell'uomo, e non più come mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali. Questa inversione del rapporto naturale, che è addirittura priva di senso per il modo di sentire comune, è manifestamente un"

motivofondamentale del capitalismo così come è estranea all'uomo non tocco dal suo soffio". M. WEBER (1865-1920), L'etica protestante e lo spirito del capitalismo Il 24 ottobre 1929 il vertiginoso crollo della borsa di Wall Street aprì una stagione di deflazione economica che si protrasse per quasi un decennio, essa trova le sue radici nelle prima guerra mondiale e nelle sue conseguenze. Il "Black Thursday", è comunemente considerato il dies a quo della "grande depressione", ma non fu da solo sufficiente a scatenare la crisi estesa che si ebbe negli anni a seguire, eppure dopo tal giorno il mercato non sembrava più rispondente alle classiche dinamiche di espansione e recessione che lo avevano guidato fino ad allora e la depressione che per quasi dieci anni ne seguì non accennava a rallentare. La crisi sembrava più strutturale che contingente, tale data divenne emblematica non solo per l'America ma per

Il mondo intero. Il decennio che vi seguì è noto appunto come 'grande depressione', l'impatto di questo evento ebbe conseguenze non solo sul mondo economico e delle sue trasformazioni ma anche poiché giuridiche dell'intero mondo; esso terminerà solo con lo scoppio della seconda guerra mondiale.

"WHAT WENT WRONG?" Non è facile determinare una ratio, ma sicuramente fu un'intera cultura e tradizione che era andata in crisi insieme alla borsa di Wall street. "Il crollo dei titoli azionari a Wall Street nelle drammatiche giornate dell'ottobre 1929 parve segnare la fine di tutto un mondo, del mondo dell'Ottocento che era stato sì intaccato ma non gravemente colpito dalla guerra del 1914-18" (F. Catalano, 1967)

Possiamo capire come l'evento del giovedì nero segnò la fine di un percorso iniziato con la prima guerra mondiale, che aveva inciso fortemente sull'economia.

degli anni '20: gli USA avevano beneficiato del loro ruolo di potenza mondiale, la produzione era aumentata e così anche la speculazione finanziaria (Wall Street aveva pian piano sostituito la City di Londra; le riparazioni di guerra imposte dalla Germania; i prestiti di guerra distribuiti a tutte le potenze in campo crearono una situazione monetaria insostenibile che lentamente ed inesorabilmente scoperchiarono le fragilità dell'economia mondiale. LE MOLTEPLICI INTERPRETAZIONI DELLE CAUSE DELLA CRISI: - c'è chi sostiene che fosse dovuta principalmente alla distanza creatasi tra la finzione speculativa e la reale produzione industriale - c'è chi sottolinea invece l'inefficienza delle politiche monetarie e finanziarie degli stati a seguito della prima guerra mondiale. IL MODELLO DI "LAISSEZ-FAIRE" Ma non fu nemmeno tutto dovuto alle incertezze monetarie di Italia e Germania né al problema delle riparazioni di guerra, la crisi eraseguito della crisi economica del 1929. Si inizia a comprendere che il mercato non è in grado di autoregolarsi completamente e che è necessaria un'intervento statale per evitare gravi crisi economiche. Negli anni successivi alla crisi del '29, si sviluppa una nuova concezione economica che prende il nome di "Keynesianesimo", dal nome dell'economista britannico John Maynard Keynes. Secondo Keynes, l'intervento dello Stato nell'economia è fondamentale per stimolare la domanda e favorire la ripresa economica. Negli anni successivi, soprattutto a partire dagli anni '80, si assiste a un ritorno al laissez-faire, con la diffusione di politiche economiche neoliberiste che promuovono la deregolamentazione e la liberalizzazione dei mercati. Tuttavia, anche questa concezione viene messa in discussione a seguito della crisi finanziaria del 2008, che ha evidenziato i limiti del libero mercato e la necessità di un maggiore controllo e regolamentazione. In conclusione, la crisi del laissez-faire ha portato a una maggiore consapevolezza dell'importanza dell'intervento statale nell'economia, anche se il dibattito su quale sia il giusto equilibrio tra mercato e Stato è ancora aperto.Il tuo compito è formattare il testo fornito utilizzando tag html. ATTENZIONE: non modificare il testo in altro modo, NON aggiungere commenti, NON utilizzare tag h1; Il testo formattato con i tag html è il seguente:

modello di laissez faire, tanto che dopo la recessione non si ebbe la ripresa di tale modello. Gli effetti della depressione riguardarono soprattutto il mondo del credito (banche) e della produzione (industrie) con fallimenti e chiudere, una tendenza alla sovrapproduzione che colpiva in primis le imprese e si rifletteva sui lavoratori.

«Il disastro dipese da come il Mercato Mondo s’inceppò senza che i consumi durevoli del Secolo Americano riuscissero a divenire stabili: fallì la transizione dal vecchio Mercato Mondo al Secolo Americano» G. ALVI, Il Secolo Americano, Milano, Adelphi, 1996

La fine dell’Ottocento aveva rappresentato un punto di non ritorno, va in crisi il modello del capitalismo liberale, del mercato che si autoregola e delle dottrine del laissez faire; la domanda che ci si pone diventa “come si esce dalla crisi?”

  1. Il «Secolo Americano»: il ‘mito’ del New Deal

Nel novembre del 1932 quando FRANKLIN DELANO

ROOSEVELT vinse le elezioni sconfiggendo l'allora presidente in carica, la crisi economica stava flagellando gli USA da oltre tre anni, la sua campagna elettorale si era incentrata proprio su di essa: la disoccupazione, crisi di liquidità e fallimento delle piccole imprese erano all'ordine del giorno e in tale contesto di emergenza lo stesso Roosevelt trovò un terreno fertile per vincere la competizione elettorale incentrata totalmente sulla necessità di azioni (non più laissez faire) per favorire un ripensamento anche teorico più ampio delle relazioni tra governo ed economia.

"The task of Government in its relation to business is to assist the development of an economic declaration of rights, an economic constitutional order. This is the common task of statesman and business man. It is the minimum requirement of a more permanently safe order of things." - F.D. Roosevelt (1882-1945), Campaign Address on Progressive Government at the Commonwealth Club

In San Francisco (September 23, 1932). Questo discorso era stato scritto in realtà da Adolf Berle, un collaboratore di quel gruppo di collaboratori che nel tempo verrà ricordato come ‘Brain Trust’. Quello che si proponeva era una sfida ai due nemici di allora: all’individualismo sfrenato (‘rugged individualism’) che era causa e conseguenza della competizione scorretta (‘unfair competition’), che metteva in difficoltà i soggetti più fragili della popolazione, occorreva quindi secondo Roosevelt una regolazione dell’economia affidata ai pubblici poteri. Quest’affermazione era dirompente per la cultura americana, allungo incentrata sul mito della frontiera e dello Stato minimo (minor incidenza possibile dello Stato nella vita dei singoli); la libertà, uno dei principi fondamentali della Costituzione, si era consolidata anche grazie alla tutela giurisdizionale sulla libertà economica.

legge sul copyright nel 1790. Questa legge garantiva ai creatori di opere originali il diritto esclusivo di sfruttamento delle stesse per un periodo di 14 anni, rinnovabile per altri 14 anni. Questo concetto di protezione della proprietà intellettuale è stato poi adottato da molti altri paesi nel corso dei secoli successivi. Oggi, il copyright è diventato un elemento fondamentale nel mondo digitale, dove la condivisione e la diffusione delle opere è molto più semplice e veloce. Le leggi sul copyright sono state adattate per affrontare le nuove sfide della tecnologia, ma il principio di base rimane lo stesso: garantire ai creatori il diritto di controllare l'uso e la distribuzione delle loro opere. Tuttavia, la questione del copyright è spesso oggetto di dibattito. Da un lato, c'è chi sostiene che la protezione della proprietà intellettuale sia essenziale per incentivare la creatività e l'innovazione. Dall'altro lato, ci sono coloro che ritengono che il copyright possa limitare la libertà di espressione e ostacolare la condivisione del sapere. In ogni caso, l'intangibilità della proprietà privata è un principio fondamentale nel diritto e nella cultura occidentale. Il copyright ne è solo un esempio, ma la sua importanza è evidente nel modo in cui influisce sulla nostra vita quotidiana, dalla musica che ascoltiamo ai film che guardiamo, fino ai libri che leggiamo.
Dettagli
A.A. 2019-2020
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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MartinaCavaliere560 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Stolzi Irene.