Anteprima
Vedrai una selezione di 10 pagine su 43
Storia del diritto I Pag. 1 Storia del diritto I Pag. 2
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 6
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 11
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 16
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 21
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 26
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 31
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 36
Anteprima di 10 pagg. su 43.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia del diritto I Pag. 41
1 su 43
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

PER SOLDUM ET LIBRAM PRO RATA CREDITORUM, detto

anche CRITERIO DEL CONCORSO, si ovviava al criterio della

graduazione e ogni credito si pagava in proporzione all’attivo, ossia

si stabiliva che rapporto c’era l’attivo e il passivo e ciascun creditore

sulla base di quel rapporto sarebbe stato soddisfatto. Se, ad

esempio, ci sono tre creditori, il primo ha un credito di 5000, il

secondo di 3000 e il terzo di 2000, dunque vi è un passivo

fallimentare di 10000, e l’attivo fallimentare è 1000, sia secondo il

criterio della meritevolezza intrinseca sia secondo il criterio del

tempo tutto andrebbe al primo, invece con il criterio del concorso,

poiché l’attivo è il 10% del passivo, ogni creditore ha diritto al 10%

di quanto avrebbe diritto. Questo criterio aveva delle proprie

eccezioni nella tutela del ceto mercantile e la prima eccezione è

quella della dote che era in prededuzione, cioè la dote veniva

estromessa dall’attivo fallimentare. La funzione della dote, infatti,

era quella di sostenere le spese matrimoniali e veniva portata dalla

moglie al marito che diveniva l’unico amministratore del patrimonio

della famiglia, dunque in caso di fallimento la dote tornava alla

moglie ricorrendo ad una finzione, cioè si equiparò il fallimento alla

morte del marito. La moglie del mercante fallito generalmente era

figlie di mercanti e ciò rientrava nella tutela del ceto mercantile. Man

mano che ci si avvicina all’età moderna abbiamo delle eccezioni

vere e proprie, cioè vengono individuati dei crediti, come i crediti

della repubblica, che non possono essere considerati alla pari degli

altri crediti ma costituiscono un’eccezione. Nel 1548 una

provvisione di Cosimo I de Medici stabiliva che i detentori delle

cose del fallito potevano soddisfarsi su queste e, qualora vi fosse

un residuo del proprio credito, vi era un concorso con gli altri

creditori. 19/11/15

Nello statuto mercantile di Bologna del 1509 vengono inseriti varie

eccezioni al concorso come i crediti del comune e i crediti garantiti

da fideiussione e i crediti garantiti da pegno, addirittura in questo

statuto si escludevano dal concorso i crediti il cui titolo risultasse da

atto pubblico precedente di 12 anni dal fallimento esclusi i crediti

commerciali. In una addizione, cioè un’aggiunta alle rubriche

precedenti, del 1577 il legislatore si rende conto della compresenza

dei due criteri, dunque considera principalmente il criterio del

concorso ma quello della graduazione comincia ad essere proposto

e ad essere visto come conforme al diritto comune. Nell’addizione a

questo statuto del 1609 il legislatore bolognese abbassa quel

termine di 12 anni a 5 anni e poi a 4 anni e il criterio del concorso

viene visto come privilegio riconosciuto ai mercanti e ciò porta ad

un capovolgimento della prospettiva perché la graduazione ritorna

ad essere la regola generale e il criterio del concorso diviene la

regola particolare. Nel regio edicto del 1733 del duca Carlo

Emanuele III di Savoia vi è il ritorno all’antico realizzata in maniera

perfetta, ovvero la dimostrazione di come lo stato assoluto spazzi

via il diritto mercantile cancellando l’idea del concorso e stabilendo

di collocare ognuno dei creditori secondo la propria anteriorità. Il

concordato fallimentare è l’accordo tra le parti, cioè tra creditore e

fallito, in pendenza del fallimento che ha l’effetto di chiudere il

fallimento, dunque una sorta di transazione di tipo particolare fatta

nell’esclusivo interesse dei creditori e la transazione è

il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni,

pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che

può sorgere tra loro. il concordato fallimentare era un accordo sic

stantibus rebus, cioè, stando così il fallito, pagava secondo quello

che aveva ma se in futuro avesse avuto un altro patrimonio avrebbe

dovuto finire di pagare i propri debiti e il fallimento teneva conto sia

del numero dei creditori sia dell’ammontare dei crediti. Il primo

effetto ovvio del fallimento è la regolamentazione dei rapporti tra

creditore e debitore secondo l’accordo concordato, l’altro effetto è

che questo concordato comporta la rimozione del bando, ossia il

fallito può ricominciare la propria attività come faceva prima. Per

quanto riguarda le sanzioni accessorie, si varia da città a città. Il

salva-condotto era un istituto che serviva nell’agevolare la

stipulazione del concordato. Sussiste un’eccezione significativa a

questo modo di vedere il concordato e il salva-condotto, cioè la

LEGISLAZIONE VENEZIANA che, oltre ad avere particolarità

tecnologiche, ha una politica del diritto diversa in quanto si tiene in

considerazione anche l’interesse del fallito, infatti il fallimento non

doveva ritenersi doloso se il fuggito consegnava patrimonio e

scritture contabili e il salva-condotto doveva essere concesso

automaticamente affinchè il fallito potesse stipulare il concordato

poiché era cosa doverosa dare aiuto a coloro che fallivano. Il

professore veneto Zordan sostiene che la particolarità della

legislazione veneziana è dovuta alla propria insularità. In realtà

Venezia era la città che aveva più rapporti con l’Oriente e questo

faceva sì che a Venezia ci fossero numerosi fallimenti dovuti anche

agli infortuni dei mercanti durante i viaggi. Quando Venezia si

espande fino ad arrivare all’Adda deve fare i conti con un diritto

diverso dal proprio e con le proteste dei mercanti di terra ferma che

vogliono mantenere il proprio diritto. di conseguenza nello statuto

mantovano del 1520 il fallimento viene visto come reato e viene

stabilito che la fida, cioè il salva-condotto doveva essere connesso

d’ufficio senza i l parere dei creditori i quali a propria volta non

dovevano obbligatoriamente attuare il concordato. Tuttavia i

mercanti veneziani si rivolgono al doge insoddisfatti della facilità di

risolvere i fallimenti e il doge interviene in una ducale stabilendo

che i salva-condotti dovevano essere accordati con il consenso di

creditori e fallito, pena la revoca, inoltre viene ribadito

l’atteggiamento di pietas che il fallito meritava da parte dei creditori

dicendo che i magistrati dovevano cercare di convincere i creditori

ad attuare il concordato.

CONTRATTO DI SOCIETA’ 23/11/15

Il contratto di società è quel contratto con il quale due o più persone

conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività

economica allo scopo di dividerne gli utili. Questa nozione è

apparentemente perfetta, infatti contiene un elemento oggettivo,

cioè due o più persone, c'è un elemento materiale, cioè beni e

servizi, e c'è un elemento teleologico, cioè lo scopo di dividerne gli

utili. Tuttavia, come diceva Giavoleno, ogni definizione nel diritto

civile é pericolosa perché dà luogo a delle problematiche

interpretative non di seconda rilevanza. Se andiamo a vedere con

un'analisi storica gli antecedenti normativi di questa

disposizione,constatiamo nel codice civile italiano del 1865 la

definizione di contratto di società che fa riferimento non alla società

commerciale ma alla società civile ed è una definizione identica a

quella attuale ad eccezione del fatto che la definizione del codice

del 1865 fa riferimento alla comunione a scopo di godimento.

Accanto alla ricostruzione storica possiamo vedere nel nostro

codice se ci sono elementi di connessione con altri articoli riguardo

al tema della società. Se confrontiamo l'ART. 2082 e l'ART. 2247, in

entrambi si parla di impresa ma nel primo di impresa personale

nell'altro di impresa collettiva. Il profilo del contratto è disciplinato

dal codice civile e fa sì che si possano delineare i rapporti tra soci e

tra soci e terzi, invece l'aspetto dell'impresa come istituzione

collettiva era disciplinato dal codice di commercio. La nozione

dell'ART. 2247 presenta una particolarità, cioè il fatto che si basi sul

l'esercizio IN COMUNE dell'attività economica. Perciò ci sono stati

dei tentativi di interpretare in maniera elastica quest'aspetto

dell'attività economica in comune per rendere più blanda la

definizione contenuta nell'ART. 2247, ad esempio Galgano

sottolinea come l'esercizio comune coincida con l'assunzione del

rischio ma ciò risulta una forzatura perché ci possono essere

conseguenze anche in una società personale. Alcuni autori hanno

cercato di spiegare la complessità nata dall'ART. 2247 facendo

riferimento ad una distinzione tra la società di persone e la società

di capitali, come le società per azioni, che vedono il prevalere

dell'aspetto patrimoniale prevalente su quello personale. Secondo

alcuni questa ripartizione avrebbe una sua origine nel XVI secolo

con la nascita del capitalismo, in realtà questa distinzione ha origini

medievali, infatti l'attività economica svolta dalle società ha una

ragion d'essere che le portano ad avere fini diversi escludendo

l'univocità e proprio nel Medioevo sono nate società con l'esercizio

in comune e società con soci che si occupano del conferimento dei

beni e del soddisfacimento dei propri esclusivi interessi, o meglio vi

è la società propriamente detta, che è esemplata sulla compagnia

medievale, e vi è la società impropriamente detta, che trova propria

origine nei contratti di finanziamento basso-medievali come i

contratti di commenda dove i finanziatori sovvenzionavano il

mercante che era l'unico a svolgere l'attività economica. La società

propriamente detta si basa fondamentalmente sulla famiglia il che

non significa coincidenza con la famiglia stessa. Intanto dobbiamo

dire che la famiglia mercantile del basso-medioevo era l'insieme dei

padri, dei fratelli, dei figli legittimi e non legittimi, delle sorelle, delle

madre e delle nuore. Se il padre svolgeva l'attività di mercante, tutti

svolgevano l'attività di mercante non obbligatoriamente tutti

insieme, ad esempio nelle filiali c'erano i figli e in caso di fallimento

tutti i soci fallivano. Naturalmente famiglia e compagnia non erano

la stessa cosa perché la compagnia non era un consorzio di tutta la

vita ma dava una via d'uscita ai soci saldando crediti e debiti, inoltre

nella compagnia ci potevano essere degli estranei, ossia soggetti

non legati da vincoli di parentela,

Dettagli
A.A. 2015-2016
43 pagine
3 download
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher farouk_perrone di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Landi Andrea.