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Estratto del documento

ACTA MARTYRIUM SCILITANORUM

Il termine Acta designa il processo verbale ma anche le azioni e le gesta dei martiri. Un documento

cardine per gli atti derivanti da processo è quello riguardante i martiri scilitani.

Questi Atti dei martiri, che con ogni verosimiglianza presuppongono i verbali del processo stesso,

di fatto ubbidiscano a delle finalità apologetiche da un lato, edificanti dall’altro, che

necessariamente comportano delle alterazioni di quello che è stato il documento originario – che

non sono falsificazioni del testo, ma flessioni del testo stesso per renderlo fruibile in contesti ed

orizzonti d’attesa determinati.

Esordiscono fissando in modo chiaro e documentario le coordinate cronologiche (secondo

consolato di Presente e Condiano, 180 d.C, il 17 luglio) e topografiche (a Cartagine nel

secretarium) del testo stesso. È morto da poco Marco Aurelio: muore il 17 marzo. Questo processo

è ancora inserito nel contesto d’indifferenza fino allo sprezzo dei cristiani che Marco Aurelio aveva

inserito nel suo impero.

Non sappiamo per quali ragioni questi martiri vengano condotti davanti al procuratore – il

proconsole Saturnino. Dall’andamento del processo è possibile che comunque questi cristiani

fossero stati accusati di qualche delitto, perché si difendono a tale riguardo in modo risoluto,

dischiarando innocenza e fedeltà alle leggi dello stato – culto dell’Imperatore escluso.

All’inizio del racconto vengono imputati sei personaggi: Sperato, Narzalo e Cittino, Donata,

Seconda, Vestia. A differenza degli altri quattro, Narzalo e Cittino hanno nomi più berberi, locali,

che potrebbero fornire un indizio sulla veridicità di tale processo: i cristiani in genere sono cattivi

falsari, ma se tale elenco fosse stato fatto da un falsario, per creare un documento non ristretto

all’Africa ma più universale, non avrebbe inserito nomi tanto locali. Inoltre ci sono tre donne: finora

come esempio abbiamo le due ministrae nella lettera di Plinio, dunque il ruolo delle donne nelle

comunità cristiane antiche potrebbe essere puramente ancillare, ma comunque una presenza viva

e significativa.

Poco professionale però aggiungere ai sei nomi un e altri: inoltre lo stesso Saturnino fa

pronunciare ad un araldo i nomi dei condannati, che risultano dodici – sfasatura interna senza

risposta; malgrado l’alto valore storico del documento, esso non è altamente curato. È anche

possibile che la redazione a noi pervenuta sia una versione secondaria, che qualcuno abbia

aggiunto gli altri sei nomi per precisione, ma non volendo alterare la parte iniziale – oppure che già

nella prima fase di stesura sia stato pensato così.

Sulla località: non sappiamo esattamente dove essa sia, malgrado siano state fatte numerose

ipotesi – Numidia, Africa Proconsolare più probabile per rivolgersi al proconsole di Cartagine in

caso di condanne a morte.

In questo gruppo di sei persone, una posizione particolare ha Sperato: appare chiaramente alla

lettura del testo come portavoce del gruppo (a prescindere dalla sua composizione). Simile al II

Libro dei Maccabei col fratello maggiore come portavoce dei Sette Fratelli. In tutti e due i casi, noi

vediamo che in queste sorta di processi che conducono al martirio – con possibilità di

verosimiglianza diversa – compaia tale figura di portavoce, in caso vi siano più persone. Perciò si

può formulare l’ipotesi che nel passaggio dai testi martirologici con buona base storica ai testi di

pura invenzione si formi e prenda consistenza come elemento puramente letterario la figura del

portavoce. Da un punto di vista agiografico è bene isolare tale funzione, che può costituire

elemento puramente narrativo laddove il testo agiografico appaia totalmente scollato dalla realtà

storica.

La prima parte del processo vede come unico interlocutore Sperato. Saturnino introduce il tema

del perdono, che presuppone l’indulgentia citata nel responso di Traiano: Potete ottenere il

perdono dell’imperatore signor nostro, se vi ravvedete – ovvero redire ad bonam mentem, a mente

sana, perché il cristianesimo è una pazzia*. Sperato risponde chiaramente di non aver mai fatto

nulla di male, anzi di aver persino perdonato il nemico, per obbedienza all’Imperatore Nostro – cioè

Dio. Saturnino ribatte che lui obbediva all’Imperatore, e che anche loro avrebbero dovuto farlo,

attraverso una religione semplice. Sperato a quel punto crede di poter trovare un cuneo per

introdurre il proprio punto di vista, proponendosi di svelare il mistero della vera semplicità – il

martire tenta di volgere in modo apologetico il processo stesso. Saturnino tronca sul nascere tale

tentativo, chiedendo di giurare sul genio dell’Imperatore: Sperato dice di non conoscere autorità

supreme in questo mondo, usando il termine imperium, ovvero autorità che ritengono di non avere

altri al di sopra di sé, riconoscendo solo il Dio “invisibile”, e dice di essere un bravo cittadino. Ciò

significa che il cristianesimo è venuto sviluppando un’autocomprensione di sé all’interno del

mondo, di lealtà nei confronti delle tasse e del prossimo, derivato dall’autorità divina, non

dall’autorità imperiale.

A tal punto, Saturnino interroga gli altri, imponendo loro di rinnegare la propria fede: cessate di

condividere la follia di costui, col termine latino dementia*. Dunque Cittino, Donata, Vestia,

Seconda professano la propria fede. Significativa la risposta di Vestia, che dichiara: Sono cristiana,

sottolineando come venissero condannati solo per il nome di cristiani; successivamente viene

copiata da Sperato e tutti gli altri.

È possibile che gli atti depositati abbiano avuto un percorso grossomodo simile a quello letto

adesso – il processo viene sintetizzato, Narzalo non viene sentito, strano in un processo.

Probabilmente sono stati fatti tagli e scelte. A tal punto si inseriscono due tratti che depongono

fortemente all’autenticità di tale testo:

1. Il proconsole insiste per prorogare il tempo del processo per ripensare alle proprie azioni. È

un tratto molto singolare, e poteva essere inserito nel testo solo se vero – è un proconsole

che tenta di salvare i propri imputati, siamo all’opposto del persecutore definito nella

letteratura martiriale ed agiografica successiva ed anticipato nella figura di Antioco IV. Il

tiranno “classico” è un crudele, che non vede l’ora di condannare in modo terribile ed

efferato i cristiani, invece Saturnino dichiara che avrebbero trenta giorni di tempo per

ravvedervi.

2. Ad un certo punto Saturnino domanda Cosa avete nella cassetta? E Sperato risponde I

libri con le epistole di Paolo, un uomo giusto. È un momento a sé stante, incollegabile ai

pezzi precedenti e successivi. Sembra una pura e mera curiosità del proconsole. Nel latino

tuttavia vengono separati libri et epistulae, ed è singolare che tali cristiani si presentassero

a processo con questi testi: non ti sa in che lingua fossero, perché li avessero, perché

vengono separati. Ci mette davanti ad un quadro di persone con una cultura non

particolare, una fede fondata sullo scritto.

L’araldo legge dunque fuori dal secretarium la condanna tramite una tavoletta: […] poiché hanno

ostinatamente respinto la possibilità loro offerta di tornare a vivere da romani, vengono condannati

alla pena capitale. Alla fine del II secolo in Africa i cristiani sono percepiti come cellula marcia

all’interno della società, non-romani. Inoltre, quella che per i cristiani è costanza, viene letta dai

pagani come ostinazione (cfr. Lettera di Plinio a Traiano). La reazione alla sentenza di condanna

è: Grazie a Dio. Il martirio viene sentito come il dono più alto concesso da Dio all’uomo, con la

certezza di provare la saldezza delle proprie condizioni e farsi trovare da Dio pronti al sacrificio di

sé, anche perché (Eleazaro) il passaggio del martirio è quello immediato al Regno dei Cieli.

La conclusione del testo elude dal pensare ad un verbale di processo: E così tutti insieme furono

coronati dal martirio, e regnano col Padre e il Figlio e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

Amen. La corona del martirio ricorda una vittoria, ma ciò che stupisce è che la chiusura sia liturgica

(anche chiamata dossologia) simile al termine delle omelie: è una caratteristica dei testi africani,

dove le passioni martiriali vengono lette nella sinassi liturgica nell’anniversario della morte dei

martiri e dei santi, e trova larga conferma nella letteratura omiletica successiva a noi pervenuta –

un esempio si ha coi commenti di tali atti eseguiti da Agostino. Tale testo poteva essere piegato ai

propri scopi ed era saldo all’interno della Chiesa d’Africa, con un’identità molte volte legata ai

martiri, ed era un testo dove il valore del martirio veniva esaltato come momento di convinzione

assoluta della propria fede ma anche come prova ulteriore della beatitudine immediata a cui il

martire accede col proprio martirio – il martire diviene per la Chiesa l’intercessore privilegiato.

Tutto questo bagaglio concettuale, sotto l’aspetto dottrinale e liturgico, ha reso col tempo

necessaria la visualizzazione del luogo martiriale: il culto dei martiri progressivamente impone alle

chiese uno sviluppo edilizio consono alla valorizzazione ed alla trasmissione del culto stesso del

martire. È ovvio che nel 180 d.C. sia stata posta al massimo una lastra, ma successivamente

potrebbe essere stata posta una Basilica.

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MARTIRIO DI SAN POLICARPO

Policarpo è vescovo di Smirne, città della penisola anatolica che s’affaccia sul Mar Egeo (Asia

Minore), che ha visto nel periodo romano – dal 60 a.C. – una fioritura grandiosa. Nel 180 a.C. era

stata distrutta, per poi essere ricostruita da Alessandro Magno; nel 178 d.C. un terremoto la

distrugge nuovamente, e viene di nuovo ricostruita da Marco Aurelio.

Policarpo è vescovo nella prima metà del II secolo: i problemi cronologici a lui relativi sono

complessi, come tutti i personaggi dell’antichità. In ogni caso abbiamo elementi per provare a

collocarlo ed incastonarlo in un quadro di problematiche ecclesiastiche ed ecclesiologiche

particolarmente vive ed interessanti a quel tempo. Noi sappiamo che accede al martirio molto

vecchio, ad ottantasei anni. Qualcuno ha osservato che dopo aggiunga che lo servo (Cristo): forse

non erano l’età anagrafica, ma a partire dal battesimo. Ma quando muore?

Il problema della datazione della morte è estremamente complesso, in quanto poggia da un lato

sul giorno e l’ora segnate nell’Atto, dall’altro sulle indicazioni dat

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
36 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/07 Storia del cristianesimo e delle chiese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ASilviaLeop di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cristianesimo e delle Chiese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Zangara Vincenza.