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IL PRIMO PIANO SCIOGLIE IL VOLTO DAI LEGAMI COL CONTESTO
IL PRIMO PIANO PROIETTA LO SPETTATORE IN UNA DIMENSIONE ASTRATTA.
Con l’avvento del primo piano nasce la micromimica, ovvero una capacità inedita di
autocontrollo dell’espressione del volto. Questa viene richiesta soprattutto nell’ambito della
fiction (ma non solo, anche in politica). I protagonisti della scena mediatica sanno di dover
controllare la loro micromimica.
Uno dei tratti caratteristici della nostra epoca (chiamata società dello spettacolo) è la
microfisionomia. Tutti i protagonisti dei media conoscono l’importanza di questo elemento e
cercano di sfruttarlo nel migliore dei modi.
Per quanto riguarda l’ambito della fiction (dove c’è un grado maggiore di artificiosità) la
micromimica diventa un’abilità sviluppata ancora di più.
L’attore dinanzi ai dispositivi tecnici, fa ricorso ad un apparato di tecniche di autocontrollo
della mimica. L’autocontrollo non può essere assoluto (perché c’è sempre un tratto di
spontaneità, che è l’espressione della loro peculiare identità). Il primo piano determina uno
sconfinamento tra l’attore e il personaggio. Questo differenzia la sua identità dalle altre. Dal
punto di vista del pubblico, è difficile distinguere tra l’identità dell’attore e l’identità del
personaggio (che quell’attore interpreta). Nel teatro non c’era mai stato questo
sconfinamento così intenso (questa coincidenza dell’attore con il personaggio).
Un teorico E. Panofsky fa notare una cosa importante: “il volto in primo piano è un
palcoscenico ove ogni movimento delle forme diviene un avvenimento, un evento
drammaturgico”. Egli dice che il personaggio (prima dell’avvento del cinema) non era mai
creato dall’attore, ma dal drammaturgo. L’attore nel cinema può essere definito come “attore-
creatore”. Nella sceneggiatura di un film non c’è un’opera conchiusa (come può essere
un’opera di Shakespeare); non ha una sua dignità estetica, è solo uno strumento di lavoro. Il
personaggio è soltanto abbozzato. La sceneggiatura è solo una struttura che p scritta e
vorrebbe essere immagine ma non ci riesce. La deve realizzare qualcuno. Solo il film finito ha
una sua dignità estetica.
L’importanza della mimicità nell’ambito dei media, la possiamo osservare nella politica. Sono
state create delle ideologie delle personalità carismatiche.
Il personaggio nel cinema nasce soprattutto dall’attore. Poi ci sono anche gli attori-autori, che
creano il loro ex-novo personaggio. L’attore del teatro invece è un attore interprete. Mentre
quello del cinema, è un attore-creatore. L’importanza del volto per i media, la vediamo nella
personalizzazione della politica.
MICRODRAMMATURGIA: quella possibilità nuova che sorge con l’avvento del primo piano. Essa
è fondata solo sul movimento; presta la sua attenzione ai movimenti esterni (dove
troviamo un conflitto esterno come lo scontro personaggio-mondo); ma anche interni
(ovvero la simulazione e dissimulazione espressa con “polifonia micromimica”). Si può
assistere, osservando il volto in primo piano, a dispiegarsi dei pensieri che possono essere a
volte espressi a parole, a volte no. È importante anche il rapporto dialettico che si crea tra la
parola e l’espressività del volto. Le parole sono a volte in contrasto con ciò che il personaggio
esprime con il volto. Ci può essere una polifonia. Il personaggio può contrapporre più
maschere sul suo volto, può emergere in questo modo la complessità dell’essere umano.
Questo può essere espresso anche solo con la micromimica; quindi non solo con le parole.
SCHINDLER’S LIST
L’autore si pone il problema della soggettività in un momento in cui essa rischia di essere
sostituita con l’oggettività: in quel momento storico si sono potute attuare quelle atrocità che
conosciamo, in quanto l’altro non è più visto come una persona ma come un oggetto. Solo a
questa condizione si sono potute mettere in atto quelle atrocità sfociata poi in tragedia.
Il film è concentrato sulla soggettività. È un’orchestrazione di primi piani, perché al
centro della riflessione si vuole proporre la questione della soggettività umana,
colta in un momento della storia in cui sembrava dover essere spazzata via
dall’oggettivazione dell’essere umano.
L’autore si pone il problema della soggettività. In quel momento storico si sono potute
attuare quelle atrocità che conosciamo, in quanto l’altro non è più visto come un soggetto, ma
come un oggetto.
L’intento dell’autore del film è quello di contrapporre queste due prospettive, questi due modi
di visione. Spielberg contrappone una visione della soggettività delle persone (il volto), specie
impiegando il primo piano, ad una visione delle persone come oggetti. Dunque questa
contrapposizione serve per far provare, sperimentare allo spettatore e alla sua percezione
visiva, come la reificazione dell’essere umano in oggetto, sia stata compiuta. Lo fa
mostrandoci come gli essere umani siano catalogati, gestiti, organizzati da un immenso
apparato che li classifica. A partire dalla distinzione di uomini e donne; da chi compie una
professione immediatamente utile all’economia del paese ecc. È una classificazione degli
umani in forza lavoro (sono produttivi o non sono produttivi).
Il punto culminante è quando la scena si sposta all’interno del campo di sterminio, dove il
passatempo del capo nazista era quello di affacciarsi al terrazzo del suo accampamento, e
sparare a quelle persone che non sono più forza lavoro (perché malati, distratti, non sono
produttivi). Quindi vengono trattati come degli oggetti, come delle macchine. Questa è una
delle prime forme di reificazione dell’essere umano, fino ad arrivare all’estremo, ovvero quello
che “dà fastidio”. La reificazione la si vede continuamente con la ripresa riavvicinata del volto
(attraverso il primo piano). Tutto questo contestualizzato in quel preciso periodo storico.
Anche gli oggetti hanno un ruolo fondamentale; in primis gli oggetti sottratti agli ebrei (abiti,
gioielli, capelli...). Il corpo viene trattato industrialmente come prodotto da materia prima per
il massimo profitto economico possibile. Gli studiosi hanno riflettuto su questo processo che
riguarda non soltanto l’avversità e inimicizia nei confronti del diverso, ma anche
l’ottimizzazione economica di questo processo. Si tratta di un “enorme esperimento di
ingegneria sociale”, ovvero tutto messo a sistema per trarre il maggior profitto economico
possibile.
Spielberg si cala in questa mostruosità utilizzando gli strumenti per poter rappresentare al
meglio questa realtà; e lo fa soprattutto attraverso il primo piano.
Questa visione ci porta ad una comprensione nei confronti degli ebrei.
Gli ebrei non sono visti come personaggi totalmente positivi; ci vengono mostrati aspetti della
loro quotidianità, che non sono per forza positivi (per es. il loro snobismo). In un primo
momento non immaginano quale possa essere il loro destino (meno confort, non dispongono
più del loro lusso a cui sono abituati). Nella prima parte del film questo tratto viene
sottolineato.
Nel corso del film l’autore ci fa vedere come possano sorgere dei conflitti anche sul nulla in
delle circostanze impensate (allo sguardo dello spettatore sembrano inopportuni). Le vicende
vengono osservate con una comprensione complessa (anche quella che investe i nazisti). Il
giudizio dell’autore del film è inequivocabile, di condanna netta nei confronti del nazismo. Ma
questo non impedisce di vedere quei tratti di umanità anche in coloro che compiono le più
atroci barbarie. Viene dedicato ampio spazio alla storia d’amore tra il nazista responsabile del
campo di Cracovia e una donna ebrea. Questo non significa però giustificare o comprendere
questo atteggiamento. La comprensione complessa non impedisce di vedere che chi ha
commesso dei crimini è un soggetto umano. Non è da ridurre a qualcosa d’altro rispetto
all’umano. Il fatto di ridurlo a non umano (mostro o barbaro) è un modo di dire “io non sono
così”; è molto rassicurante ma non ci permette di saper vedere (in futuro) in umano la sua
complessità e contraddizioni quando rischiano di diventare coalescenti. Questo ci permette
anche di prevenire possibili esperienze future. 30/11/2016
L’incipit del film è già molto significativo. Introduce questa dialettica tra ripresa avvicinata
degli oggetti e ripresa riavvicinata dei volti. Come già accade nei grandi film, l’incipit
introduce il tema fondamentale; possiamo addirittura dire che lo anticipa. Si vedeva il
calamaio, il timbro, i fogli scritti sulla macchina. L’autore non ci sta soltanto informando di un
fatto che accade (un fatto storico) ma c’è qualcosa di più. Non parliamo soltanto del
contenuto ma anche il modo in cui/la maniera in cui questo contento viene espresso. Parliamo
di un montaggio alternato: oggetti-volti; oggetti-volti (A-B; A-B).
Gli oggetti rappresentano un inizio di processo di burocratizzazione che come una grossa
macchina industriale trasforma la materia prima (i soggetti umani in qualche cosa d’altro). Lo
possiamo vedere nelle ultime immagini di questo incipit (volti e scritte, volti e scritte... e alla
fine rimangono soltanto delle scritte). Ogni personaggio ha una mimica diversa, ma a questa
diversità si contrappone un’immagine (quella della scritta sul foglio) che è sempre uguale.
Cambiano i caratteri, i nomi ma l’immagine è sempre la stessa (inchiostro su un foglio
bianco).
Se non si sa osservare, vedere oltre la concretezza bruta delle cose che ci vengono mostrate,
l’incipit risulta essere molto semplice.
Passando alla complessità del film (min.5 della visione): in questa presentazione del
protagonista, ci poniamo una serie di dubbi e domande. Bisogna notare come anche in questa
scena rimanga la dialettica tra il volto e l’oggetto. Due volti in primo piano e in mezzo del
denaro; bisogna trascendere il livello letterale di ciò che vediamo (quando Schiller offre dei
soldi al cameriere per portare da bere al tavolo dell’altro signore). Possiamo osservare un’altra
dialettica: la questione economia, la corruzione che possiamo leggere a due livelli: quello
di vita di Schiller; e dall’altra parte la corruzione come nucleo (attaccamento che fa