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Il termine “femminismo islamico” non indica indistintamente tutte le correnti femministe nella

storia del mondo islamico, accomunate dalla comune rivendicazione dei diritti femminili, bensì si

riferisce a quella corrente, definita da Asma Lamrabet “la terza via” tra islamismo e filo-

occidentalismo, che sostiene che l’Islam sia la cornice ideale in cui le donne possono rivendicare

i loro diritti. L’attuale subordinazione della donna islamica non deriva direttamente dal messaggio

del Profeta, considerato invece baluardo di giustizia sociale ed eguaglianza di genere, bensì dalle

interpretazioni maschiliste e misogine dei testi sacri nel corso della storia (le donne, infatti, erano

escluse dall’esegesi e dalla giurisprudenza). Non è quindi l’Islam la principale causa della

subordinazione femminile e del sottosviluppo del mondo islamico, bensì la società patriarcale

derivata dalla fallace interpretazione del messaggio divino. Si divide quindi il messaggio sacro

dalle interpretazioni temporali dello stesso.

Le teologhe come Riffat Hassan, Amina Wadud e Asma Barlas, e le esegete come Fatima Mernissi e

Asma Lamrabet cercano di decostruire le interpretazioni misogine del Corano attraverso una

rilettura delle scritture da una prospettiva di genere. Per farlo esse si servono, oltre che del

Tafsir (esegesi coranica), dell’Ijtihad, un lavoro esegetico indipendente sulle fonti religiose (anche

Sunna e hadith) integrato da studi di storia sociale e cultura islamica.

Il ruolo femminile nella prima era islamica

Per avvalorare la tesi dell’effettivo messaggio di uguaglianza e di giustizia sociale nel Corano le

femministe islamiche sottolineano l’occultamento del ruolo femminile nella prima era islamica:

a quel tempo infatti non vigeva una rigida suddivisione dei ruoli di genere, le donne erano

considerate alla pari degli uomini (Amina Wadud spiega che entrambi sono nafs agli occhi di Dio,

Fatima Mernissi sottolinea che le sahabiat sono le compagne del profeta insieme ai sahaba maschi):

c’erano donne guerriere, ascete, consigliere.

Le esegete e le teologhe studiano la vita del profeta e delle sue mogli, concentrandosi soprattutto

sulla figura di Aisha in quanto non solo ottima moglie ma teologa, esegeta esperta di giurisprudenza

della condizione femminile, leader politico e anche militare. Fatima Mernissi sostiene che nel primo

periodo islamico le donne erano attratte da Medina proprio a causa di quella religione che garantiva

loro l’eguaglianza e la giustizia sociale. Dello stesso avviso è Asma Lamrabet quando spiega che

nelle prime comunità musulmane tutti erano uniti dalla fede ma gradualmente vi è stata una

regressione della condizione femminile a causa della sete di potere maschile (causa interna) e

della colonizzazione (causa esterna). In seguito gli esegeti hanno scelto di ignorare o descrivere

come casi isolati i contributi delle donne di potere nella prima era islamica.

L’Islam come cornice ideale per la rivendicazione dei diritti femminili

Il femminismo islamico si afferma non soltanto in opposizione alla società patriarcale portata avanti

dal modello islamista ma anche in opposizione al femminismo universalista occidentale. Si

rifiuta la visione orientalistica e stereotipata della donna musulmana come debole creatura

oppressa da salvare. Seguendo un atteggiamento diffuso in tutto il mondo islamico e arabo, eccetto

che nel femminismo laico/secolare, si rifiuta categoricamente l’emulazione di qualsiasi modello

occidentale e l’appello alle convenzioni internazionali. Le femministe laiche, al contrario, ritengono

le convenzioni, in particolare la Convenzione per l’eliminazione della discriminazione

femminile (CEDAW), emanata dall’ONU nel 1979.

Le femministe islamiche cercano quindi di rivendicare l’uguaglianza di genere rimanendo

all’interno della cornice islamica. Tra gli anni Ottanta e Novanta le teologhe e le esegete

propongono una nuove ermeneutica femminista.

La teologa pakistana Riffat Hassan sostiene che il Corano non sancisce affatto la

- superiorità maschile: le differenze tra gli esseri umani derivano solo dalla rettitudine

agli occhi di Dio. Uomini e donne sono diversi solo dal punto di vista biologico e devono

assumere ruoli diversi solo in casi particolari come la procreazione. Spiega l’obbligo di

mantenimento maschile e la destinazione della donna alla cura della casa e dei figli

affermando che in quell’ottica non vi era subordinazione ma una semplice

complementarietà dei ruoli con lo scopo comune del benessere sociale. A difesa

dell’Islam, Hassan afferma che il Corano permette la pianificazione familiare e non vieta

l’uso di contraccettivi (diritto delle donne ad avere controllo sul proprio corpo). Inoltre non

vieta l’aborto nei primi 120 giorni della gravidanza, fase in cui l’anima non ha ancora

raggiunto il feto.

La teologa afroamericana Amina Wadud, convertita all’Islam in quanto in esso trova la

- giustizia sociale che la comunità nera non riusciva a trovare nell’America razzista, attua un

percorso di decostruzione dell’esegesi maschile che a lungo ha ridotto al silenzio una delle

due voci del Corano, quella femminile. Nel Corano, sostiene, Dio si rivolge ai fedeli senza

distinzioni di genere (sono tutti nafs, anime): eventuali differenze derivano da fattori sociali

e culturali. Bisogna perciò dividere la parte eterna e sacra del Corano, contenente la

parola divina inneggiante all’eguaglianza di genere e alla giustizia sociale, dalla parte

storicamente contestualizzata, con valori diversi rispetto a quelli della modernità.

Contestando l’interpretazione letterale del versetto 34 della Sura IV, che autorizzerebbe la

violenza dei mariti sulle mogli, Wadud sostiene che i principi etici e morali del tempo erano

diversi da quelli odierni. La studiosa irano-statunitense Laleh Bakhtiar approfondisce la

questione traducendo il verbo “battere” con “andare via”, teoria avvalorata dal

comportamento pratico di Maometto, che invece di picchiare le mogli lasciava la stanza per

calmarsi.

In Inside the gender Jihad (2006) sostiene che per cogliere il messaggio di giustizia nel

Corano è necessario compiere uno sforzo interiore per avvicinarsi alla sua sacralità e uno

sforzo esteriore, consistente nella lotta al patriarcato per realizzare l’uguaglianza di genere,

vero pilastro dell’Islam.

La studiosa pakistana Asma Barlas, la quale rifiuta l’etichetta di femminista, sostiene che

- nel Corano non siano contemplate forme di supremazia maschile sulle donne e che ogni

parallelismo tra l’autorità di Dio e quella del padre/marito sia da considerare un’eresia

teologicamente infondata. Afferma inoltre che la poligamia non è un lusso maschile ma

un’usanza limitata ai tempi del profeta per garantire i diritti delle orfane: gli uomini erano

esortati a sposarne le madri vedove di guerra.

Le esegete marocchine

Il Marocco diventa un importante centro di esegesi femminista grazie al lavoro di Fatima Mernissi e

Asma Lamrabet. Entrambe cercano di decostruire le interpretazioni misogine ricostruendo le

biografie delle donne di potere della prima era islamica. Il Marocco è il perfetto esempio di

come al femminismo progressista si preferisca scegliere una cornice islamica per riuscire a portare

avanti le proprie idee in una società ormai profondamente islamizzata.

La sociologa marocchina Fatima Mernissi, pur essendo una delle pioniere del femminismo

- islamico, preferisce non definirsi come tale. Nel corso dei suoi studi è protagonista di ben

tre cambiamenti di prospettiva nei confronti dell’Islam: inizialmente vede la religione

come il principale ostacolo ai diritti femminili, poi studiando i testi sacri riconosce il

messaggio di uguaglianza presente nel Corano (celato dalle interpretazioni androcentriche

e misogine imposte dalle èlites di potere maschili). Quando però si affermano in Marocco i

gruppi islamisti radicali, Mernissi si distanzia adottando di nuovo un approccio critico nei

confronti dell’Islam, rifiutando al contempo anche il femminismo occidentale.

Seguendo la corrente della nuova critica di genere (sviluppatasi all’inizio degli anni

Novanta), opposta sia agli islamisti sia all’universalismo occidentale, afferma che le donne

occidentali pensano di essere libere ma sono anche loro vittime inconsapevoli della società

maschilista che esige da loro la conformazione a determinati standard di bellezza, che

Mernissi chiama “tirannia della taglia 42”.

Il medico marocchino Asma Lamrabet, inizialmente non praticante e allineata con il

- femminismo secolare, intraprende un percorso di fede che la porta a velarsi. Il velo

dev’essere però una libera scelta delle donne, le quali devono anche avere diritto

all’istruzione in quanto conoscere è un dovere di tutti gli esseri umani nei confronti di Dio.

Definisce il femminismo islamico come la “terza via” tra il femminismo occidentale e

l’islamismo. Il Corano afferma l’uguaglianza spirituale tra i generi, le cui differenze sono

solo biologiche: è necessario quindi distinguere le fonti originali, inneggianti

all’emancipazione femminile, e le interpretazioni classiche che hanno svuotato il Corano del

messaggio originario. Sceglie però di non rompere radicalmente con la tradizione

islamica: contestando l’azione simbolica di Amina Wadud, improvvisatasi imam a New

York nel 2005, nega alle donne la possibilità di diventare imam.

Fenomeno locale e globale

Quando si studia il femminismo islamico è importante tenere conto che esistono diverse varianti a

seconda delle specificità nazionali, trattando ogni femminismo come un fenomeno locale. Allo

stesso tempo è un fenomeno di portata globale grazie all’importanza di internet per la creazione di

network internazionali in grado di esercitare pressioni sugli apparati di potere. I più importanti

network sono “Sisters in Islam” (femministe islamiche del sud-est asiatico), “Women living under

muslim laws” (contro ingiustizie di genere perpetrate in nome dell’islam) e il gruppo

internazionale di studi e riflessione sulle donne islamiche, presieduto da Asma Lamrabet.

Quest’ultimo organizza tre conferenze mondiali sul femminismo islamico (2005, 2006 e 2008), in

cui è evidente la connessione, da sempre presente nella storia del femminismo in area

mediorientale, tra attiviste femministe e studiose di teologia.

Le islamiste

A differenza delle femministe islamiche, le islamiste non desiderano l’uguaglianza di genere bensì

la creazione di una società islamica basata sulla famiglia (luogo primario di rivendicazione dei

diritti femminili): nell’ottica islamista la società si basa sulla complementarietà e sulla divisione

dei ruoli, seguendo il principio secondo

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
9 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elib. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle donne e dell'identità di genere e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Casalena Maria Pia.