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Ma non è detto che le modifiche introdotte dal copista siano veri e propri errori: spesso queste
modifiche saranno state volontarie. Sono frequenti infatti i casi di spiegazioni, censura,
aggiornamento. Si tratta quindi di errore per noi rispetto all’originale, ma sono state
introduzioni volontarie ai tempi in cui furono effettuate. Per questo oggi si usa di preferenza il
termine neutro di innovazione.
La ricostruzione dello stemma avviene in questo modo. Reperiti i testimoni di una data opera,
si effettua la loro collazione, ossia il confronto per evidenziare reciproche varianti.
Analizzandole, si potrà capire quale sia la forma originale e quali le innovazioni. Ove non si
possa formulare giudizio si parla di varianti adiafore, cioè indifferenti, le quali vengono
accantonate. I testimoni che invece presentano le medesime innovazioni vengono raggruppati
in una stessa famiglia, che costituisce un ramo dello stemma.
2.6.3. Le innovazioni Non tutte le innovazioni possono essere utilizzate come
elemento‐guida per la avere tale valore, un’innovazione deve
distintive. ricostruzione soddisfare congiuntamente questi due
dello stemma. Per
requisiti:
1)deve essere tale da potersi essere prodotta una sola volta. Non hanno perciò valore di guida
le innovazioni che possono essere poligenetiche, ossia che possono essersi prodotte in linea
indipendente in diversi testimoni. Raggruppare dei testimoni sulla base di innovazioni di tale
natura potrebbe essere fuorviante.
Un caso tipico di innovazione poligenetica è il salto da pari a pari. Quando in un’opera
ricorrono a breve distanza due espressioni identiche, è possibile che un copista distratto,
giunto a copiare la prima di esse, riprenda poi il suo lavoro dalla seconda, saltando il tratto di
testo intermedio. Esempio: “Un uomo elegante, esuberante, eccitante”; facile dimenticare un
aggettivo della serie. Simile è il salto di verso, propiziato da versi con incipit uguali o simili.
2) deve essere tale da non poter essere stata successivamente eliminata da un copista o un
redattore per via congetturale. Non hanno perciò valore di guida le innovazioni reversibili,
come errori grammaticali evidenti, che copisti successivi possono agevolmente riconoscere ed
emendare. Altro caso sono l’inserimento di glosse.
Si parla di errore congiuntivo quando tutti i testimoni che presentano l’innovazione risultano
uniti, derivando necessariamente dall’unico testimone in cui è stata introdotta; si parla di
errore separativo quando i testimoni non presentano una innovazione presente invece nei
testimoni di quella famiglia: ne sono dunque separati.
2.6.4. Il procedimento di copiatura e la tipologia delle innovazioni. Quando un
testimone x viene utilizzato come esemplare per ricavarne una copia y, si dice che esso è
antigrafo di y; al contrario, si dice che y è apografo di x. Negli scriptoria medievali, come già
in quelli antichi, la copiatura poteva essere eseguita sotto dettatura o poteva essere
un’operazione silenziosa. La dettatura produceva un certo numero di errori dovuti a cattiva
comprensione dei suoni da parte dell’ascoltatore. Errori che similmente si producevano nel
copista solo che “leggeva interiormente”.
Le innovazioni che si producevano durante il processo di copiatura possiamo dividerle in tre
grandi categorie:
1)innovazioni involontarie e inconsapevoli. Si tratta dei veri e propri errori che il copista ha
commesso nel corso del suo lavoro (fraintendimento di una lettera, sillaba o parola) con
conseguente sostituzione di una forma erronea a quella esatta o omissione, ripetizione e
trasposizione di parte del testo.
Un errore curioso e comune di sostituzione è l’errore polare (scrivere l’esatto opposto
dell’antigrafo, come capovolgere una parentela zio‐nipote fra x e y. Esempio di omissione è il
salto da pari a pari; quando è provocato da parole con le terminazioni uguali si parla anche di
omoteleuto, se invece si ha un incipit uguale si parla di omeoarco.
L’errore tipico di ripetizione è la pittografia, che consiste nello scrivere due volte di seguito
una stessa sillaba, parola o spezzone di frase. Molto frequenti infine sono i salti di una o più
righe del testo, o di un intero foglio.
2)innovazioni volontarie o interpolazioni. Sono prodotte da copisti che consapevolmente
hanno modificato il testo dell’antigrafo, producendo perciò non solo un apografo corretto, ma
dal loro punto di vista superiore all’antigrafo. Nello specifico si tratta delle riduzioni (quando il
copista elimina parti del testo considerate poco importanti o dannose), delle amplificazioni
(aggiungere materiale al testo preesistente), delle rielaborazioni stilistiche,
dell’ipercorrettismo (correggere una forma dell’antigrafo che in realtà è già corretta) e della
sostituzione di contenuto
(modifica volontaria di parte del testo). Un esempio è la censura occorsa agli epigrammi
licenziosi di Marziale. Le innovazioni volontarie sono spesso difficili da individuare perché
producono solitamente un testo accettabile.
3) innovazioni forzose. Sono quelle che il copista non ha potuto evitare, perché rese obbligate
da guasti materiali dell’antigrafo. Se ad esempio l’antigrafo era privo di un foglio, il copista
poteva o segnalarlo o tentare una breve e arbitraria sutura fra le due parti.
2.6.5. Utilizzo dello stemma: eliminatio codicum descriptorum e eliminatio
lectionum singularium. Una volta costituito, lo stemma permette di giudicare il valore dei
testimoni conservati. Il testimone che deriva esclusivamente da un altro testimone conservato
è chiamato descriptus. Una volta riconosciuti, i descripti perdono valore ai fini della
ricostruzione testuale. Questa operazione, che può semplificare notevolmente il lavoro
dell’editore, viene chiamata eliminatio codicum descriptorum.
Secondo Paul Maas, basta per identificare in z un descriptus di y il fatto che z presenti tutte le
innovazioni proprie di y, più alcune proprie. Ma non c’è certezza: y e z potrebbero derivare
sempre da un antigrafo comune che y ha copiato con notevole fedeltà e z con maggiori
modifiche.
Lo stemma permette quindi di eliminare le lezioni che, data la posizione assunta dai testimoni
che la riportano, sono riconoscibili come innovazioni. Questa operazione viene chiamata
eliminatio lectionum singularium, cioè di quelle attestate in singoli rami dei “piani bassi”, che
non possono essere originarie.
2.6.6. L’archetipo e i subarchetipi. Al vertice dello stemma può stazionare o l’originale o
un testimone che era già una copia, distante dall’autore o comunque da lui non sorvegliata.
“Alfa” è dunque il nome dell’archetipo dell’opera. I primi discendenti dell’archetipo sono
denominati subarchetipi (i quali sono i capostipiti dei vari rami della tradizione). Laddove non
vi sia archetipo, lo stemma avrà al vertice l’originale.
L’esistenza di un archetipo può essere dimostrata grazie alla presenza di una innovazione
comune condivisa da tutti i testimoni dell’opera. Il più celebre caso di tradizione con archetipo
non conservato è quello del De rerum natura di Lucrezio. Lachmann, esaminando i due
discendenti conosciuti di un archetipo perduto, riuscì a ricostruire l’epoca e l’aspetto di
questo: un codice di età carolingia.
2.7. La constitutio textus. Se la lezione dei subarchetipi è concorde, essa corrisponde a
quella dell’archetipo, o – se questo non esiste – direttamente dell’originale; se la lezione dei
subarchetipi diverge, occorre procedere ad una scelta (selectio) fra le lezioni attestate, per
giudicare quale sia quella che corrisponde alla forma dell’archetipo o dell’originale.
Infine, se a monte dell’intera tradizione c’è un archetipo, bisognerà chiedersi se la forma da
esso tramandata, eventualmente ricostruita attraverso la selectio, sia quella originale; se non
lo è, occorrerà procedere all’emendatio, cioè alla correzione congetturale del testo
dell’archetipo.
2.7.1 La selectio: tradizioni bipartite e tradizioni multipartite. Se lo stemma è
bipartito, ogni volta che i due rami attestino varianti concorrenti, sarà l’editore a dover
stabilire, attraverso la selectio, quale di esse può essere l’originale, e quale invece
l’innovazione.
Di fronte a due lezioni concorrenti entrambe accettabili e a una prima analisi adiafore,
occorrerà adottare criteri precisi per risolvere il problema (lectio difficilior, usus scribendi, loci
paralleli). Se la ricostruzione dello stemma configura invece una tradizione a tre o più rami, la
selectio risulta meccanica, potendosi applicare il criterio della maggioranza numerica.
Il dibattito sulla frequenza delle tradizioni a tre o più rami costituì un punto di riflessione
importante nella storia del metodo filologico. Uno studioso francese vissuto fra Ottocento e
Novecento, Bedier, osservò in modo apertamente provocatorio, che la recensio applicata da
molti editori approdava sempre a stemmi bipartiti, che rendevano lo stesso editore padrone di
scelte e forzatore di stemmi inverosimili.
Bedier riproponeva l’uso del codex optimus come unica possibilità di una edizione
scientificamente corretta.
2.7.1.1. Lectio difficilior. Fra due lezioni concorrenti, di pari valore quanto alla loro
attestazione nella tradizione, viene considerata più probabilmente originaria quella che, per
ragioni stilistiche, linguistiche o di contenuto, appare
più difficile ed elaborata rispetto all’altra (es: nella Divina Commedia, “dote” è stato
banalizzato in “cose”). Questo perché il passaggio da una lezione più complessa ad una più
semplice (banalizzazione) è considerato un processo naturale nella trasmissione di un testo (i
copisti successivi spesso hanno un modesto livello culturale); difficile da spiegare sarebbe
invece una inversione dei termini.
Nel medioevo però un testo originario rozzo ha potuto subire miglioramenti successivi (è il
caso dell’Itinerarium Antonini, scritta in un latino rozzo e scorretto, che è stato corretto e
migliorato. Qui la lectio difficilior è per lo più quella grammaticalmente meno corretta).
2.7.1.2. Usus scribendi. Fra due varianti concorrenti, quella originaria sarà quella che
risponde meglio alle abitudini stilistiche dello scrittore, o quanto meno della sua epoca.
Questo vale soprattutto per scrittori dai tratti molto tipici e dallo stile molto personale.
Si tratta di un criterio analogico, che si basa sul confronto con materiali esterni alla variante
stessa.
2.7.1.3. Loci paralleli. Il confronto con i loci paralleli &