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PARTE SECONDA - ELEMENTI DI UNA CULTURA POLITICA
Elementi di una cultura politica (ovvero: le passioni e il pensiero delle istituzioni)
Questo delirante paragrafo di collegamento tra le due parti del libro si avvia ripetendo il disprezzo di Hobbes per il governo misto, ed il suo sostegno nel Leviatano (1651) della monarchia assoluta: il suddito deve assoluta obbedienza (doveva "rinunciare al proprio giudizio") ad un monarca per evitare di cadere nell'incubo delle guerre civili.
Anche Lipsius nel De constantia ricorda come la vita razionale degli individui non debba mescolarsi con la politica. Per governarsi, bastavano solo 3 delle 4 virtù cardinali: coraggio, prudenza e temperanza. La 4°, la giustizia, rimaneva fuori, nonostante fosse fondamentale per la respublica nel concetto medioevale.
Cap. 6: Gli specchi dei principi
In Francia, durante gli stati generali di Tours del 1484, venivano esposte numerose proteste contro le violazioni delle libertà fiscali.
Anche se in ogni caso era noto a tutti che era pericoloso minare eccessivamente l'autorità regia, perché era proprio il principio di unità che costituiva la regalità a tenere unito il regno. Il vero obiettivo delle proteste non era colpire la figura del principe in generale, ma fare in modo di avere un principe che fosse vincolato ad un certo diritto morale. Di contro, lo staff reale non faceva altro che tessere le lodi del sovrano con numerose citazioni dalle scritture.
La storia politica di tutta l'Europa del '400 vede una sorta di comunicazione tra uomini di governo e sovrano. In questi discorsi due erano i temi ricorrenti: analogie esplicative del potere del principe e riferimenti ad antiche leggi sul rapporto re-regno. All'epoca erano ancora presenti gli specula principum, scritti in cui si spiegava al sovrano la maniera in cui dovesse governare "bene". Questi hanno una tradizione antica, risalendo all'impero carolingio.
All'epoca il potere regale era "ministerium", considerato come misto all'ambito ecclesiastico: era fondamentale la legittimazione del papa per ogni nuovo sovrano. Per questi legami il re doveva osservare la legge in tutte le specificazioni, ossia divina, canonica, civile e naturale. I ceti consistevano in oratores (clero), bellatores (i "milites", la nobiltà) e laboratores (chi lavorava per vivere). Nel XII sec., John of Salisbury in una sua opera a sfondo satirico sulla corte di Enrico II Plantageneto evidenzia i pericoli nell'esercizio del potere e la perversità dell'ambiente di corte, pieno di vizi come avidità ed ambizione eccessiva. Anche in Francia nel 1200 gli specula erano molto diffusi, ad iniziare dal De bono redimine principis di Hélinand de Froidmont: il principe doveva essere l'immagine dell'equità, servo dell'equità e potestà pubblica. Le leggi umane erano quelle deldi come un sovrano dovesse governare il suo regno in modo giusto e virtuoso. Il primo libro trattava delle virtù che un sovrano doveva possedere, come la saggezza, la giustizia e la temperanza. Il secondo libro parlava dei doveri del sovrano verso il popolo, come la protezione dei diritti e delle libertà dei sudditi. Il terzo libro affrontava il tema della guerra e della pace, sottolineando l'importanza di una politica estera basata sulla giustizia e sulla diplomazia. Inoltre, il sovrano doveva essere un esempio di virtù per il popolo, in modo da ispirare e guidare i suoi sudditi verso una vita virtuosa. La sua autorità derivava da Dio e quindi doveva essere esercitata con responsabilità e rettitudine. Questi testi riflettevano l'idea medievale del sovrano come un governante divinamente ordinato, che aveva il compito di mantenere l'ordine e la giustizia nel suo regno. La legge era considerata un mezzo per raggiungere questo scopo, e il sovrano era il garante dell'applicazione della legge. In conclusione, nel Medioevo il diritto civile e la giustizia processuale erano considerati strumenti fondamentali per garantire l'ordine e la moralità nella società. Il sovrano aveva il compito di applicare la legge e di essere un esempio di virtù per il popolo.del "governo sé" da parte del sovrano, del governo della casa reale, ed infine del governo della comunità. Il re era unico legislatore: "un buon re era migliore di buone leggi".
Il periodo di Carlo VI il Folle (1380-1422) vide fiorire molti specula che discutevano del legame tra morale politica e storia. Si sottolineava la prudenza come prima virtù del sovrano, ed in seguito si osservava come a legiferare non dovesse essere il sovrano da solo. I consiglieri del re dovevano essere dei religiosi per poter dare buoni consigli.
Per altri, il sovrano doveva essere lui per primo altamente istruito in storia, religione e filosofia per poter ben governare.
Nello scritto del '400 di Pere Belluga il sovrano conteneva in sé tutte le virtù come pietà, saggezza e prudenza per amministrare e mantenere la pace: tutte queste virtù erano presenti nel sovrano dell'epoca, Alfonso V d'Aragona, che in pratica era un gran bastardo.
Cap.
7: Giustizia, diritto, leggi, "iurisdictio" Punto importante sulle limitazione dei poteri è il concetto di iurisdictio, ossia semplicemente di giurisdizione, dove cioè può arrivare il potere di giudizio di un organo statale. Ad esempio, nel 1480 veniva contestato alla città di Norimberga di aver legiferato senza l'assenso dell'imperatore. I giuristi che credevano nella validità dell'atto della città risposero al sovrano che era possibile legiferare perché storicamente la città aveva la iurisdictio per emanare leggi valevoli sul suo territorio senza l'assenso di organismi superiori. Tali problemi furono studiati dalla "scuola dei commentatori", ricca di eminenti giuristi come Bartolo da Sassoferrato (1314-57) e Baldo degli Ubaldi (1327-1400). Essi tentavano di adattare il diritto romano alle necessità dell'epoca con un occhio alle fonti della tradizione. Per essi, il crearsi digerarchie era l'effetto di un "ordine naturale delle cose": "per il fatto stesso che esistono, i popoli hanno un governo implicito del loro proprio essere". Iurisdictio era stata definita da Azzone come potere introdotto per autorità pubblica con la facoltà di dire il diritto e statuire l'equità. Iurisdictio poteva essere ordinaria (stabilita dalla legge), delegata (concessa a qualcuno per motivi particolari). Altri 3 tipi di divisione: imperium merum (all'ufficio nobile riguardo utilità pubblica), imperium mixtum (ufficio nobile su utilità privata), iurisdictio simplex (ufficio mercenario riguardo utilità privata). Iurisdictio si identifica anche come potere normativo, spettante non solo al principe. Per i Glossatori (metà XII - metà XIII sec.) invece il principe aveva potere normativo assoluto, perché gli era stato conferito dal popolo assieme a potere ed autorità. Posizione questa.Confutata da molti, perché la cultura classica aveva visto spesso la normazione come derivante dal potere del sovrano assieme ad organi collegiali. Il concetto di "lex" pure aveva diverse interpretazioni, perché tale parola poteva dire sia statuto che consuetudine. Il potere di creare norme consisteva come potere giurisdizionale di stabilire l'equità, cosa che aveva 3 conseguenze: sopprimere norme era un'azione "odiosa"; il diritto era assimilato all'attività interpretativa; era difficile concepire un "diritto iniquo", concetto che pertanto andava spiegato. Il rapporto tra ius (diritto) e iustitia (giustizia) era dato nel senso che la giustizia si dichiarava nel diritto, non si creava in esso. La giustizia è definita come "volontà costante e perpetua di dare ad ognuno ciò che è suo". Diritto divino, naturale e delle genti non erano entità distinte le une dalle altre:
ed a tutte e tre il principe, anche quando legibus solutus doveva sottostare. Verso questi diritti egli era solo un minister legum. Questi 3 diritti erano considerati immutabili, ma non intangibili: potevano subire "modifiche" se una giusta causa straordinaria del principe interveniva. Il principe non era vincolato alla legge per necessità, ma per onestà. La dottrina giuridica cominciò ad esprimere la convinzione che iurisdictio non potesse comprendere tutti i tipi di autorità politica. Il merum imperium si distingueva tra absolutum ed a iure limitatum. Agli inizi del '500 Andrea Alciato dà una definizione di imperium per cui potere di comandare e di giudicare stanno su 2 livelli diversi. Per alcuni giuristi imperium significava coercizione, mentre iurisdictio indicava l'esercizio del potere non coercitivo, o di potestà esecutiva. Carondas Le Caron sosteneva, basandosi sul diritto romano, che il mixtum imperium era stato proprio.delle magistrature romane, mentre il merum imperium era quello regio dell'età monarchica. Questo potere è di natura politica, il suo scopo è conservare lo stato popolare e mantenere la pubblica libertà. Nella Spagna di Filippo II molti giuristi identificavano imperium con iurisdictio. Vasquez de Menchaca sosteneva che il principe fosse il custode, il ministro della legalità e dovesse rispettare le norme positive, oltre a quelle del diritto divino e naturale: il principe doveva essere subordinato alle leggi. Quindi il principio di merum imperium non trovava corrispondenza con alcuna attività concreta svolta dalle istituzioni pubbliche; invece il concetto del mixtum imperium comprendeva la potestas dei magistrati nella sua completezza. Il magistrato aveva come funzione principale quella di emanare ordini. A cavallo tra XVI e XVII sec. altri giuristi sostennero che compito fondamentale delle istituzioni fosse quello di produrre giustizia. Jean Bodindefinivano il pubblico magistrato (titolare del potere subordinato) come l'ufficiale che aveva il potere di comandare. Il potere era imperium inteso come comando; la forza dell'ordine della magistratura derivava dall'esprimere la volontà di chi poteva emanare l'ordine. Bodin nel suo "Arbor officiorum" faceva distinzione fondamentale tra tipologia formale dell'office e la commission: esse non presentavano alcuna differenza funzionale, ma solo di permanenza. Bodin distinguava tra curator, cioè il commissario titolare di un compito straordinario e administratioreipublicae. Quest'ultima figura non era dotata di comando: a questa figura si potevano riportare personaggi come ufficiali di finanza, consiglieri del re, ambasciatori, commissari di vario tipo. Per Bodin la giurisdizione non aveva niente in comune con il potere di comandare. Per esempio i commissari avevano giurisdizione, ma non comando. Dopo Bodin, giuristi come Doneautentaronodi attualizzare l'ordinamento romano, ritenendo che non vi potesse essere produzione di puro comando e determinazione della sola volontà de