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ACP).
La tematica dello “sviluppo“ era divenuta una spetto significativo, con l’ipotesi che anche i paesi di
nuova indipendenza seguissero il percorso di transizione sperimentato dai paesi europei passando
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dall’ arretratezza tradizionale all’industrializzazione moderna. In tal senso l’espressione “paesi in
via di sviluppo” sostituì quella più drastica dei “paesi sottosviluppati”. Del resto, la fase di crescita
economica del mondo industrializzato, sembrava potesse anche coinvolgere le economie
periferiche. Tale inserimento nell’ economia internazionale, non sembrava contrastare con l’ipotesi
di guidare forme di sviluppo autonomo, secondo il modello che l’età dell’ oro occidentale stava
canonizzando. Le dinamiche demografiche premevano in tale direzione: gli europei si erano
sviluppati crescendo demograficamente ed ora la crescita si diffondeva presso gli altri continenti. Se
la crescita demografica si fosse collegata in modo duraturo all’ uscita dalla arretratezza, il Terzo
Mondo avrebbe avuto dinanzi a sé la possibilità di riequilibrare i poteri mondiali. Purtroppo quest
impostazione andrà presto incontro ad una battuta di arresto. La nascita di nuovi Stati indipendenti,
modificò ampiamente la “società internazionale” già nel corso degli anni ’50. Questi ultimi in
breve tempo raddoppiarono, mettendo a dura prova l’omogeneità tradizionale nella sfera
internazionale. La moltiplicazione dei rapporti e dei livelli di operatività internazionale andò
insieme alla maggior difficoltà dovuta all’ assenza di una “lingua franca” come quella ereditata da
passato (anche per la decadenza della lingua francese a favore di quella Inglese e Spagnola) ??
Poi, la cultura giuridica internazionale basata sull’ uguaglianza dei diritto e sul rispetto della
sovranità, (specialmente per i nuovi paesi africani ed asiatici) creò una coalizione di interessi
sempre più solida mutando progressivamente i rapporti di forza elettorali nell’ Assemblea dell’
ONU (che aveva nel frattempo avuto una notevole serie di nuove adesioni) Anche per questo
motivo, nel 1960 l’Assemblea votò una risoluzione che definiva per la prima volta il colonialismo
“contrario alla carta dell’ ONU”. Questo condizionò anche l’attività del Consiglio di sicurezza dove
contrariamente al passato, gli USA cominciarono a rifugiarsi nel diritto di veto nei confronti di
risoluzioni approvate con maggioranze terzomondiste in assemblea. Una ulteriore grande ondata di
nuovi paesi indipendenti, si ebbe all’inizio degli anni ’60 con lo smantellamento degli imperi
africani, dove ben 17 paesi africani raggiunsero l’indipendenza tra cui anche il Marocco e
coloniali Cominciò poi contestualmente, a prendere l’idea del
la Tunisia ed Algeria. (Erano francesi ??)
“panafricanismo” e la costituzione nel 1963 dell’ Organizzazione per l’unità africana (OUA)
sembrò segnare l’inizio di una cooperazione regionale dei nuovi stati africani sulla base di una
conoscenza di africanità e “negritudine” che impegnava a lottare contro l’ apartheid sudafricano ed
della guerra fredda. Tale organismo si pose l’obiettivo minimo di
a distinguersi dagli schieramenti
impedire conflitti territoriali tra i nuovi stati indipendenti, anche se l’OUA divenne sempre di più
una sorta di “sindacato per i regimi in carica dell’ Africa Nera” limitandosi a difendere il nuovo e
spesso precario status quo. La dinamica storica della decolonizzazione del continente africano, visse
ovviamente anch’essa i riflessi della competizione bipolare. La situazione creatasi nell’ immenso
Congo Belga ne fu un chiaro esempio. Infatti, la richiesta di secessione da parte della ricca
provincia del Katanga, cui fece seguito un incerto intervento dell’ ONU portò il presidente
Lumumba ad appellarsi alle superpotenze. Gli USA appoggiarono contro di lui un partito
decisamente più anticomunista che nel 1965 prese stabilmente il potere con il generale Mobutu. Nel
frattempo, il governo bianco della Repubblica sudafricana , uscito dal Commonwealth nel 1961, e
sempre più isolato per le sue posizioni razziste, cominciò ad essere considerato un baluardo
occidentale nella zona: del resto, le sue risorse minerarie erano importanti e la sua posizione era
strategica. Anche la fallita secessione del Biafra dalla Nigeria, fu caratterizzata da influenze delle
maggiori potenze anche se in tal caso più della guerra fredda, contò la rivalità tra compagnie
petrolifere occidentali per il controllo delle risorse della zona. I paesi di nuova indipendenza,
rivelavano però tutte le loro fragilità di strutture statuali spesso approssimative, inoltre, la classe
dirigente “occidentalizzata” era fortemente ristretta ed a volte spesso contrapposta ad una
popolazione che aveva una profonda diffidenza per la modernità. Inoltre, restava prevalente il
controllo economico informale “occidentale” soprattutto grazie al dominio del loro commercio
internazionale. Tra le potenze coloniali, la Francia imparò la lezione algerina e fu abile a mantenere
una continua forma di influenza soprattutto con gli stati dell’ Africa Nera sfruttando il canale
linguistico culturale e mantenendo una presenza militare.
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6. Questione atomica, crisi internazionali e coesistenza competitiva.
La corsa al riarmo innescata dalla guerra di Corea, vide una forte escalation nel decennio ’50 e
soprattutto trovò un terreno inedito sulla questione atomica. Le bombe di Hiroshima e Nagasaki,
furono un elemento di forte riflessione per l’umanità, ma la discussione sulla “condizione atomica”
nel primo decennio postbellico, faticò a prendere le misure della nuova arma. Stalin non si fece
intimidire dall’ iniziale vantaggio americano, mentre l’URSS lavorava rapidamente al proprio
arsenale. Dopo la prima atomica del 1949, lo scoppio della bomba H sovietica nel 1953 sembrò
colmare le distanze tra le superpotenze, anche se gli USA avevano ancora una netta superiorità
aerea ed una estesa rete di basi attorno all’ URSS. Il quadro strategico mutò radicalmente solo
quando divenne operativa la tecnologia missilistica. Nel 1957 con il grande successo sovietico del
lancio dello Sputnik (primo satellite artificiale in orbita permanente) e la successiva rincorsa
americana, aprirono un nuovo capitolo. Poi, la costruzione di missili balistici intercontinentali
(ICBM) fu la via con cui l’URSS colmò definitivamente il gap con gli USA nel potenziale
distruttivo nucleare anche se gli ICBM americani erano certamente più numerosi ed affidabili. Si
raggiunse pertanto la situazione inedita di “equilibrio del terrore” che rendeva sempre più
difficilmente pensabile ad una guerra nucleare limitata o ad un uso dell’ arma atomica come
della guerra tradizionale. Il “dilemma della sproporzione” tra i danni dell’ atomica ed
complemento
i suoi effetti strategici appariva in tutta la sua chiarezza.
Secondo anche l’opinione degli studiosi cosiddetti “realisti”, questa situazione assunse una indubbia
funzione deterrente , scoraggiando la provocazione di crisi rilevanti a cavallo dei due schieramenti.
Proprio la parità “grezza” dell’ armamento nucleare escludeva la possibilità di un reale utilizzo delle
stesse. A tal riguardo si sviluppò un vero e proprio settore specializzato degli studi strategici basato
sul concetto della deterrenza (Tra l’altro, l’efficacia di un deterrente è valutabile solo a posteriori ,
ma i motivi reali per cui questa opportunità si realizza non sono mai univoci e chiari)
Và altresì precisato che in termini politici il significato di “deterrenza” cambiò nel tempo. Durante
l’amministrazione Eisenhower, si diffuse la dottrina della “rappresaglia massiccia” che confidava
di risparmiare sulle spese militari convenzionali, all’ ombra del minaccia di distruggere totalmente
l’avversario con l’arma atomica. Fortunatamente, tale visione, fu considerata sempre meno
attendibile alla fine del decennio. Chi mai avrebbe risposto ad una minaccia localizzata e specifica
o all’ invasione di un paese europeo occidentale lanciando subito un attacco atomico che avrebbe
potuto portare alla Mutual Assurde Destruction dei due contendenti.
Poi, all’ inizio degli anni ’60 l’amministrazione Kennedy reagì proponendo una dottrina della
“risposta flessibile” che prevedeva una crescita progressiva e dosata della risposta ad una eventuale
minaccia, dapprima con strumenti convenzionali e poi con armi nucleari. Paradossalmente il
numero e potenza delle armi nucleari cresceva continuamente proprio quando diveniva sempre
meno sensata l’ipotesi del loro utilizzo. Nonostante questo, nessuna delle due superpotenze, poteva
permettersi di rinunciare alla spirale del continuo miglioramento economico per non screditare la
avanti, avvenne verso la fine degli anni ’60 con la
funzione deterrente. Un ulteriore passo in
sperimentazione delle Mirv (testate atomiche multiple montate su un solo missile, destinabili a
diversi obiettivi) Tuttavia, al di là delle elaborate riflessioni degli strateghi, l’arma atomica aveva
una efficacia calante nel determinare le decisioni dei maggiori governi, lasciando ampia autonomia
della politica internazionale. Quasi tutti i maggiori statisti dell’ epoca esprimevano sempre maggiori
dubbi e perplessità sull’ uso della atomica e sul necessario controllo. Solo Mao, in più occasioni
affermò senza remore della possibilità di utilizzare queste armi per combattere il capitalismo (anche
se non agirà di conseguenza. L’oligopolio nucleare delle due superpotenze, non doveva superare il
decennio ’50. Infatti nel ’52 la Gran Bretagna compì la sua prima sperimentazione atomica, poi nel
1960 anche la Francia si dotava della sua tecnologia ed infine nel 1964 anche la Cina giunse allo
stesso obiettivo. Infine con molta probabilità altre potenze minori (Israele, India, Pakistan)
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costruirono probabilmente ordigni nucleari già da questo decennio. In questo nuovo quadro
complessivo, contraddistinto dalla maturazione della “coscienza atomica”, la presidenza Kennedy,
manifestò la volontà di riaffermare la preminenza americana in tutto il globo. La retorica della
“nuova frontiera” lanciata dal giovane presidente, era mirata a dare alla propria egemonia un volto
più accettabile. Washington si impegno a fondo per fornire aiuti allo sviluppo, con la cosiddetta
per il progresso, rivolta all’