vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
STORIA CONTEMPORANEA
1. La Grande Guerra
• Giorni d’estate
Estate del 1914. È la guerra; una guerra alla quale quasi tutti gli Stati più potenti al mondo parteciperanno. Dovrebbe essere un
momento di lutto, di tristezza siderale. Eppure non è così. Quella guerra sembra quasi non fare veramente paura. Solo pochi politici,
intellettuali o militari capiscono che la guerra che ci si sta apprestando a combattere sarà una catastrofe umanitaria senza confini.
Molti altri, se la immaginano breve e quindi non troppo terribile. L’estate del 1914 sembra quasi una stagione di festa e di
entusiasmo. A Londra, quando si sa dell’ingresso in guerra del Regno Unito, folle inneggianti alla grandezza della patria si riversano
per le strade e si fermano per giorni davanti a Buckingham Palace. A Berlino, una folla festante irrompe nelle strade. A San
Pietroburgo alcuni manifestanti entusiasti danno fuoco all’ambasciata tedesca. In India il giovane Gandhi invita i suoi connazionali
ad arruolarsi nell’esercito inglese. Perfino Sigmund Freud si fa prendere dalla passione patriottica: alla fine del luglio 1914 scrive a
un amico e collega che forse per la prima volta in trent’anni si sente un austriaco. Perfino i partiti socialisti sono travolti dalla febbre
patriottica, con l’unica eccezione del Partito socialista serbo e del Partito socialdemocratico russo. La decisione dei vari partiti
socialisti, che sostengono lo sforzo bellico dei rispettivi governi, porta alla crisi e allo scioglimento di fatto della Seconda
Internazionale, l’organismo che aveva il compito di coordinare la solidarietà sovranazionale dei vari partiti socialisti. Dal 1914
al1918 sono in 70.000.000 a vestire l’uniforme e all’incirca 10.000.000 muoiono in battaglia o per le ferite riportate. I feriti, sono
egualmente tantissimi: 30.000.000 circa, di cui 8.000.000 gravissimi invalidi, incapaci di riprendere una vita normale. Questi numeri
riguardano prevalentemente ragazzi o giovani uomini, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Le devastazioni economiche e sociali, si
fanno sentire a lungo, anche negli anni che seguono la fine della guerra. Che cosa ci aiuta a capire il contrasto tra la festosità dei
giorni di agosto e la insopportabile luttuosità degli anni che seguono?
- Non molti hanno chiaro che tipo di guerra sia quella che ci si sta apprestando a combattere. L’idea che ancora ci si fa della
guerra è quella di uno scontro cavalleresco. La cultura ottocentesca aiuta a fantasticare su di essa in questo modo. Fantasticheria che
la grafica della propaganda bellica cerca spesso di sfruttare con la massima efficacia possibile. La cultura profonda dell’Occidente è
una cultura bellica, di letture che parlano, con ammirazione, di battaglie e massacri, dalla Bibbia a Omero, da Ariosto ai romanzi
storici ottocenteschi. La mascolinità ottocentesca si è costruita intorno all’immagine dell’uomo combattente, e della donna da
difendere.
- Col passare dei mesi appare chiaro che la guerra non è affatto qualcosa di “cavalleresco”. L’idea di una guerra rapida, una
“guerra di movimento” si rivela uno dei più tremendi errori di valutazione. Gli eserciti contrapposti si equivalgono. Quasi nessuno
riesce a sfondare le linee avversarie. I combattenti si fronteggiano scavando trincee nel terreno, protette da armi tecnologicamente
sofisticate: i fucili a ripetizione; le mitragliatrici; le granate; le bombe a mano. Le trincee nemiche distano poco le une dalle altre; da
qualche decina a un centinaio di metri. La soluzione caparbiamente seguita dagli stati maggiori è la tecnica dell’assalto di
sfondamento alle trincee nemiche, che provoca un mare di morti, utilizzata per tutta la guerra. Le “meraviglie della tecnica
bellica” fanno sì che la guerra diventi un’esperienza infernale: mitragliatrici che sparano quattrocento-seicento colpi al minuto;
granate, bombe a frammentazione che quando esplodono si spezzano in un’enorme quantità di schegge di metallo pesante, a volte
molto piccole, a volte piuttosto grandi, tutte con bordi seghettati e terribilmente taglienti, che schizzano in ogni direzione; i gas
asfissianti: sono i tedeschi i primi a sperimentarli nel 1915, si aprono le bombole in modo che il vento trasporti i gas verso le linee
nemiche, poi si usano più sofisticate granate ricolme di gas asfissiante (rapidamente vengono messe a punto le maschere antigas); i
primi aerei da combattimento, sperimentati per bombardare le postazioni nemiche, oltre che per i “duelli” nell’aria. Dentro le trincee i
soldati sprofondano nel fango e nella polvere, tra i topi e le pulci, in condizioni igieniche impossibili. Le granate piovono
costantemente dalle linee nemiche. L’odore della carne in putrefazione che viene dai corpi dei morti e l’odore degli escrementi dei
vivi, mescolati insieme, sono nauseabondo. Per poter giustificare la carneficina e motivare i soldati la propaganda bellicista afferma
che la guerra è una santa crociata, in cui la distruzione è necessaria per salvare il mondo e la libertà individuale ed è necessario
difendere e combattere per la propria patria, minacciata da un nemico, la cui immagine subisce una degradazione costante con la
circolazione di false notizie. Questi elementi appartengono al linguaggio nazional-patriottico prebellico, a cui tutti, combattenti e non,
sono stati educati per i lunghi decenni che hanno preceduto lo scoppio della guerra: e una parte essenziale di questo linguaggio sta
proprio nell’intima fusione fra la tradizione cristiana e l’ideale del sacrificio affrontato in nome della nazione.
• Disagi e ribellioni
In Europa, principale teatro di guerra, l’esperienza bellica è dovunque. I civili imparano presto e drammaticamente che cos’è una
guerra “moderna”. Accadono cose strane: ad esempio, le donne vengono reclutate massicciamente come forza lavoro. Dal punto di
vista economico l’esperienza di guerra è fatta di chiaroscuri molto forti. I governi assumono un coordinamento quasi completo del
sistema economico. Tutte le industrie coinvolte nella produzione di materiale bellico hanno una spinta notevolissima, che si riverbera
sui profitti degli imprenditori, ma anche sui salari degli operai (o delle operaie), che sono in rapida crescita. I prezzi dei prodotti
alimentari crescono pazzamente, per tre ragioni:
a) La diminuzione della produzione agricola e dell’offerta fa aumentare prezzi;
b) L’offerta sui mercati “civili” è ancora più scarsa perché in prima battuta gli acquisti vengono effettuati dai governi per le
necessità degli eserciti al fronte;
c) Le banche centrali emettono cartamoneta in quantità superiore a quanto sarebbero autorizzate a fare, per garantire ai
governi le risorse necessarie ad acquistare i beni per l’esercito.
Il 1917 diventa uno degli anni più difficili di tutta la guerra. Soprattutto per gli Imperi centrali, per la Russia, per l’Italia. Ovunque,
un po’ alla volta, scoppiano rivolte, insubordinazioni, scioperi. Sul fronte italiano casi di ammutinamento o di autolesionismo
(ferirsi da soli per essere ricoverati in infermeria e allontanarsi dal fronte) si moltiplicano. In Francia ci sono numerosi
ammutinamenti di interi reggimenti. Per far fronte alle ribellioni si migliora il trattamento delle truppe al fronte, si fa più
sistematicamente appello alla resistenza e alla difesa patriottica, e si punisce severamente un certo numero di soldati. L’insieme di
queste misure ha successo. Nel 1918 tutti gli eserciti e tutte le società nazionali dei principali paesi combattenti riescono a
ricompattarsi e a impegnarsi in un anno di guerra che, pur essendo l’ultimo, non è per questo meno duro dei precedenti. In Russia il
processo di integrazione e nazionalizzazione delle masse si è bruscamente interrotto negli anni Ottanta dell’Ottocento, dopo
l’assassinio dello zar Alessandro II. Le tensioni socio-politiche nate allora travolgono definitivamente le istituzioni dell’Impero
zarista.
• Le prime fasi della guerra (1914-15)
La guerra che scoppia nell’agosto del 1914 pone le potenze dell’Intesa (Francia, Regno Unito e Russia, alleate della Serbia) contro
gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria e Impero ottomano). A ovest l’iniziativa più importante viene presa dall’esercito
tedesco che occupa il Belgio, paese neutrale, per attraversarlo e attaccare la Francia dalla frontiera belga che i francesi non hanno
fortificato. L’esercito tedesco attacca da una posizione di vantaggio, tanto che arriva quasi a Parigi; ma poi la controffensiva francese
blocca i tedeschi e li costringe a una parziale ritirata. Sul fronte orientale sono i russi che inizialmente danno la sensazione di riuscire
a sfondare le linee tedesche e quelle austro-ungariche. I tedeschi bloccano l’offensiva russa con le vittorie di Tannenberg e dei Laghi
Masuri, e spingono il fronte di nuovo verso la Polonia. Più a sud, i russi controllano la Galizia, territorio austro-ungarico, ma non
riescono ad andare oltre. Nell’autunno del 1914 l’ipotesi di una guerra rapida svanisce nella maniera più radicale; la guerra cambia
natura: invece che “guerra di movimento”, dinamica, di attacco, diventa una “guerra di posizione”, cioè di trincea, con i fronti
stabilizzati per lunghissimi periodi di tempo. Nel corso del 1915 c’è l’ingresso in guerra a fianco degli imperi centrali della Bulgaria
e l’intervento dell’Italia a fianco degli Stati dell’Intesa.
• L’Italia dalla neutralità all’intervento (1914-15)
Allo scoppio della guerra, nonostante la Triplice Alleanza (trattato di alleanza difensiva stipulato dal governo italiano, nel 1882, con
Austria-Ungheria e Germania) sia ancora in vigore, il governo italiano, presieduto da Antonio Salandra, opta per la neutralità. La
ragione ufficiale è che la Triplice ha un carattere difensivo e non offensivo. Tuttavia i motivi sostanziali sono altri. Il governo:
a) Non è sicuro di poter ottenere le “terre irredente” (Trento e Trieste) dall’Austria-Ungheria come compenso;
b) Ritiene anche che l’esercito non sia pronto, essendo appena uscito da una guerra (contro l’Impero ottomano nel 1911-12);
c) Si preoccupa delle conseguenze militari di un ingresso in guerra a fianco degli Imperi centrali. La particolare conformazione
geografica dell’Italia, con una lunghissima linea costiera, la esporrebbe immediatamente agli attacchi della Marina britannica,
all’epoca la più potente al mondo.
L’alternativa tra neutralità e intervento è duramente dibattuta dall’opinione pubblica italiana. Abbiamo due schieramenti:
1. Neutralisti formato da molti liberali, come Giolitti; da socialisti, che assumono una posizione di neutralità assoluta; dal mondo
cattolico incline all’orientamento espresso da papa Benedet