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Centro, un grande indebolimento.
Problema dell’applicazione del principio di nazionalità. I governi delle potenze
dell’Intesa accolsero in termini piuttosto ambigui il criterio-guida nazionale come base
decisiva del nuovo assetto europeo. Tale principio creava problemi diretti ad esempio
alla Gran Bretagna con l’indipendenza dell’Irlanda. Solo nel 1922 Lloyd George
accetterà di negoziare il riconoscimento dello Stato libero d’Irlanda.
Il principio di nazionalità portava problemi tra i delicatissimi rapporti tra le nazioni. La
nascita o la ricostituzione di Stati nazionali nell’area ex asburgica ed ex zarista avviata
dall’élite locali, lasciò alla conferenza solo il ruolo di arbitro e garante di un’equa
redistribuzione territoriale.
Si sovrapponevano anche esigenze politiche, come quella di creare un cordone
sanitario intorno al confine russo, di solidi stati antibolscevichi, unificando territori
senza grandi attenzioni.
Il nuovo stato polacco fu costruito con territori ex russi, ex asburgici ed ex tedeschi.
Nonostante un alinea ispirata a un criterio etnico proposta dal ministro degli Esteri
britannico Curzon, non fu definito un confine orientale. L’incertezza portò nel 1919-20
ad una guerra con L’Unione Sovietica, che finì con la vittoria polacca e
all’incameramento di molti territori bielorussi e ucraini, secondo il trattato di Riga del
1921.
La Romania e il nuovo Regno dei serbi, croati e sloveni ottennero ampie zone di
territori abitate a maggioranza dagli ungheresi.
Nel nuovo stato cecoslovacco, rimasero nella zona dei Sudeti tre milioni di abitanti di
lingua e costumi tedeschi, da secoli sudditi degli Asburgo, che nel nuovo clima di
esasperazione etnica diventavano potenzialmente fonte di problemi.
Soltanto le nazioni sconfitte e ridimensionate come la Bulgaria e l’Ungheria potevano
vantare un’omogeneità etnica e in linea con il principio di nazionalità.
All’Austria, ormai omogeneamente tedesca, venne impedito di essere annessa alla
Germania, richiesta che voleva essere in linea con il principio di nazionalità ma che
non era vista di buon occhio da nessuna potenza vincitrice.
Tutti questi stati, vecchi o nuovi, si accostarono nel dopoguerra a modelli
liberal-democratici occidentali, in modo coerente al modello wilsoniano. In molti casi si
trattava però di democrazie deboli e minate dall’interno.
Il ruolo politico dell’Italia in questo quadro poteva essere importante. Essa infatti
aveva di fronte due scelte:
perseguire decisamente una propria politica di potenza per fini particolaristici;
inventare una nuova prospettiva per svolgere questo ruolo di quarta potenza
europea in modo coerente al disegno di ordine internazionale, esercitando una
politica di guida, tutela e promozione.
La maggioranza della classe dirigente del paese era per la prima visione, e si
concentrò soprattutto sulla questione adriatica: cercare di far rispettare gli accordi
presi con il Patto di Londra del 1915. Ma Wilson era poco incline alle richieste, non
avendo firmato il patto.
L’Italia ottiene il Sud Tirolo, contro il principio di nazionalità, ma le richieste di Fiume di
essere annessa all’Italia per il principio di nazionalità, anche se essa era esclusa dal
patto, non fu accolta.
Nell’aprile 1919 il presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando e il ministro
degli Esteri Sidney Sonnino abbandonano il tavolo delle trattative di Parigi. Un
mese dopo sono costretti a tornare al tavolo di trattative e a firmare la vittoria
mutilata, ottenendo alcuni porti in Dalmazia e con la proclamazione di Fiume città
libera.
Nel settembre 1919 Gabriele d’Annunzio occupa la città di Fiume con la sua
milizia e la annette simbolicamente all’Italia, occupandola per 15 mesi. Inizio della
presa di potere del nazionalismo borioso e aggressivo che nemmeno le parentesi dei
governi Nitti e Giolitti tra il 1919 e il 1921, sotto cui si trovò una sistemazione
provvisoria ma accettabile dei confini orientali, tramite un diretto negoziato con lo
stato serbo-croato-sloveno (trattato di Rapallo del 1920) non portò con sé una
duratura versione d tendenza.
3. I problemi extraeuropei e l’abbandono americano della Società delle Nazioni
Discutere il problema coloniale, soprattutto la sorte delle ex colonie tedesche e di
molti territori staccati dall’Impero ottomano idea wilsoniana di avviare queste
nazioni all’indipendenza, condizione di compromesso che metteva queste nazioni sotto
la tutela di stati membri della Società delle Nazioni.
Francia e Gran Bretagna accettarono il metodo, opponendosi soltanto all’idea,
inizialmente sostenuta da Wilson, di affidare i mandati a piccole potenze realizzarono
i propri progetti di spartizione in zone di influenza nel Medio Oriente ex ottomano,
anche per un nuovo motivo di interesse, il petrolio.
La Francia si impose come mandataria in Siria e Libano; la Gran Bretagna in Palestina,
Transgiordania e Iraq. Nella penisola araba si affermò invece un autonomo governo
saudita. I francesi seguirono una politica rigida verso i movimenti nazionali e religiosi;
gli inglesi cercarono mediazioni, concedendo inoltre l’indipendenza ad una monarchia
costituzionale in Egitto nel 1922, che garantiva il controllo militare inglese a Suez, e
definendo una sorta di protettorato alla Persia.
Un motivo di complicazione era nato però dalla dichiarazione del ministro degli Esteri
britannico Balfour, che per ottenere il sostegno del neonato movimento sionista,
promise la costruzione di un Jewish national home in Palestina, con conseguenti flussi
di immigrazioni ebraiche coordinate dall’Agenzia ebraica e spinte anche dalla
discriminazioni razziali e dai pogrom.
Turchia: il trattato di Sèvres del 1920, aveva previsto lo spezzettamento della
penisola anatolica, con la costituzione di uno stato armeno e di un Kurdistan
autonomo, prevedendo poi la colonizzazione greca di Smirne e quella italo-francese in
Cilicia. Di fronte a questa situazione si sviluppò un movimento di eredi dei giovani
turchi che riuscirono ad abbattere il sultanato-califfato, proclamando una repubblica
laica e respingendo le pretese il territorio anatolico, pena una guerra con la Grecia
revisione degli accordi di pace nel Trattato di Losanna del 1923.
Giappone: fu ricompensato con le ex colonie tedesche in Cina e gli fu data la
possibilità di sostituire la sfera di controllo russa in Manciuria. Wilson anche in questo
accettò una condizione lontana da quella del principio di nazionalità, mentre si
delineavano resistenze del movimento nazionale cinese. Con il Trattato di Washington
del 1921 tutte le potenze si impegnarono a rispettare la sovranità cinese ma di fatto la
Cina diventò una sorta di colonia economica giapponese.
Tema del disarmo: pochi risultati alla conferenza di Washington si fissarono i limiti
quantitativi proporzionali per le marine di guerra delle grandi potenze.
Wilson, impegnato con trattati di pace, perse il consenso dell’oltreoceano. Già la
partecipazione alla guerra non era stata vista di buon occhio; il vincolo permanente
alla partecipazione alla Società delle Nazioni, ebbe gli stessi riguardi. Il 19 marzo
1920 il Senato respinse definitivamente la ratifica del trattato. Le successive elezioni
presidenziali videro la vittoria del repubblicano Harding gli Stati Uniti decisero di
rimanere fuori dalla Società delle Nazioni e di avere una linea di internazionalismo
politicamente disimpegnato.
Alla Società delle Nazioni non rimase che il debole supporto di Francia e Gran
Bretagna. Nonostante la pochezza di questo organo, ad esso si deve la creazione,
dopo il 1919, di un tessuto di scambi internazionali e di interazioni civili che cercò di
superare i traumi della guerra.
4. Dalla tensione postbellica alla stabilizzazione senza guida
Il clima plumbeo della guerra sembrava perseverare nei primi anni di dopoguerra. La
Francia si irrigidì nei confronti della Germania, avviando una politica di imposizione
della pace al paese vinto.
Fissazione nel 1921 delle riparazioni finanziarie tedesche. La Germania di Weimar che
non voleva né poteva piegarsi a tali richieste, inizialmente rispose con una linea di
“resistenza passiva” con una pratica dilatoria e ostruzionistica sui pagamenti. La
Francia rispose a sua volta con l’occupazione del bacino della Ruhr, nel gennaio
1923 per estrarre il carbone direttamente come pagamento. La mossa fu appoggiata
dal Belgio, morbidamente anche dall’Italia, mentre gli inglesi furono apertamente
contrari. La crisi andò avanti per diversi mesi senza apparenti vie d’uscita, portando
all’esplosione della dinamica inflazionistica dell’economia tedesca.
Intanto nacquero autoritarismi nazionalisti precoci un po’ ovunque, un quadro che
modificava molto le aspettative wilsoniane sul nesso nazionalità-democrazia.
La nascita di una “sistema francese” in Europa orientale rappresentò il tentativo
diplomatico più articolato di stabilizzare l’assetto di Versailles. La Francia iniziò una
serie di alleanze: alleanza difensiva franco-belga del 1920, alleanza difensiva
franco-polacca del 1921, accordo stretto nel 1920 tra Romania, Cecoslovacchia e
regno jugoslavo (Piccola Intesa). La trama di accordi si legò tra il 1924-26 ad un
ampio progetto di influenza economica, con la ripresa di investimenti e prestiti in tutta
quell’area.
Strategicamente il sistema francese ambiva a ricreare una sorta di legame stile quello
franco-russo per accerchiare di nuovo la Germania, ma apriva così un gioco complesso
e delicato su scala continentale, rispetto a cui le risorse finanziarie e militari del paese
erano sottodimensionate per reggere una sistemazione semi-imperiale dell’Europa.
URSS: restava ai margini di questo assetto diplomatico. Si era costituita Unione delle
repubbliche socialiste sovietiche per volere di Lenin nel 1922 e non solo uscì
vittoriosa da una guerra civile, ma riuscì anche a mantenere legata a sé buona parte
dei territori non russi che avevano fatto parte dell’impero zarista. Finiti i primi
entusiasmi, sostanzialmente il regime si comportò come il vecchio impero zarista,
sottolineando un orgoglioso isolamento dalla vecchia società internazionale,
abbandonando le ipotesi rivoluzionarie mondiale, lasciandole solo al Comintern con la
Terza Internazionale Comunista, che aveva tradotto il credo rivoluzionario comunista,
dopo il 1928, in una guerra di classe contro classe che contrapponeva i comunisti
anche ai socialisti.
Italia: l’incapacità autoritaria dello Stato liberale a gestire l’esplosione della società di
massa si collegò alle disillusioni sugli effetti dell