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Fontana. Giudo quazza fu tra i primi a segnalare il nesso tra la Resistenza e i movimenti del 68,
delineandone gli aspetti comuni, come la dedizione completa alla militanza, il prevalere
dell’iniziativa dal basso erano tutti aspetti importantissimi anche nella concezione politica degli
studenti. All’inizio il movimento studentesco derideva in parte chi fece la Resistenza. I giovani
rifiutavano completamente quel passato, guardavano a nuovi miti e nuovi comportamenti.
L’incontro con la Resistenza avvenne durante il 1969. Un episodio molto importante fu la
manifestazione dell’8 marzo a Torino in cui, durante il discorso conclusivo, gli studenti si
spostarono per protestare sotto il consolato americano, ma vennero intercettati dalla polizia che li
insegui fino alla piazza del comizio, cominciando a manganellare sia studenti che ex partigiani. Fu
qui che i due gruppi vennero in contatto. I giovani si resero conto che i partigiani, nonostante l’età,
sapevano affrontare meglio di loro gli scontri in piazza e tener testa alle manganellate della polizia.
Tuttavia gli studenti continuano a non vedere l’antifascismo come il nemico. Serviva, a loro parere,
solo per instillare la paura di un colpo di stato. E lo spauracchio si avverò durante la strage di
Piazza Fontana. Fu l’evento-svolta che rese più concreto l’incontro tra giovani e partigiani. I giovani
vedevano la continuità dello stato come continuità delle forme repressive e autoritarie dello stato,
intrecciato con gerarchie militari, magistratura e potere esecutivo; continuità della pubblica
amministrazione sempre asservita all’Esecutivo. Durante gli anni 70 si avvertì il pericolo di una
involuzione autoritaria del sistema politico e fu l’elemento decisivo che fece unire studenti e operai
ai partigiani. L’enfasi patriottica, la modalità di celebrare l’antifascismo “ufficiale” assunta dal PCI
per scopi prettamente politici (come far accettare li compromesso storico) non furono inseriti nel
filone che si sviluppò tra gli studenti. Infatti nacque un filone di nuove ricerche, spontaneo e non
organizzato, in cui si voleva dare per la prima volta voce a quei personaggi (contadini, operai) che
non furono mai sotto i riflettori della “grande storia”. Fu da questo filone che gli studenti attinsero
nuove conoscenze storiche, ma anche nuovi elementi di carattere politico. A partire dagli anni 70
non vennero presi più in considerazione le lotte urbane dei black panthers o dell’ira, ma solo
Resistenza e antifascismo. Furono gli uomini della resistenza a rilanciare un’unità in quella
situazione politica piena di insidie ed equivoci, aggravata dalla presenza del fascismo nello stato
dal 26 aprile del 45. Fu proprio l’azionismo torinese a dare slancio a quest’unità grazie a
personaggio come Levi, Bobbio, i Garrone. Fino all’estate del 76 tutte le manifestazioni torinesi
furono gestite dal Comitato Antifascista. Tra il 73 e il 74 c’erano ben 33 comitati antifascisti in tutta
torino. Finché questo comitato fu vivo e operante, non ci furono atti di violenza o azioni
terroristiche, ma dopo il 76 le cose cambiarono. Come era successo per la generazione vissuta
durante il 43-45 la organizzazioni partigiane e la loro lotta armata erano le uniche strade possibili
da intraprendere, e anche le uniche vincenti. Fino al 68’ fu applicato uno schema di riferimento in
caso di “colpo di stato”: la democrazia è il terreno ideale per la crescita del movimento operaio, ma
c’è una soglia invalicabile a causa dello stato autoritario e illiberale. La conquista democratica va
perseguita fino alla fine, ma quando si è alle soglie della vittoria è inevitabile che scatti la mano
repressiva dello stato e su questo terreno bisogna essere in grado di dare una risposta. Fu così
che la tesi studentesca sulla continuità dello stato influì notevolmente dal passaggio da violenza
difensiva a offensiva. Non bastava più protestare contro gli eccidi di stato, bisognava prevenirli. La
“lunga marcia” era finita e la lotta politica era destinata a risolversi nella lotta immediata. D’ora in
poi la violenza non era vista più come una necessità o una scelta obbligata, ma come punto di
riferimento. Fu questo meccanismo a dare spazio alla nascita di associazioni terroristiche come le
Brigate Rosse. E fu la fine. Cominciarono ad appropriarsi di una delega in bianco per esercitare la
violenza in nome dell’operaio; si definirono un piccolo apparato di forza speculare a quello del loro
avversario; finirono per interiorizzare molti metodi dei loro avversari. Nell’ultima fase il terrorismo
italiano si definì soltanto attraverso omicidi simbolici e slogan cupi che avevano funzione
pedagogica (colpiscine uno per educarne cento). All’inizio quei bersagli, uomini da uccidere,
facevano propaganda, reclutavano seguaci, ma alla fine le brigate finirono solo per punire i traditori
del movimento, solo per scaricare un surplus di ferocia. Con i gruppi che scelsero la lotta armata,
la tesi di continuità dello stato e della resistenza si trasformarono in violenza terroristica. Come fu
possibile associare i valori della resistenza a quegli assassini? La sinistra non fece mai davvero i
conti con la violenza, ma fu obbligata a farli sotto il terrorismo degli anni 70.
7- il pci di Berlinguer, il psi di craxi
Nel pci di Berlinguer ci fu un marcato ritardo nel cogliere le trasformazioni strutturali e culturali che
segnarono l’italia tra il 71-81. Nel partito resisteva ancora una vasta area di quelli che pensavano
che il problema dell’italia fosse l’arretratezza e la soluzione fosse la rivoluzione democratica. Era
già accaduto durante il boom economico degli anni 50. Il pci durante l’intera storia dell’italia
repubblicana si è sempre dimostrato più bravo ad accompagnare le trasformazioni, piuttosto che
determinarle. Insieme alla dc fu un grande mediatore collettivo, legittimatosi come partito di massa
grazie alla capacità di proteggere i ceti più deboli dagli effetti del cambiamento economico e di
attutirne l’impatto con le fratture sociali e culturali. Nel loro processo d’impianto nell’italia dopo il
secondo dopoguerra, tutti i partiti di massa, non solo il pci, seguirono una traiettoria dall’alto verso
il basso, dal centro verso la periferia. I loro interlocutori furono elite locali già socialmente accettati
per i ruoli che ricoprivano. Nell’immediato dopoguerra la società italiana era quella di sempre:
sistema chiuso con una base industriale ristretta, con una classe operaia isolata sia dalla piccola
borghesia che dalle masse contadine. Operarono gli effetti di un fenomeno comune a tutte le
società industriali del dopo guerra: lo stato al servizio dell’economia. Queste drastiche modifiche
nel rapporto stato-mercato portano ad un grosso rigonfiamento della spesa pubblica. E separarli
sembrava impossibile. Potevano separarli i nuovi partiti nascenti? Effettivamente no, in quanto
essendo ancora partiti di massa, occupavano una posizione di confine. Durante questo periodo i
partiti si affiancarono allo stato e assunsero una delle tipiche funzioni di uno stato unitario, quella di
unificare sul terreno amministrativo e burocratico tutte le divisioni geografiche, sociali e culturali. I
partiti usarono l’ideologia come elemento unificante a livello regionale, approfittandone per
trasformasi da entità piccole ad entità nazionali. Il PCI (col suo modello gramsciano) aveva
introdotto nel suo patrimonio un intento pedagogico: nei momenti alti della mobilitazione collettiva e
nella fase acuta del conflitto sociale, il partito doveva porsi come freno e normalizzare la carica
spinta dal basso; nelle pause del conflitto, ma soprattutto dopo le sconfitte, doveva sostituirsi ai
movimenti e alla loro mancanza di slancio. Questo era stato il PCI fino al 76, dopo di che, smise.
Durante il periodo della solidarietà nazionale questo modo di agire del pci si sotituì ad una
irrefrenabile pulsione a farsi stato. Ma Berlinguer era timoroso di una spaccatura all’interno del
parito che avrebbe causato un rischio per la tenuta politica e sociale del paese. Con l’entrata nel
psi di craxi si ebbero alcuni cambiamenti. Infatti craxi, smarcandosi dal PCI implicò la rottura del
patto tra pci e dc, quindi anche alla rottura del compromesso storico . il craxismo debittò durante gli
anni di piombo e voleva scalzare completamente il pci. Mentre i comunisti combattevano il
terrorismo, per craxi era importante la perpetuazione di uomini e apparati. È indubbio che però fu
craxi il primo a sinistra a capire il mutamento di fase e a confrontarsi col processo di
modernizzazione in atto. Il ridimensionamento quantitativo degli operai e l’aumento delle classi
medie furono solo uno degli aspetti de mutamento nella seconda metà degli anni 70. Esempio: al
sud si passò dall’agricoltura alla politica che aveva un più cospiscuo serbatoio di risorse
economiche. Fu avviato un patto tra il governo, l’amministrazione e gli interessi grandi o piccoli
presenti nella società. Per tutti gli anni 80 craxi sarebbe stato il garante di questo patto. I politici
craxiani intrapreso un percorso in cui trovavano interessi nei valori. Craxi chiese ad ognuno non di
essere se stesso, ma di attingere senza riserve alle proprie doti di spregiudicatezza e cinismo.
Nella versione dello stato di craxi la spesa pubblica venne distorta a fini clientelari e questo fatto
portò ad una corruzione che contagiò interi blocchi sociali. Craxi rispetto agli altri partiti prese
coscienza anticipatamente della trasformazione in atto nel paese e sostituì il vecchio partito di
integrazione di massa con il nuovo partito-ricatto. Nonostante tutte le spaccature fatte da craxi, il
PSI non si risollevò sempre a causa del fatto che era ancora troppo legato al suo passato di lotta
operaia, all’incapacità di inventare una nuova tradizione patriottica e nazionale. Craxi ottenne solo
i voti che riuscì a comprare e questo fu diciamo una sorta di riedizione del progetto di artificialismo
politico della Dc, mai totalmente applicato a causa della tensione morale dei valori della tradizione
cattolica.
8- illusioni insurrezionaliste
Nella seconda metà degli anni 70 la sinistra stava per smarrire la sua identità a causa dello scontro
con craxismo e terrorismo. Mentre il PCI e il PSI si sarebbero schiantati alla soglia degli anni 90, la
sinistra parlamentare uscì subito disintegrata. La scelta della lotta armata anticipò la sua fine. I
gruppi extraparlamentari che non aderirono alla lotta armata attraversarono quegli anni all0insegna
di una lenta e progressiva involuzione verso il disfacimento e la disfatta. Certamente il terrorismo
contribuì ad accelerare questo processo. Molti militanti si