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Le costruzioni ferroviarie per modernizzare il Paese e unire il suo mercato furono fatte in buona parte con
capitale straniero; si riuscì così a costruire un migliaio di chilometri di strade ordinarie (come dice F.S. Nitti
in Nord e Sud, 1900).
La contropartita però fu l’assenza dell’effetto propulsivo alla creazione della grande industria metallurgica e
meccanica che in Europa (vedi Francia e Inghilterra) aveva contribuito allo sviluppo delle imprese
capitalistiche.
Alienazioni di proprietà
Nel primo decennio post-unitario si compiono soprattutto interventi istituzionali che incidono sull’assetto
della proprietà:
- 1862 alienazione del demanio dello Stato
- 1861-1862 quotizzazione dei demani comunali
- 1867 liquidazione dell'Asse ecclesiastico (conversione dei beni delle corporazioni religiose), una
delle questioni più lunghe ed intricate della storia della finanza (e dell'agricoltura) italiana.
Vengono messi sul mercato oltre 3 milioni di ha (2,5 nel Sud) con modalità che sono però criticabili.
La finanza di ‘emergenza’ all’inizio del Regno d’Italia
Con legge 10 luglio 1861, n. 94 fu istituito il Gran Libro del Debito Pubblico italiano. Il Gran Libro dei Debito
Pubblico del Regno d'Italia fu creato sul modello di quello dell'ex Regno di Sardegna, istituito il 24 dicembre
1819; a sua volta, per l'istituzione del Gran Libro del Debito Pubblico Sardo era stato preso a modello il 10
Gran Livre de la Dette Publique francese, creato il 24 agosto 1793. Nel Gran Libro del Debito Pubblico Pag.
italiano confluirono i debiti degli Stati preunitari.
Si aprì un decennio di fuoco per la finanza pubblica italiana, che dovette - a un tempo - far fronte ai costi di
svariati eventi militari e alla creazione di una struttura unitaria, adatta alle esigenze di un moderno Stato.
Il debito pubblico
Tutto ciò si tradusse in una vertiginosa ascesa del Debito Pubblico che passò nel giro di 10 anni dal 45% al
95% del PIL (si veda Pecorari, Tav. 2, pag. 292). Tre furono i motivi che gonfiarono il Debito Pubblico nel
primo decennio post-unitario:
- i deficit strutturali di bilancio,
- le spese militari straordinarie (Terza Guerra d’Indipendenza, 1866)
- l'assunzione dei debiti delle regioni annesse.
Il 1866: guerra con l’Austria e crisi e corso forzoso
Nel 1866 una gravissima crisi finanziaria sconvolse i mercati d’Europa, e pose fine alla convertibilità della
Lira. La crisi scoppiò prima a Londra e poi a Parigi, dove importanti case bancarie sospesero i loro
pagamenti, con gravi ripercussioni in Italia. Il paese era allora coinvolto nella Terza guerra d’Indipendenza
(sconfitte di Custoza e di Lissa).
Il governo per scongiurare il fallimento, ricorse – secondo il progetto di Antonio Scialoja – al corso forzoso
della moneta, dunque ad un espediente che per la prima volta era comparso sullo scenario europeo
durante il periodo napoleonico.
La politica economica del corso forzoso
1866 luglio: durante il clima di mobilitazione patriottica del Paese e l'adesione generale alla guerra contro
l'Austria, fu proclamato il corso forzoso di tutti i biglietti di banca in circolazione (ministro Antonio Scialoja):
un prestito redimibile forzoso interamente collocato in Italia. Questa soluzione fu dettata da necessità, e
non da una libera scelta di politica economica, ma si rivelò molto più determinante per i destini del Debito
Pubblico italiano (e dell'intera economia italiana). Prima di tale provvedimento, infatti, l'unica alternativa al
puro e semplice collocamento di prestiti consolidati (e di Buoni del Tesoro) era stata l'alienazione di
patrimoni pubblici (come abbiamo visto).
1883: abolizione del corso forzoso.
Il pareggio di bilancio (1876)
Al loro termine del quindicennio, nel 1876, il governo presenta il pareggio di bilancio: un vero e proprio
‘testamento’ dell’attività della Destra storica. Il ministro delle Finanze, Marco Minghetti (1818-1886)
annuncia in Parlamento un grande risultato, il pareggio di bilancio: “Quanto a noi se dobbiamo lasciare
questo ufficio, saremo felici ripensando che noi vi lasciamo il paese tranquillo all’interno, in buone relazioni
e rispettato all’estero; vi lasciamo le finanze assestate e pregheremo Iddio che possiate questi benefici
conservare alla patria”.
Cosa dice Minghetti? Afferma che la cosa più importante da cui doveva cominciare il governo della Destra
storica era il pareggio delle entrate e delle uscite: era quella la pietra angolare di tutto l’edificio.
Conclusioni
I nuovi governi dell’Italia unificata modernizzano il Paese dal punto di vista istituzionale, introducono una
legislazione liberista, un fisco allineato ai più avanzati sistemi europei e legano la moneta italiana al gold
standard (sistema aureo). Quello che non si riuscì a far fu un’unica banca centrale, perché le banche di 11
emissione di alcuni Stati preunitari riuscirono a mantenersi in vita, nonostante la Banca Nazionale gli Stati Pag.
Sardi (ribattezzata Banca Nazionale del Regno d‘Italia) fosse chiaramente leader.
I primi governi lanciarono il programma delle ferrovie, ma nonostante ciò il Paese non riuscì a decollare.
Continuò la produzione di seta grezza per il mercato internazionale, ma non furono introdotti nuovi settori
industriali. Il debito pubblico era elevato per le cattive condizioni delle finanze degli Stati preunitari. Non
mancavano le banche (casse di risparmio, banche cooperative, monti di pietà), ma poche erano quelle
costituite in società per azioni che avessero l’obiettivo del finanziamento industriale. Fra queste, le più
importanti erano 2 banche d‘affari: il Credito Mobiliare (1863), e la Banca Generale (1870).
6. Viaggio nel paese del deficit
Il problema monetario
Nel 1862 le varie monete locali degli Stati preunitari furono sostituite dalla Lira italiana. Però si mantenne la
pluralità delle banche di emissione delle banconote. Queste banche di emissione erano 5, e divennero 6
dopo la presa di Roma (1870) che ne sancì l’annessione al Regno d’Italia. Tale scelta fu poi sancita
giuridicamente con la legge bancaria del 1874, essendo falliti i tentativi di unificazione (delle varie banche di
emissione). Solo con legge del 1893 sarà istituita la Banca d’Italia.
Problemi di circolazione monetaria
Il problema più difficile da affrontare per il nuovo Stato fu quello delle Finanze, definite ‘disastrose’. Le
cronache dei giornali esteri sono piene di riferimenti ironici alle difficoltà di bilancio dell’Italia. Addirittura
un volume del giornalista francese Edmond Neukomm (n. 1840) sull’Italia arrivò a intitolarsi: Voyage au
Pays du déficit. (La nouvelle Italie), Paris, E. Kolb, 1890. Nel decennio postunitario i problemi strutturali
dell’Italia stavano impedendo il suo equilibrio economico; essi toccavano infatti sia la bilancia commerciale
che la bilancia dei pagamenti.
Il corso forzoso fu determinato dalla grave situazione strutturale in cui versava l’Italia. Marco Minghetti
affermò: “le condizioni in cui si trovava il Tesoro, richiedevano un qualche espediente straordinario,
efficace, immediato, e nessun altro si presentava in quel momento fuorché il corso forzoso dei biglietti di
banca”. Si credette che esso fosse un provvedimento provvisorio, ma così non fu perché si protrasse dal
maggio 1866 fino al 1883 quando fu sancito il ritorno alla convertibilità. A livello di opinioni si sviluppò
l’idea che la carta moneta fosse un provvedimento di ingiustizia o d’iniquità: la salvò l’essere solo un
provvedimento temporaneo e per necessità. L’adozione del corso forzoso (imposta dal ministro delle
Finanze Antonio Scialoja nel 1866) provocò all’epoca molti dibattiti da parte dei liberisti e una lunga scia di
polemiche da parte di chi avversava la Banca Nazionale e criticava il suo ruolo privilegiato rispetto agli altri
istituti di emissione.
Con l’adozione del corso forzoso e la successiva svalutazione del biglietto cartaceo, però, i dati
dell’esportazione italiana migliorarono. Sul versante economico, infatti, il corso forzoso determinò una
differenza tra prezzi interni e prezzi esteri, che si tradusse in un aumento delle esportazioni e in un
miglioramento della bilancia commerciale italiana.
Cartamoneta e speculazione
Il corso forzoso costrinse la popolazione a usare la cartamoneta in modo preponderante e ciò scatenò il
fenomeno dell’aggio. I problemi scaturiti dall’adozione del corso forzoso, determinato dalla necessità di
adoperare l’oro per ottemperare ai debiti contratti con l’estero, comportarono tutti i classici sintomi che
storicamente si verificano in presenza della cartamoneta inconvertibile con quella metallica: 12
- abusivismo di emissione,
- mancanza di vigilanza, Pag.
- incertezza sul rientro alla convertibilità metallica.
La legge della pluralità disciplinare
Nel 1874 infine veniva approvato il progetto di legge bancaria presentato da Marco Minghetti che mise in
moto la circolazione di biglietti ‘consorziali’. La legge della ‘pluralità disciplinare’ doveva regolare la
circolazione durante il periodo di adozione del corso forzoso. Era una soluzione compromissoria quella
scelta dalla Destra storica con questa legge che prevedeva un consorzio di 6 banche di emissione di
cartamoneta per conto dello Stato ma allontanava nel tempo l’indispensabile scelta sulla concentrazione
dell’emissione in un unico istituto.
Nel 1880 circolavano a corso forzoso in Italia 940 milioni di biglietti consorziali e 714 milioni di biglietti a
corso legale. Solo di una parte lo Stato prevedeva una loro sostituzione.
7. Approfondimento: il passaggio alla carta moneta
Lo scambio monetario
Alla fase primitiva del baratto segue lo scambio monetario. Lo scambio monetario o compravendita è il
trasferimento di un bene o di un servizio da un soggetto a un altro in cambio di una quantità di moneta. La
moneta è dunque il punto di arrivo di un’evoluzione dei mezzi di scambio: essa è l'unità di misura del valore
di un bene. Nel corso di questa evoluzione ci sono state varie forme di moneta che si sono susseguite: la
moneta naturale, i metalli, la moneta metallica, la moneta privata e, infine, la moneta cartacea.
La moneta cartacea
La moneta cartacea nasce nel Cinquecento, per iniziativa di banchieri e mercanti che cercano di risolvere
l'inconveniente dato dal fatto che la moneta è difficile da trasportare in grande quantità da un luogo
all'altro. Essa è quindi sostituita con biglietti liberamente trasferibili, che attribuiscono al portatore il diritto
di ottenere una quantità