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La crisi economica del 1929
anch'esse la speculazione. Gli economisti dicono che tali speculazioni portano le azioni a valore economici che non sono più reali. In realtà l'economia reale americana, già nel 1927-28, ha segni di recessione. C'è, infatti, una grande crisi agraria dovuta anche a cause naturali (desertificazione) e si manifestano, inoltre, i primi segni che la produzione dei beni di consumo durevoli sta eccedendo rispetto alla capacità di assorbimento del mercato. Parallelamente, anche le capacità di esportazione stanno diminuendo man mano che l'Europa si sta riprendendo dalla crisi del dopoguerra. Le azioni, quindi, nel 1929 crollano. Gli storici non hanno ancora individuato il meccanismo che portò a questo crollo improvviso. Alcuni pensano che gli speculatori più avveduti avessero cominciato a vendere e perciò tutti, per paura, cominciarono, a loro volta, a vendere. Altri, invece, pensano che questo crollo sia dovuto
all'intervento dell'ufficio centrale che governa la moneta americana. Il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), si trovano acquirenti a prezzi più ridotti. Lo stesso avviene nei giorni successivi. Sfumano, quindi, prima le ricchezze dei cittadini meno esperti, poi quelle dei più ricchi e dei gruppi finanziari che avevano sostenuto tali operazioni. Questa crisi finanziaria si trasforma in crisi economica drammatica, perché ha amplificato i segni che si erano manifestati nel 1927-28. La crisi finanziaria si ripercuote di più in Germania e Austria, paesi maggiormente sostenuti dagli USA dopo la guerra. In seguito, essa si abbatte nel resto dell'Europa e dei paesi poveri. In Brasile, ad esempio, si butta il caffè a mare perché le capacità di assorbimento dei mercati ricchi erano crollate. Però, non vendendo il caffè, il Brasile non compra altre merci provenienti dai paesi ricchi. La crisi, quindi, non favorisceIl consumo: chiudono, di conseguenza, le imprese, diminuiscono le ore di lavoro e i salari ed aumenta la disoccupazione. La crisi può essere definita anche "grande crisi della globalizzazione": i governi occidentali capitalisti affrontano tale crisi secondo la linea dell'economia classica, cioè con il taglio della spesa pubblica, il contenimento dei salari e l'impostazione di tasse. Si abbassa, quindi, la domanda di lavoro e c'è la crisi dell'industria.
Keynes, economista che aveva criticato il Trattato di Versailles, espone una teoria: il meccanismo capitalistico, una volta entrato in crisi profonda, non è capace di ripristinare da solo il suo funzionamento, ma serve l'intervento dello stato. Infatti il libero mercato, attuato dal liberalismo, non consente un'utilizzazione ottimale delle risorse. Invece l'intervento dello stato nell'economia, anche se porta al bilancio passivo, mette in moto la domanda aggregata.
favorendo la ripresa dell'economia e l'uscita dalla crisi. La domanda aggregata è l'insieme della domanda sia pubblica sia privata: se lo stato decide di ampliare la spesa pubblica, domanda beni industriali (le industrie, quindi, trovano beneficio) e contemporaneamente aumenta di molto l'occupazione con il conseguente aumento anche dei salari e