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I regimi e le tirannie in Europa dopo la guerra

I regimi e le tirannie, affermatesi durante e dopo la guerra in Europa, furono diversi anche in conseguenza della diversa forza e natura del colpo assestato dal conflitto ai vari paesi, nonché della solidità delle strutture su cui questo colpo si abbatté, e della diversità delle condizioni con cui operò.

I paesi più sviluppati e di più forte struttura sociale e tradizione statale e intellettuale sopportarono per esempio il colpo degli stati più deboli. Di qui la grande varietà di tipi di regimi e tirannie, caratterizzati da apparati e sistemi economici e ideologici diversi, e anche da diversi climi psicologici, ma uniti da tratti comuni.

È necessario distinguere almeno due gruppi principali, ciascuno composto da due sotto gruppi.

Il primo è quello costituito dai casi più gravi, di regola legati ad imperi e nazionalità imperiali sconfitte che hanno cercato di rifondare il loro stato ed il loro dominio.

Il primo caso non completamente sviluppato fu quello verificatosi in un impero ottomano che, dopo le ripetute sconfitte del XIX e degli inizi del XX secolo, aveva cominciato a ripensarsi come uno stato nazionale moderno, la Turchia, in grado di reggere il confronto con l'occidente. Per attuare questa trasformazione occorreva però risolvere i problemi posti dalle sue grandi comunità cristiane, dalla sua arretratezza economica e dal tradizionalismo delle sue strutture. Le tradizioni di violenza anticristiana portarono già nel 1915 la nuova élite del paese a varare la prima operazione di chirurgia etnica e sociale, attuata nel XX secolo da uno stato sul corpo della popolazione dei territori su cui esercitava il suo potere. Nacque dal fallimento della prima esperienza di regime "quasi" totalitario (quello dei Giovani Turchi, crollato con la sconfitta degli imperi centrali) e dalla vittoria sul tentativo imperiale greco, uno stato repubblicano turco.

Molto distante dalla realtà plurinazionale e confessionale dell'impero ottomano. Anche dopo aver eliminato le comunità cristiane, la Turchia di Ataturk restava però più vicina di quanto non volesse ammettere ai nuovi stati nati nel 1918-19 nell'Europa orientale, che si proclamavano nazionali senza esserlo; così dopo una rivolta curda, Kemal profittò della situazione per liquidare ogni opposizione politica, varando un nuovo sistema a partito unico (partito repubblicano del popolo), portatore di un'ideologia ufficiale, il kemalismo i cui principi fondamentali erano repubblicanesimo, nazionalismo, populismo. Il potenziale aggressivo del nuovo stato si diresse verso un'opera di modernizzazione interna, segnando un'importante rottura con la precedente esperienza dei Giovani Turchi, che Ataturk criticò a fondo. La visione della Turchia moderna avanzata da Ataturk rimaneva tuttavia legata alle idee e alle pratiche del regime precedente.

L'opera di modernizzazione si ispirò in larga parte all'esempio sovietico, anche se con caratteri statalisti meno estremi di quelli sovietici, facendo sì che i danni provocati fossero meno irreparabili. Il secondo caso è quello rappresentato da tutto il mondo tedesco, che alla vigilia della guerra, dominava ancora larga parte dell'Europa orientale. I tedeschi furono sì i grandi sconfitti del primo conflitto mondiale, ma se è vero che per la Germania il 1918 rappresentò una catastrofe, che non riuscì, però, a fiaccare l'enorme vitalità della nazione tedesca, la sua forza economica e la sua fiducia nelle proprie capacità politiche. Ciò aiuta a capire perché la Germania riuscì in un primo momento a resistere al colpo assestatole dalla sconfitta, ed a superare, grazie a socialdemocratici e cristiani, le scosse del dopoguerra. Ma per lo stesso motivo esistevano nel paese, risorse necessarie ad.

Alimentare il desiderio di rivalsa generato dalla sconfitta e dall'umiliazione perfezionate a Versailles. La sconfitta del 1918 provocò nel mondo tedesco una reazione di difesa, di unificazione in un unico stato che contraddiceva la soluzione data da Bismark al problema dell'unità, fondata sulla separazione tra Austria e Germania. Questa reazione prese dapprima una forma democratica, rivolta all'unione delle due comunità principali. Ma il voto unanime con cui l'assemblea costituente austriaca proclamò nel 1919 l'Austria parte integrante del Reich tedesco, venne annullato dai vincitori sotto la pressione dei francesi.

Quando la crisi del 1929 arrecò alla Germania il secondo colpo, a prevalere fu la soluzione dell'unificazione hitleriana. In questa prospettiva l'unificazione diventava una tappa verso soluzioni tese ad unire tutti i tedeschi dell'Europa orientale, inclusi quelli che vivevano lontano dai confini.

. L'altro impero sconfitto, fu quello russo, le cui strutture statali e sociali avevano ceduto rovinosamente sotto l'impatto della guerra e della forza contadina. Nei tre anni successivi si produsse il miracolo di Lenin e Trockij, che riuscirono a recuperare tutti i territori orientali, più il Caucaso, il Don, parte della Bielorussia e, soprattutto, l'Ucraina. Un ruolo fondamentale fu giocato dalla nascita di una nuova parareligione. Nata in un momento in cui forte era la percezione che il nazionalismo, il concetto stesso di patria, al quale il nazionalismo stesso poteva essere ricondotto, e lo stato fossero l'origine dei mali che affliggevano l'Europa, questa traeva parte della forza dal suo dichiararsi superiore ed ostile ad ogni nazionalismo, ed in prospettiva anche allo stato. Il suo successo, però, fu permesso non solo dalla sincera adesione ad essa di una parte del gruppo dirigente bolscevico, ma anche dal suo essere diretta nonsue stesse basi sociali. La politica di Lenin si basava sulla necessità di consolidare il potere del Partito Comunista e di instaurare un regime socialista, ma questo significava anche reprimere qualsiasi forma di dissenso o opposizione, compresi i movimenti contadini a base nazionale. La rivoluzione russa del 1917-18 fu un momento di grande fermento e cambiamento, ma anche di grandi contraddizioni. Molti contadini non russi speravano di ottenere la terra e l'autonomia linguistica, ma si trovarono invece a dover sostenere il nuovo governo di Mosca. Questo portò a diverse rivolte e movimenti contadini, che però faticavano a trovare una direzione politica chiara e un partito che li rappresentasse. Lenin riuscì a dare un'immagine unitaria a questi fenomeni così diversi, ma ciò fu possibile anche grazie alla sua ambiguità. Il miracolo di Lenin consistette nel costruire un volto unico per la rivoluzione, ma questo volto era basato su grandi equivoci che alla fine esplosero in tutto il paese, mettendo lo stesso stato contro le sue basi sociali.altre rivoluzioni che gli avevano permesso di affermarsi. Il nuovo stato dovette allora competere, in una guerra civile, con gli altri tentativi di occupare con nuovi stati gli spazi lasciati liberi dall'autocrazia zarista: stati russi, stati dei vari movimenti nazionali e stati o protostati contadini. Con questi ultimi, il nuovo stato mantenne un rapporto contraddittorio, che permise di prospettare soluzioni molto originali ai due problemi chiave emersi nel 1918-19, quello contadino e quello nazionale (Nuova politica economica [Nep] e la formazione dell'Urss come federazione sopranazionale composta da repubbliche nazionali, in cui era lasciato ampio margine al nazionalsocialismo). Oltre che per le straordinarie qualità del suo piccolo gruppo dirigente, il nuovo stato si affermò anche per la sua capacità di saper sfruttare le forze e le energie popolari messe in moto dalla rivoluzione (affidando incarichi di comando ad elementi di bassa estrazione).sociale). Lenin fu anche l'inventore della polizia politica e il convinto sostenitore di misure repressive estreme e spietate. Tuttavia l'elasticità di cui Lenin dette prova nel 21/22 ed il suo stesso stile di vita e di direzione degli affari di partito, dimostrano che è opportuno distinguere tra la tirannia di Lenin e quella di Stalin, poiché maturarono in condizioni diverse ma soprattutto perché vi erano profonde diversità tra Lenin e Stalin. Dal punto di vista del nuovo potere il carattere quasi genocidi delle politiche del 1918-21 era in larga parte determinato, oltre che dalla ferocia dei tempi e dalla fede in ciò che si faceva, da un acuto senso di debolezza. Quest'ultimo era causato dalla coscienza di occupare un posto che, in base ai fondamenti della stessa ideologia cui giurava obbedienza, non si aveva storicamente il diritto di occupare (il miracolo di Lenin era appunto consistito nel prendere il potere in un paese non sociale).ancora maturo per il socialismo). L'Ungheria costituisce per molti versi l'anello di congiunzione tra i casi dei grandi imperi sconfitti e quelli dei nuovi stati nati nel 1918 in Europa orientale. Punita con durezza dagli alleati, essa perse nel 1919 i due terzi del territorio e diede vita, seguendo l'esempio russo, ad un tentativo basato sul comunismo di recuperare almeno parte del proprio mini-impero. Di fronte alla nota degli alleati che imponeva il ritiro degli ungheresi entro determinate frontiere, facendo di fatto dell'Ungheria il paese più danneggiato, il primo ministro democratico Karolyi decise in preda alla disperazione di lasciare il governo e porlo per rappresaglia nelle mani dei comunisti. Bela Kun, un ebreo magiarizzato della Transilvania ceduta ai vincitori rumeni, venne fatto uscire di prigione e incaricato di formare un nuovo governo che conciliasse socialismo e patriottismo, cercò di riconquistare i territori perduti, facendo marciare i suoi.battaglioni operai sulla Slovacchia. Sconfitto dopo i primi successi al front, incapace di difendere Budapest dai rumeni che l'occuparono, il regime di Bela Kun venne rapidamente sconfitto da una reazione bianca, altrettanto desiderosa di riprendersi i territori, ma cosciente di non avere la forza per farlo. L'Ungheria attese così che altri, più forti, prendessero l'iniziativa della revisione. Quando venne il momento essa fu pronta a marciare.

Nei nuovi stati centro orientali, si produsse la tendenza poi rafforzata dagli apparenti successi delle dittature italiana e tedesca, nonché dal regime stalinista in Urss, ad affrontare e risolvere i problemi attraverso il ricorso a uomini forti.

L'Italia, formalmente una delle vincitrici del conflitto, fu incapace di proffitare della vittoria, tanto da diffondersi la sensazione di non essere riusciti ad ottenere compensi adeguati ai sacrifici fatti. Questa sensazione si combinò col problema di trovare.Una risposta ai disordini e alle crisi generati dal conflitto, ciò contribuisce a spiegare, insieme alle tradizioni del paese e alla personalità.
Dettagli
Publisher
A.A. 2007-2008
10 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Andreucci Franco.