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Viaggio a Tokyo (1953) racconta la storia di due anziani genitori che vivono in provincia, e fanno un

viaggio a Tokyo per vedere i figli sposati, ma questi, coinvolti nel lavoro e nella gestione familiare, non

hanno tempo per loro, e accolgono la loro venuta con un certo imbarazzo. Solo la giovane e dolce Noriko,

la vedova del terzo figlio morto in guerra, che vive da sola in uno squallido casamento di periferia, ha

tempo per loro e chiede una giornata di ferie per portarli a visitare Tokyo. Non volendo gravare ancora su

di lei, gli altri due figli non trovano di meglio che pagare ai genitori una settimana di soggiorno alle terme

di Atami, per levarseli di torno. Ma l'albergo è pieno di villeggianti rumorosi e i due anziani decidono di

tornare a casa. Durante il viaggio la mamma ha un grave malore, i figli si recano in provincia giusto il

tempo di assistere alla sua morte e subito ripartono; solo Noriko resterà qualche giorno, e prima di ripartire

confessa al vecchio la sua disperata solitudine.

Questo film è un cine-poema sulla vita e sulla morte, in cui trionfa la poesia delle figure immobili e delle

inquadrature vuote. Il film è costellato di motivi che ricorrono di continuo (come i panni stesi, i tetti, le

ciminiere e i treni). La cinepresa sta sempre immobile e collocata in basso. Ozu trascura in maniera

radicale la continuità narrativa; tutte le scene sono riprese sempre con una grande profondità di campo.

Il padre dei carrelli moderni: Ophuls – Un altro padre della modernità, anche lui grande creatore di ritratti

femminili è Ophuls. Lavora in tutto il mondo, ed è, dopo Murnau, il 1° grande autore che costruisce tutto il

suo cinema sui movimenti della macchina da presa. La sua cinepresa si muove con la stessa tensione

drammatica di Murnau, ma con una maggiore grazia. Quasi tutti i suoi film sono monumenti a donne sole,

alla loro capacità di amare, di sacrificare tutto, comprese loro stesse, come: La signora di tutti (1934),

Tutto finisce all'alba (1939), Lettera da una sconosciuta (1948), La ronde (1950), Madame de.. (1953), fino

a Lola Montès (1955) in cui una grande seduttrice è trasformata in fenomeno da circo equestre.

Bresson: il dettaglio – Il suo cinema lavora continuamente sulla divisione fra parola e immagine, che

spesso si staccano l'una dall'altra per meglio emergere ciascuna nella propria autonomia. Non cerca autori

che interpretano dei personaggi, ma corpi, volti e oggetti per farne dei simboli dell'uomo e del suo mondo

interiore. La sua cinepresa, quasi sempre rivolta verso il basso, preferisce i dettagli, i frammenti di azione;

non si alza mai per guardare lontano, non aspetta mai che le azioni siano finite per passare ad altro. Il suo è

un cinema di ellissi, di vuoti, dove una parola sostituisce lunghi discorsi e un piccolo gesto vale per una

serie di azioni – figura stilistica principale: sineddoche (= la parte che sostituisce l'intero). Il montaggio è il

protagonista assoluto. Il fuori campo è la figura dominante del suo cinema; l'essenziale rimane sempre

fuori dallo schermo. Il diario di un curato di campagna (1950), Un condannato a morte è fuggito (1956),

Mouchette (1967), etc sono tutti inni al frammento e apologie al dettaglio.

Resnais: la crisi della memoria – R. scompone il rapporto fra suoni e immagini, sconvolge il tempo e lo

spazio lineari del racconto classico, andando continuamente avanti e indietro, fra il presente e il ricordo,

mostrando però che spesso i ricordi sono spesso falsi e ingannevoli. Al centro della sua poetica sta sempre

l'incertezza dell'evento reale; ogni evento cambia a seconda di chi lo ricorda e lo racconta. Il suo primo

film a lungometraggio, Hiroshima mon amour (1959), è di solito collegato all'esordio della N.v., anche se

non vi appartiene di fatto; magnifico es. di cinema poetico, inizia con le misteriose immagini di due corpi

nudi abbracciati su cui cade una sabbia finissima. Sono due giovani che si incontrano a Hiroshima e si

raccontano storie terribili. I due si amano per un giorno e poi si lasciano per sempre. In Muriel (1963), il

cui titolo è un anagramma di Lumière, quindi del cinema stesso, l'inganno della memoria diventa ancora

più doloroso. Alcuni personaggi, che non si vedevano da anni, si ritrovano, ma tutti stanno mentendo. Il

montaggio stravolge la narrazione e dà l'impressione di un mondo governato dal caos. Nel 1977 egli

realizza un altro capolavoro, Providence, in cui la lunga notte insonne di un vecchio scrittore diventa una

danza di fantasmi e ricordi.

Buňuel: il rifiuto delle belle immagini – Costretto a lasciare la Francia per gli scandali suscitati dai suoi

film surrealisti, egli si fermò brevemente in Spagna dove realizzò un documentario sulla povertà dei

contadini sulle montagne, Las Hurdes (1932), e ripartì poi per il Messico dove ebbe una forte influenza

anche sulla nascita di un cinema nazionale messicano. Qui infatti realizzò i suoi film più affascinanti e

misteriosi, che continuavano la grande rivoluzione surrealista: Los Olvidados (1950) è un ritratto crudele

di ragazzi poveri ma anche cattivi, El (1952) racconta la follia nascosta di un gentiluomo apparentemente

normale; Susana è il ritratto di una ragazza sensuale e tenebrosa che provoca il caos in una fattoria;

L'angelo sterminatore (1962) è la sua più atroce metafora della decadenza borghese, dove alcuni ricchi

signori rimangono chiusi in una stanza e regrediscono alla vita animale. Ritornato in Spagna realizza altri

film intrisi della sua grande vena surrealista, basati sul più semplice orrore quotidiano, come: Viridiana

(1961) in un cui dei barboni cercano di violentare la loro benefattrice, o Tristana (1970) che tratta il

rapporto atroce fra una giovane e il suo vecchio tutore. Infine ritorna in Francia dove produce: Bella di

giorno (1966), immagine della femminilità erotica e perversa che si cela dentro una donna borghese, o La

via lattea (1966), feroce parodia della religione cattolica, Il fantasma della libertà (1974), sulla libertà del

tutto illusoria del mondo contemporaneo, e Quell'oscuro oggetto del desiderio (1977) in cui il paradiso del

sesso diventa un inferno.

La sua inquadratura è intenzionalmente brutta o banale, e risponde al principio surrealista secondo cui

l'orrore sta nella normalità.

Bergman: il volto – Erede del cinema muto svedese, egli realizza una vasta e complessa opera di

riflessione sull'uomo moderno e sulla perdita della fede o delle altre certezze nel mondo contemporaneo. Il

suo stile è caratterizzato da intensi contrasti di luce, con luoghi in ombra tagliati da luci trasversali e una

cinepresa che sta molto vicina ai personaggi; usa brani di musica classica che non solo accompagnano

dall'esterno le storie, ma scandiscono anche i tempi del montaggio e della recitazione. Sovente adatta il

film alle figure degli attori, ai loro colpi e ai loro volti. Egli realizza una poetica e uno stile compatti: la

poetica riguarda la solitudine, soprattutto quella femminile, mentre lo stile è osservazione dei volti e dei

corpi, fin sulla pelle, fino alla nudità fisica e spirituale.

In Il posto delle fragole (1957), il vecchio medico Isak Borg, un uomo scostante, duro e solitario, dopo un

sogno angoscioso parte per recarsi a Lund, dove sarà nominato dottore “ad honorem”. Con lui viaggia la

nuora Marianna che aspetta un bambino. Durante il viaggio lui la prende in giro e lei gli lancia accuse

molto dure di aridità ed egoismo. Egli si ferma accanto a una vecchia casa, dove aveva passato tutte le

estati della sua giovinezza, e sprofonda nei ricordi. Rivede la sua innamorata che lo tradisce con suo

fratello, l'uomo che sposerà al suo posto. In un altro sogno rivede la moglie che lo tradisce e si lamenta del

suo egoismo. Una breve visita alla madre, una gelida vecchia, che lo accoglie con durezza – specchio della

sua futura solitudine. Nel corso del viaggio il volto del vecchio cambia profondamente, si addolcisce e si

dispone a una relazione più dolce e affettuosa coi parenti e col mondo. In questo film assistiamo a una

celebrazione dell'essenza del cinema, che permette di unificare diverse dimensioni. Il rapporto tra questi 3

mondi – sogno, passato, presente – che il cinema fa coesistere, permette al vecchio di diventare un altro,

capace di amare gli altri. Qui il cinema è usato come schermo della memoria, o del pensiero.

Tati: il gioco dei punti di vista – Tati è forse l'unico degno erede di Keaton. Osserva e ricostruisce il mondo

come un caleidoscopio, un gioco sempre diverso e sempre uguale. La comicità diventa con lui un esercizio

di interpretazione del mondo attraverso lo sguardo, un gioco di analogie, in cui ogni immagine, ogni gesto

e ogni oggetto può essere confuso e scambiato con un altro, causando gioco e dramma nello stesso tempo.

I suoi film sono apoteosi del punto di vista: tutto dipende da questo. Hulot, il personaggio solitario e

disadattato che Tati si è costruito addosso, è muto e il suo silenzio rappresenta l'infinita distanza dal mondo

in cui abita. Il suo è forse l'unico “cinema puro” nel senso delle avanguardie, poiché recupera anche la

parte migliore dell'esperienza surrealista e dadaista, con uno stile però del tutto nuovo e moderno.

Giorno di festa (1949), Le vacanze di Monsieur Hulot (1953), Mio zio (1958) sono tutti costruiti sull'errore

e sull'equivoco, che diventa l'unica manifestazione della vita in un mondo di cose meccaniche. E Playtime

(1967) è la descrizione di una città perfetta, che gioca da sola e non ha più bisogno degli uomini.

Kubrick: l'occhio siderale – Un caso particolare di autore a metà strada tra America e Europa è quello di

Kubrick, americano emigrato in Europa e lì rimasto per il resto della sua vita, forse per marcare la sua

estraneità rispetto a tutto il mondo e per osservare da lontano il suo paese e il mondo intero, di cui ci offre

dei ritratti sempre più sarcastici e disillusi. Il mondo appare nei suoi film come una congrega di folli che si

applicano a farsi del male reciprocamente. Tutti anche i buoni hanno un doppio. I suoi movimenti di

macchina hanno il fascino e la ricchezza di Ophuls, ma hanno però anche una fredda e cinica precisione.

Molti dei suoi film riprendono alcuni generi del cinema classico e li smontano freddamente, come in

Rapina a mano armata (1956), un gangster raggelato in cui il narratore osserva i personaggi con la

precisione di un entomologo, andando avanti e indietro nel tempo. In Lolita (1962) smonta la comedia, è

un apoteosi dello sdoppiamento della personalità, con un personaggio che assume ben 4 travestimenti nel

corso del film; in Il dottor Stranamore (1964) Sellers interpreta tre personaggi diversi. Gli altri film

demoliscono vari generi: Orizzonti di gl

Dettagli
A.A. 2014-2015
71 pagine
15 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher francesca.serani di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Bernardi Sandro.