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-IL MARTIRIO DI SAN MATTEO
-Trasforma la leggenda ambientata in Etiopia in un “fattaccio di cronaca nera entro una chiesa
romana ai suoi giorni”: una squadra ha violato la sacralità del luogo e il santo, già trafitto, è
rovesciato sotto i gradini dell’altare dal manigoldo che sta per finirlo. Intorno gli astanti indugiano in
varie reazioni e forse si riconosce un suo autoritratto nell’atto di sfuggire dalla rissa.
Notiamo il chierichetto che fugge a destra ripetendo la reazione fisica della Medusa, dell’Isacco,
del Giovinetto morso dal ramarro.
Osserviamo poi come indugia sull’angelo nudo e sulla preziosa natura morta delle ampolline da
messa: sono ricordi della fase “speculare” dell’adolescenza.
Dopo queste due opere, prima di passare alla seconda versione del San Matteo e l’Angelo,
occorre passare attraverso una serie di lavori che precedono le tele di San Luigi dei Francesi e che
testimoniano la trasformazione da questo stile già personale ma ancora immaturo a quella che si
può definire propriamente la sua grande maniera.
-A parte due opere che rimandano ancora a argomenti giovanili, Il suonatore di liuto, Monaco,
con il visto che si staglia sullo sfondo ormai buio, e il Narciso, Caravaggio si concentra nel
rinnovare il campo dell’arte sacra, perseguendo l’obbiettivo di portarla ad esiti popolari.
-La Madonna che svezza il bambino è la prima opera di questa serie di quadri caratterizzati da
crolli di luci ed ombre: il Sacrificio di Isacco, Maddalena rimproverata da Marta, San Giovanni
Battista di casa Doria (in cui riprende la definizione dei nudi di Michelangelo ma li inserisce nella
realtà naturale macchiandoli di ombre): tutte opere che suscitano profonde polemiche, ci si
domandava dove fosse finita la composizione, la sintassi.
-In San Tommaso incredulo, e ancor più in Presa di Cristo nell’orto, Coronazione di spine e
altre scene tratte dalla Passione, Caravaggio mostra un contrasto tra rimandi al plasticismo del
Cinquecento e brani di crudo realismo, come l’indugio sulle ferite orride o le rughe dell’apostolo
incredulo che non ammette altra verità che quella che si può toccare con mano.
-Verso la fine degli anni di San Luigi, Caravaggio torna su San Giovanni Battista, argomento che
prediligeva particolarmente perché per definizione scorbutico, inselvato: lo rappresenta seduto
scompostamente nel bosco, con accanto una ciotola svuotata; la sua figura si staglia come sopra
un finestrone nero, con un nudo acceso come da un colpo di sole.
Nel 1599 le fonti ci riferiscono che Caravaggio andava in giro facendosi portare la spada “da un
putto”, tratto di un pittore già “affermato”.
-Viene definito un uomo d’umore bizzarro, pallido e riccio, con gli occhi vivaci e profondi.
-Ci sono pervenuti molti aneddoti, di carciofi gettati in faccia al garzone luganese dell’Osteria del
Moro, parolacce agli sbirri alle cinque di mattino, per non parlare poi del delitto del 1606.
-Occorre poi ricordare che, mentre la sua fama cresceva, crescevano anche gelosie e contrasti
con la società artistica: per esempio il processo del 1603 intentatogli dal Baglione, suo futuro
biografo, perché Baglione aveva soffiato a Caravaggio una commissione al Gesù, il quadro per la
Resurrezione di Cristo, e Caravaggio lo accusa di aver voluto imitare in modo goffo la sua
maniera e fa circolare su di lui versi scurrili.
-I suoi passatempi erano passeggiare per la città con il suo cane Cornacchia, la pallacorda, le
donne e l’osteria. Ha una vita movimentata, passa dei giorni in carcere, partecipa a risse, bevute.
Ecco che arriviamo alla seconda versione del San Matteo per l’altare di San Luigi, che chiede
egli stesso di poter sostituire alla prima per poi porla accanto alle due storie sulle pareti della
cappella Contarelli.
-All’angelo è finalmente concesso di volare, e il santo non appare più come un analfabeta, ma più
come un uomo con l’orecchio teso ad ascoltare, tutto rizzato dallo sgabello, poggiando un
ginocchio che sembra andare fuori dal dipinto stesso.
-Il tutto è accompagnato dalla scelta di un costume aulico ma immanente, cioè che si può
immaginare in ogni tempo, e un colore inedito, quasi fluorescente nell’oscurità, dato
dall’accozzamento dei toni di giallo e d’arancio nella tunica e nel mantello del santo.
-Nell’insieme il quadro appare certamente di maggior decoro, eppure non si può negare che
mantenga più di una licenza a questo proposito: le mani sono moderne, naturali, senza disegno
ma tutte a incisi tonali, a tasselli, a cordelle di vene, rughe e pelle.
-Un biografo ci racconta che egli “usò ogni sforzo per riuscire in questo secondo quadro”: e lo
sforzo era palesemente anche di cultura; non è da escludere infatti che, nella ripresa di alcuni
elementi che rimandano al classicismo bolognese di Annibale Carracci e ai classici veneziani, egli
non abbia tentato di approdare ad una maniera che includesse nella classicità la propria vocazione
per il naturale.
Tra il 1600-01 realizza invece per il monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere papale, due tele per la
sua cappella in Santa Maria del Popolo, con la Crocefissione di San Pietro e la Conversione
di San Paolo.
-Per entrambi Caravaggio realizza una prima redazione, che poi l’artista stesso decide di sostituire.
-CROCIFISSIONE DI SAN PIETRO
Egli descrive la scena sulle rocce brune di San Pietro in Montorio, in cui rappresenta la fatica dei
serventi, dipinti come operai che si affaticano e non carnefici crudeli, in abbigliamento sgualcito e
dimesso, piedi fangosi e pochi attrezzi.
Riprende da vicino il santo, che già fisso alla croce guarda l’osservatore con una calma
consapevolezza del suo destino, una sorta di eroe laico.
-CONVERSIONE DI SAN PAOLO
Anche qui Caravaggio sceglie di porre il punto di vista dalla parte dello scavalcato che si ritrova a
terra .
Il cavallo a terra ha una massa enorme, la bava che cola dal morso; la composizione è un intrigo
indecifrabile tra quadrupede e servente, di vene nodose, carne pulsante, e tutto evidenziato da un
fascio di lume spiovente.
Questa palese scelta di eliminare tutta la tradizione iconografica del tempo rende il quadro forse il
più rivoluzionario in tutta la storia dell’arte sacra.
Se non si trattasse di un dipinto “laterale”, potrebbe addirittura sorprendere che Caravaggio sia
riuscito a pubblicarlo senza incorrere in rifiuti e serie di censure.
Alcuni lo chiamavano “la conversione di un cavallo”; resta poi il giudizio di un biografo che lo
chiamerà “senza azione”. Infine è significativo il fatto che i due dipinti siano restati sempre
nell’oscura collocazione della cappella: mai un’incisione venne fata, e ciò li mantenne ignoti alla
migliore cultura europea.
Nel 1604 ebbe l’incarico della Sepoltura di Cristo, sull’altare dei Vittrice alla Chiesa Nuova.
-Come nei dipinti del popolo, vi domina il grande formato e il predominio della figura umana, una
figura umana resa in modalità che non rivelano intenzione di dipingere né i peggiori né i migliori,
ma gli “eguali”, i suoi simili, l’umanità che quotidianamente incontrava e di cui raccoglieva gesti ed
espressioni.
-Così la Madonna in azzurro, il Nicodemo, hanno fisionomie che ci sembra di riconoscere in
persone comuni, che realmente frequentavano la Roma di quel tempo.
Tra il 1604-05 realizza la Madonna di Loreto, commissionatogli dai Cavalletti per la chiesa di
Sant’Agostino.
-Il tema una leggenda sacra svolta solitamente a vaga fantasia, raffigurando la rustica casarella dal
tetto di cedro, recata dagli angeli e sormontata dal gruppo della Vergine e del Bambino
-Lui lo realizza raffigurando un uomo e una donna di popolo, pellegrini tra i più umili, incontrano
come per caso la Madonna nell’atto di uscire di casa e sostando per un istante all’antico stipite.
-L’inconsueta interpretazione turbò ovviamente il pubblico dell’epoca: tra le testimonianze più
esplicite, quella che ci riporta che i popolani fecero un estremo schiamazzo, vedendosi così posti
sugli altari senza abbellimenti.
Nonostante le polemiche riguardanti la mancanza di “decoro”, lo “schiamazzo” dei popolani alla
fine dovette avere la meglio, dal momento che il dipinto rimase lì dov’era.
Seguono per l’artista una serie di scacchi:
-1605, concorso per un Ecce Homo indetto da monsignor de’ Massimi, Caravaggio propone un
suo ritratto feroce e caricato, ma gli viene preferito Cigoli.
-1605, Caravaggio riceve l’incarico pubblico più rilevante che fosse mai riuscito ad ottenere, La
Madonna del serpe per l’altare dei Palafrenieri, in San Pietro.
Nonostante sapesse che l’argomento era legato al simbolo liturgico della Immacolata Concezione,
il tono dell’opera è decisamente crudo, plebeo. La Sant’Anna è una vecchia ciociara, la Madre in
veste da lavandaia, il Bambino nudo e per niente nobilitato. Appare strano che proprio in
corrispondenza di uno die più grandi incarichi, Caravaggio avesse optato per l’apice del suo crudo
naturalismo.
Un biografo riferisce che i personaggi erano “ritratti vilmente”, e la famiglia rifiutò l’opera.
Il dipinto dopo qualche tempo fu ritirato dal cardinal Scipione Borghese, ultimo protettore
dell’artista.
-Un altro scacco fu il rifiuto della Morte della Vergine dipinta per la cappella dell’avvocato
Cherubini in Santa Maria della Scala in Trastevere. Anch’esso fu poi preso dal duca di Mantova.
La scena fu rifiutata perché si riteneva di vedervi ritratta una cortigiana da lui amata, o forse per lo
scarso decoro nell’aver ritratto una Madonna gonfia e con le gambe scoperte.
Ad ogni modo il quadro sembra raccontare, entro una brutta stanza d’affitto, spoglia, la morte di
una popolana.
Eppure l’angoscia degli astanti sempre prendere un senso infinito per il chiarore devastante che,
irrompendo da sinistra nella cerchia di colori accesi, sosta sul viso arrovesciato della Madonna,
sulle calvizie degli Apostoli, sui loro colli pulsanti e le amni disfatte.
Si apre un momento sempre più cupo nella vita dell’artista, costellato appunto di rifiuti in ambito
lavorativo e scandali.
-In questi estremi mesi romani nascono il San Gerolamo ora in Galleria Borghese, l’altro
Gerolamo, Il Cristo che sveglia i discepoli nell’orto a lume di luna, ora perduto.
Il 29 maggio 1606 accade l’irreparabile: in seguito allo scoppio di una rissa nata su una questione
di gioco, una sera uccide Ranuccio de Terani.
-Il fattaccio lo costringe ad abbandonare Roma per riparare nella Campagna Romagnola, nei feudi