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LA PRIMA ARTE CRISTIANA
I luoghi di sepoltura
Prima della liberazione del culto, sancita dall’Editto di Costantino
nel 313, le dottrine cristiane trovano diffusione in forma
clandestina, mentre le comunità vengono sottoposte a persecuzione
da parte dell’autorità imperiale.
A Roma il messaggio cristiano si diffonde all’interno e per tramite
della minoranza giuridica che mantiene rapporti commerciali e
culturali con la Palestina. San Paolo, giunto a Roma, è accolto ad
una comunità cristiana già organizzata. Il verbo evangelico trova
inizialmente adepti tra gli appartenenti alle classi economicamente
più depresse e progressivamente coinvolge anche i ricchi, i quali
mettono le loro abitazioni a disposizione dei fedeli come luogo
clandestino di riunione e di culto, le domus ecclesiae. Si formano
così nella città i tituli, simili alle moderne parrocchie. Poi, nel corso
del IV secolo, l’area sulla quale essi sorgono viene coperta dalla
costruzione delle basiliche.
La fede nella resurrezione del corpo porta i cristiani all’abbandono
della cremazione in favore dell’inumazione dei defunti in luoghi di
sepoltura sotterranei.
Per i cristiani esistono due tipi di sepolcreti: alle catacombe, si
affiancano i cimiteri in superficie.
Il termine “catacomba” deriva dal greco kata kymbas che significa
“presso le grotte”, in riferimento a un luogo di sepoltura nel quale,
in seguito, sorgerà la Basilica Apostolarum.
Le catacombe rimangono luoghi di pellegrinaggio dove venerare i
corpi dei santi fino al IX secolo quando, vengono traslati nelle
basiliche.
L’uso dell’inumazione sotterranea non è solo cristiano, come
documentato dall’esistenza di ipogei pagani.
Nel III secolo la Chiesa divide la città di Roma in sette regioni; a
ognuna di queste corrisponde, fuori delle mura, una zona
catacombale.
Le gallerie, scavate in piani sovrapposti, oggi dette “ambulacri”, in
antico sono chiamate criptae. Talora ai lati delle gallerie di aprono
camere sepolcrali più vaste, i “cubicoli” dove sono inumati i cristiani
più facoltosi. I sepolcri sovrapposti sono detti loculi.
La produzione artistica della prima cristianità a noi giunta consiste
prevalentemente in immagini di carattere funerario.
Occorre ricordare, tra gli oggetti legati al culto dei morti, i vetri
dipinti detti “fondi d’oro” perché ottenuti da fondi di bicchiere. La
loro produzione si estende dal III al IV secolo.
Altri oggetti sono avori e gli oggetti in metallo prezioso: calici di
legno e, soprattutto, lucerne di terracotta.
Le persistenze: arte cristiana e arte pagana/arte
cristiana e arte giudaica.
L’arte cristiana mira alla trasmissione di contenuti del messaggio
evangelico, adottando un linguaggio figurativo che ispira sia alla
cultura pagana, sia a quella orientale giudaica. Le pitture cristiane
delle catacombe, per la maggior parte ispirate al Vecchio
Testamento, predominano su quelle evangeliche, a causa
dell’origine ebraica delle prime preghiere cristiane e a
testimonianza dello scambio in atto tra la cultura ebraica e quella
cristiana.
L’arte non è più ancorata come in età classica a un’interpretazione,
oggettiva della realtà, ma sceglie una lettura simbolica della stessa.
L’arte cristiana primitiva viene definita “arte romana cristianizzata”.
L’origine del Cristianesimo in area culturalmente ebraica giustifica
la rarità delle testimonianze figurative fino al III secolo. Nel rispetto
del divieto di rappresentare Dio diventa necessario trovare
immagini che senza “riprodurre” la divinità “alludano” a essa, ne
siano il “simbolo”.
La diffusione del cristianesimo nel III-IV secolo incoraggia la maggior
tolleranza ebraica verso l’uso di immagini che illustrino i fatti biblici.
La pittura ebraica e quella cristiana rinunciano alla caratterizzazione
naturalistica della figura umana in favore della stilizzazione formale,
che allude al mondo dello spirito a prescindere dall’armonia e dalla
verosimiglianza fisica delle forme.
Simbolismo e narrazione
Simbolismo e narrazione sono le due forme espressive proprie
dell’arte cristiana primitiva: nei secoli che precedono
l’ufficializzazione del culto prevale la forma simbolica. La forma
narrativa, invece si sviluppa a partire dall’Editto di Costantino. Dal
IV secolo forma simbolica e forma narrativa procedono
parallelamente. La spiritualità cristiana apporta una nuova tensione
verso l’infinito che l’arte cerca di esprimere attraverso il simbolo,
atto a cogliere una realtà metafisica. L’agnello dell’iconografia
cristiana non interessa nella sua identità animale, ma è metafora
del sacrificio di Cristo. Successivamente ai simboli del Cristo come
l’Agnello o il Buon Pastore si affiancano le raffigurazioni dirette della
sua persona.
La ragione dell’acquisita libertà di rappresentazione dell’immagine
di Dio è insita nella natura stessa del Cristo, divina e insieme
umana.
L’immagine viene, perciò, ribaltata come strumento della
narrazione dei fatti salienti della vita di Cristo, anche in
conseguenza della politica che celebra l’Impero attraverso la
glorificazione di Cristo. Sempre più stretto diverrà, infatti, il sodalizio
tra Impero e Chiesa, quando dal V secolo in poi, la cristianità sarà
eletta a baluardi del mondo “civilizzato” contro i barbari invasori. Si
affianca dal IV secolo, nei mosaici che decorano le basiliche, il cristo
con le insegne regali che riprende l’iconografia imperiale romana
della traditio legis.
Tra III e IV secolo l’evoluzione delle arti figurative appare segnata
dalla volontà di non limitarsi alla “rappresentazione” della realtà
fisica, ma di “suggerire” una realtà che trascenda il mondo
naturale.
I primi documenti dell’arte cristiana primitiva risalgono al III secolo.
La quasi totale mancanza di testimonianze figurative nei primi
secoli è imputabile al divieto giudaico di rappresentare la divinità.
Le testimonianze più consistenti della pittura parietale “a fresco”
sono conservate nei luoghi di sepoltura, mentre sono molto rare
quelle rinvenute in altri ambienti. Tra queste ricordiamo gli affreschi
delle domus ecclesiae di Dura Europos. Solo a partire dal IV secolo
la decorazione parietale a mosaico si diffonde nelle basiliche.
Nella loro fase iniziale, le pitture conservano vivo il ricordo del
naturalismo e del decorativismo di origine greco-romana: quelle
della Catacomba di Pretestato ne offrono un esempio negli uccelli
dell’arcosolio della camera superiore; pur mantenendo la
freschezza, mostrano un tratto pittorico più rapido e schemi
compositivi più rigidi. Questa rapidità disegnativa è molto evidente
nell’episodio della Samaritana in San Callisto.
La frequente ispirazione dell’arte cristiana a motivi della romanità è
confermata nella Catacomba dei SS. Pietro e Marcellino del
Banchetto eucaristico: l’agapè della tradizione pagana
nell’iconografia cristiana diventa commemorazione dell’ultima cena
di Cristo.
Anche nel caso dell’agapè, la resa sintetica e la fluidità di
movimento delle figure intervengono in modo originale. Lo stesso
avviene nel Sarcofago di Baebia Hertofila nel quale è rappresentata
la moltiplicazione dei pani e dei pesci che richiama alla memoria
l’iconografia dell’Ultima Cena.
Ci troviamo di fronte a una sorta di “abbreviazione” formale che
interessa la pittura come la scultura.
Appare evidente la continuità di rappresentazione del sarcofago del
Museo Laterano: nelle colonne, infatti, gli episodi della storia
romana sono svolti ininterrottamente, seguendo la successione
temporale e logica degli accadimenti narrativi. L’eliminazione del
paesaggio e dell’architettura dallo sfondo favorisce l’essenzialità
della rappresentazione.
Intorno al IV secolo il processo di sfaldamento formale della tecnica
impressionistica giunge a maturazione. Nonostante la positura del
Mosè che percuote la roccia della Catacomba dei SS Pietro e
Marcellino mantenga una certa scioltezza, notiamo sul volto del
profeta il colore steso a macchie chiare contrapposte a tocchi più
scuri e l’abbreviazione del tratto che sposta l’accento dalla
descrizione dei dati fisionomici all’espressione del personaggio,
come nel caso analogo del sarcofago di Baebia Hetrofila e nella
Guarigione dell’emorroissa.
Confrontiamo la figura dell’Orante del Cimitero Maggiore con quella
della catacomba dei Giordani di età costantiniana: la seconda ha
acquistato maggior ieraticità rispetto alla prima, grazia alla positura
frontale e all’accentuazione dei grandi occhi.
La critica novecentesca ha introdotto nella definizione stilistica
dell’arte cristiana antica il termine “espressionismo”, per indicare
un modo di rappresentare che si allontana dalla forma naturalistica
in senso stretto, rafforzando il valore evocativo della linea e del
colore. In età antica, è la spiritualità ad essere espressa. L’ideale
umano della società del III secolo muta orientamento: la raggiunta
sobrietà figurativa sembra cedere nuovamente il passo a
composizioni più complesse.
Dalla fine dell’età costantiniana fino al V secolo si delinea un
prevalente ritorno al classicismo.
Nel corso dei secoli è possibile individuare diverse rinascenze e,
molto spesso, questo è motivato dal bisogno di trovare stabilità nel
passato. Un caso è quello dell’imperatore Giuliano L’Apostata, che
restaura il culto pagano rinnegando il Cristianesimo, fautore di
un’arte classicheggiante, tesa al recupero figurativo di un passato
vagheggiato in ambito politico. Anche i rilievi scultorei si
appropriano di modi “pittorici” che tendono a ridurre la
tridimensionalità. Questo procedimento acquista grande evidenza
nel particolare della Scena di vendemmia del sarcofago di San
Lorenzo fuori Le Mura che raffigura putti alati con tralci e grappoli
d’uva; il rilievo schiacciato e il tratto lineare appiattiscono la forma
che risulta quasi disegnata. L’arte cristiana primitiva non si adegua
passivamente ai mutamenti formali in atto nel mondo tardo antico,
ma interviene sulla loro evoluzione in modo originale. Tale
linguaggio sarà elaborato e portato a compimento dall’arte
bizantina
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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