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IV.

Certamente commissionata da Nicolò III a Roma è il Sancta Sanctorum: la cappella papale privata,

oggi visitabile, che si trova in cima alla scala santa di San Giovanni in Laterano. Commissionata a

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una serie di maestri romani, legati sia al mondo bizantino sia a innovazioni del tempo. Con questi

collabora anche il giovane Jacopo Torriti, colui che continua l’opera di Cimabue ad Assisi.

A un certo punto Cimabue lascia il cantiere di Assisi: l’ultima sua opera sono i cartoni del disegno

del mosaico absidale del Duomo di Pisa.

La decorazione della Basilica Superiore di Assisi venne concepita in maniera unitaria, doveva

proseguire con le storie del Vecchio Testamento sulla parete destra entrando e del Nuovo

Testamento sulla parete sinistra e sotto le storie di San Francesco. A quel punto subentra Torriti,

con la Creazione.

A un certo punto delle Storie del Vecchio Testamento si arriva a una campata in cui ci sono le due

storie di Isacco del “Maestro di Isacco” → è un genio assoluto, rinnova la pittura quanto i Pisano

avevano rinnovato la scultura: un dibattito tutt’ora aperto si interroga su chi sia, se il giovane Giotto

o se non sia lui (in questo secondo caso sarebbe ancora più grande di Giotto). A questo dibattito si

lega il dibattito sulle Storie di San Francesco, che vedono la presenza di Giotto o maestri romani

legati al Maestro di Isacco. Una scena è Isacco che benedice Giacobbe e l’altra è Isacco che respinge

Esaù:

- l’impostazione spaziale è la “scatola prospettica di Giotto”, impostazione spaziale

rigorosamente costruita con una profondità di campo, una scansione in piani definita e

razionale

- il panneggio ha una struttura fisica di tipo scultoreo, che deriva dai Pisano

- i riquadri sono dipinti a buon fresco (per la prima volta dopo la pittura romana: è preparata

la muratura, al mattino la porzione di intonachino dipinta entro la sera, attraverso le giornate,

≠ dalla successione di strati di calce della pittura bizantina)

L’identificazione del maestro d’Isacco con Giotto è resa possibile attraverso il restauro del Crocifisso

di Santa Maria Novella di Giotto: le novità rispetto ai crocifissi di Cimabue sono la corporeità

naturalistica, una potenza plastica. Quando si è restaurato si è notata una somiglianza incredibile

tra l’Esaù e San Giovanni, tra il crocifisso e gli affreschi del maestro di Isacco.

L’abisso stilistico tra Giotto e Cimabue è visibile nel confronto della Madonna dolente del Crocifisso

di Giotto e di Arezzo di Cimabue → tutto in Giotto è derivato dall’osservazione del pittore della

realtà. Da vicino c’è ancora qualche traccia della pittura filamentosa di Cimabue ma sta scomparendo

a favore di un gioco di sovrapposizione di toni chiari e scuri che creano profondità di campo e

una plasticità che non è né quella iconica bizantina né quella della scultura, ma dolce e tenera della

pittura.

La pittura prosegue con le storie di San Francesco: sono inserite in delle campate a gruppi di tre,

in una decorazione architettonica con delle mensoline e un finto drappo → lo spazio è generato da

San Francesco. Uno studioso inglese, recentemente, ha pubblicato le storie di Francesco in rapporto

alle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento: c’è un rapporto compositivo e iconografico (San

Francesco che riceve le stimmate è in rapporto alla Crocifissione di Cristo). Le storie di Francesco

derivano dalla Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio, l’agiografia principale di

Francesco). Quelli che Bellosi chiama “separatisti” perché non ammettono che il Maestro dicono che

Giotto non avrebbe dipinto qui come nella Cappella degli Scrovengni, dicendo che possono essere

stati dei romani: Cavallini (che dipinge in Santa Maria in Trastevere) e Filippo Rusuti (Mosaico della

facciata di Santa Maria Maggiore).

Sicuramente Giotto non lavora da solo, sono plausibilmente tre le mani della Basilica Superiore di

Assisi. Questo avviene perché importante in Giotto è anche l’organizzazione delle botteghe: un

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lavoro estremamente controllato da parte del capo-bottega, ossia lui stesso → ha una genialità nel

reinventare la tecnica dell’affresco, lo stile della pittura e l’organizzazione della bottega.

È da San Francesco, dalla figura umana che si generano lo spazio e l’azione. Miracolo della Fonte:

la rupe asseconda il gesto di Francesco, c’è piena sintonia tra la natura e la figura del Santo (in

rapporto alle Laudes Creaturarum); la luce che giunge da sinistra e piove sulla roccia rendendola

illuminata è detta luce bagnata, come quando piove e la luce si riflette sull’acqua, scivola e non

colpisce l’elemento. Episodio del Presepe di Greccio: la folla porta il neonato a San Francesco e

quando lo prende si accorge che è veramente Gesù Bambino → svela il mistero della realtà, il mistero

divino e trascendente è nella realtà di un bambino, di una sorgente, di un povero, del Sole e

delle stelle. Tutta la realtà presenta il mistero e allora la realtà diventa fonte di stupore. Per questo

motivo i frati in fondo hanno la bocca aperta in un canto → inedita è qui la pittura che canta, che

altrove è sempre pittura muta. Auerbach chiamava ciò, a proposito di Dante, “realismo creaturale”.

Altre scene sono Onorio III che ascolta perplesso Francesco che gli presenta la regola circondato

dai Cardinali. La Morte di Francesco probabilmente non è di prima mano di Giotto ma di un suo

successore in quanto la facciata è molto arnolfiana → San Francesco viene portato da Chiara e i due

sono raffigurati come la Madonna e Cristo in una deposizione.

Giotto va poi a Ravenna e poi a Padova, dove lavora prima per i francescani e poi per Enrico

Scrovegni, che fa costruire l’omonima cappella per espiare i peccati del padre usuraio (1303-1305).

La cappella è dedicata all’Annunciazione, è decorata con le storie dei genitori della Vergine

(Gioacchino e Anna), le storie della Vergine e storie di Cristo → costituirà un modello per le

cappelle signorili posteriori. Si apriva un lantello con Dio Padre e usciva la colomba dello Spirito

Santo durante la celebrazione della Pasqua. Rispetto ad Assisi:

- i colori vengono schiariti;

- a questo schiarimento contribuisce l’uso delle ombre colorate (ottenuto sfumando le tonalità,

mettendo tonalità diverse di colori, non pennellate di nero e biacca);

- concentrazione dell’attenzione sulle figure con accentuazione dell’attenzione del pittore ai

rapporti psicologici tra i personaggi (sguardi).

Quest’ultimo aspetto si può vedere nel Bacio tra Gioacchino e Anna; sull’ultimo registro c’è

Maria accompagnata al matrimonio di una delicatezza impressionante, si nota una

raffinatezza nelle acconciature.

Rimangono stilemi bizantini come ad esempio la Madonna sdraiata nella Natività, ma l’intensità

dello sguardo è completamente nuova (lo sguardo può anche essere drammatico, come è nello

sguardo tra Giuda e Cristo). Nella Deposizione Maria è distrutta, eppure continua a guardare negli

occhi che non possono più guardare. Delle donne, nella Strage degli innocenti, hanno delle lacrime

→ ogni aspetto della realtà non va trascurato.

Sulla controfacciata c’è il Giudizio universale: nel restauro si sono trovati nell’aureola del Cristo

degli specchi di vetro, poiché la luce naturale colpendo l’aureola genera dei riflessi impressionante

→ è la stessa concezione dantesca della luce divina. Lo splendore di Cristo è quasi insostenibile per

l’occhio umano.

Giotto, dopo la Cappella degli Scrovegni, è certamente ad Assisi, dove coordina la decorazione dei

transetti, la cappella di San Nicola e della cappella della Maddalena della Basilica Inferiore →

nel 1309 è documentato un credito nei suoi confronti.

Realizza poi il grande polittico della Basilica di San Pietro, ossia il Polittico Stefaneschi. 28

Intorno al 1315 e il 1320 realizza cappelle e polittici per la Basilica di Santa Croce a Firenze: sono

rimaste 2 cappelle (Cappella Peruzzi e Cappella Bardi) e 1 polittico (Polittico Baroncelli). Si trova a

lavorare per i banchieri fiorentini o personaggi importanti:

- Nella Cappella Peruzzi realizza le storie di San Giovanni Battista ed Evangelista →

sperimenta ricerche nuove di spazialità e costruzione (sappiamo che il giovane Michelangelo

le copiava). Sono state fatte delle sperimentazioni che attraverso tecniche di radiazioni hanno

mostrato la configurazione originale delle figure.

- Nella Cappella Bardi torna a proporre le storie di San Francesco: c’è una spazialità molto

più dilatata.

- Polittico Baroncelli: la cappella è dipinta da Taddeo Gaddi, suo allievo; il polittico è

rimontato in una cornice rinascimentale, la cuspide si trova in un museo californiano → ha

elementi suggestivi: Dio Padre con degli angeli che hanno in mano delle specie di specchietti,

pellicole trasparenti colorate per proteggersi gli occhi dalla vista dello splendore di Dio.

Pittura senese del Trecento

Con Cimabue e Giotto si è vista la pittura fiorentina, parallelamente alla quale si sviluppa la pittura

senese, capeggiata da Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti.

Ciclo ritrovato una ventina di anni fa sotto il Duomo di Siena in occasione dell’ultima grande mostra

su Duccio. Gli affreschi si sono conservati molto bene perché erano coperti dalla terra, non si capisce

bene a cosa fosse destinato, probabilmente a una confraternita. Sono rafffigurate Storie di Cristo,

Antico e Nuovo Testamento con un linguaggio bizantineggiante, svolto da Guido da Siena e altri

pittori. Si sollevò il grido che tra questi pittori e in questo ciclo si sia formato il giovane Duccio.

Duccio di Buoninsegna

Madonna dei francescani: tavoletta molto piccola per la devozione privata.

Madonna Rucellai o Maestà dei Laudesi: Duccio la dipinse nel 1285 per la chiesa di Santa Maria

a Novella a Firenze (la chiesa dei domenicani per la quale Giotto dipingerà il crocifisso). Venne

commissionata dall’orine dei Laudesi che recitavano le laude per la Vergine. Prese anche il nome di

Madonna Rucellai perché venne spostata nella cappella dell’omonima famiglia fiorentina. Una

maestà simile era stata dipinta da Cimabue per una chiesa di Pisa, oggi al Louvre e per questo motivo,

per molti secoli, la Madonna Rucellai venne attribuita allo stesso Cimabue (anche perché era un

pittore fiorentino). La similitudine è molto forte: ciò significa che probabilmente nella formazione

problematica di Duccio si ha un rapporto anche co

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
35 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/01 Storia dell'arte medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sezioneaurea di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Rossi Marco.