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Lopez, perché questi aveva finanziato l’edizione definitiva del poema nel 1878, anche
se quest’azione di generosità divenne un’ azione aggressiva perché egli mise il suo
nome e le sue navi sulla prima pagina. Lopez faceva ciò per inserirsi nella società
catalana, egli in realtà veniva da Comillas, così acquistò il palazzo Moja, che non solo
era nella posizione + bella del centro storico di Barcellona, ma era anche il palazzo
storico settecentesco più prestigioso della città. A Comillas invece possedeva quasi
tutto, e qui portò scultori importanti come Llimona e architetti come Martorell. Intorno
a Martorell si creò un gruppo formato da Gaudì, Oliveras e Cascante. L’intero gruppo
partecipò ai lavori di Comillas, diciamo che il loro segno di riconoscimento era un arco
parabolico, che Gaudì spiegò come un elemento che corregge l’imperfetto sistema di
equilibrio dell’arco a sesto acuto gotico.
Joan Guell, a Barcellona, aveva acquistato verso il 1860 un paio di proprietà agricole e
nel punto più elevato di quei terreni sorgeva una grande casa signorile circondata di
giardini, nel 1883 il figlio Eusebi ampliò la proprietà acquistando altri terreni e decise
di trasformare la casa e far costruire un muro di cinta con terrazze, maneggi, ecc. tutti
commissionati a Gaudi. Questa casa divenne la residenza estiva di Eusebi e la famiglia
della moglie, i Lopez, e fu proprio qui che Verdaguer conobbe i Lopez e diede come
nome alla tenuta Guell, Torre Satalia, alludendo alla città dell’Asia Minore famosa per i
suoi aranceti e alla varietà di rosa bianca che in catalano è così denominata. Fra le
riforme effettuate da Gaudì c’è questa fontana vicino alla casa, una panchina di pietra
semicircolare con lo schienale di muro al cui centro esce un tubo in ferro battuto a
forma di drago. Sul muro si erge un piedestallo di un antico busto di marmo, dalle fauci
del drago scorre l’acqua che trabocca per le quattro sbarre dello scudo di Catalogna.
Forse il busto rappresenta Ercole con la pelle del leone di Nemea, e oltre al richiamo
chiaro all’Atlantida, c’è anche un richiamo a San Giorgio e il drago. Anche l’ampissimo
cancello per le carrozze ha la forma di un enorme drago con le fauci spalancate e gli
artigli tesi, che pare muoversi quando il cancello di apre o chiude. Il cancello è
sostenuto da un alto pilastro in mattoni rossi sormontato da un arancio d’antimonio,
anche qui il drago incatenato e l’arancio rinviano all’Atlantida, addirittura sul piccolo
cancello d’ingresso dei pedoni si vede appesa la lira. Gli estranei trovano chiusa la
porta del giardino, ed è difficile che essi vedano la lira sul cancello, o la coda del drago
che indica le costellazioni, quindi è un mondo simbolico riservato solo a chi ha accesso
alla tenuta. Ci sono innumerevoli rose, scolpite, raffigurate sui pannelli, rose bianche,
da cui prende il nome la tenuta e che Verdaguer usa per riferirsi alla Vergine, che
nella sua poesia è la Vergine di Monserrat. La portineria a sinistra del grande cancello
del drago è costituita da un edificio ottagonale sormontato da una cupola a pianta
circolare che culmina in una lanterna. Le cupole e le lanterne sono rivestite di
piastrelle di ceramica colorata e in alcuni casi sono state frammentate con la tecnica
del trencadis. Le lanterne provengono dai minareti delle moschee del Cairo, che Gaudì
aveva visto illustrate in qualche libro, di quei minareti seleziona e isola alcune parti.
Gaudì usa una notevole varietà del materiale, ma anche novità, negli elementi, nelle
tecniche, nel modo di aggregazione. Tutti gli spigoli del padiglione della portineria sono
stati svuotati, così l’angolo perde materialità, scompare, ma non è l’unico segno di
“smaterializzazione”, infatti in uno degli accessi secondari alla tenuta, il muro di
mattoni arrivando alle due torrette piramidali che sormontano la porta, si scompone in
piccoli muretti paralleli come se si sfaldasse. Quindi le costruzioni perdono peso,
diventano leggere, e non essendo uniti da spigoli, ogni muro diventa un pannello a sé,
un’immagine, e l’insieme è la somma di quelle immagini. Nella malta delle
commessure dei mattoni Gaudì ha fatto mescolare minuscoli frammenti di ceramica
colorata che si possono distinguere solo a distanza ravvicinata, un lavoro eccessivo
per un lavoro così piccolo, per un luogo senza tempo, che sembra essere ambientato
nel lontano Oriente, perché Guell ama sperperare i beni più preziosi, ossia lavoro e
tempo quantificabile, egli non vuole essere un semplice borghese, ma una figura di
spicco, un patriarca e per lui Gaudì costruirà palazzo, città e giardini.
Guell riuscì a divenire una figura molto importante, egli non solo venne nominato
consigliere municipale di Barcellona, ma anche senatore, fondò la Jove Catalunya, di
stampo radicale, che è letterale ma agisce anche politicamente, successivamente
prese anche parte alla fondazione del Centre Català, patriottico, che reclamava una
politica protezionista per l’Industria catalana perché gli accordi commerciali firmati con
la Gran Bretagna pregiudicavano l’andamento dell’industria tessile catalana, ma nel
1888 il Centre Català si divise in un gruppo più conservatore che fondò la Liga de
Catalunya (a cui Guell partecipò attraverso un giornale), e uno più radicale. Dopo la
partecipazione alla Liga, di Guell non troviamo più nessuna traccia politica, ma ciò non
vuol dire che la sua influenza non rimase viva. Guell non agiva, ma si trovava al
momento giusto e al tempo giusto. Anche la sua educazione è molto interessante,
studiò giurisprudenza, economia, meccanica, si dedicò allo studio dei funzionamenti
dell’industria tessile in Francia e Inghilterra, veniva considerato da tutti un gentleman,
era amatore delle arti e delle scienze, fu un collezionista, il suo palazzo sembrava un
rifugio dell’arte. Alla morte di Guell il giornale “El Radical” scrisse che egli aiutò a
trionfare le figure più eminenti, ha lavorato per la prosperità della Catalogna, era
amatore delle arti e trasmette questa sua passione anche ai figli, egli appare come un
modello di comportamento politico, sociale e culturale, gli dedicarono libri, come per
esempio la figura di Guell è descritta da Miquel d’Esplugues in un suo libro.
D’Esplugues sostiene che la Catalogna è differente dalle altre civiltà, è unica perché ha
in sé una romanità cristiana, che per lui è l’apice della civiltà, e con la disgregazione
dell’impero romano e la scomparsa di Roma come caput mundi, c’è la fine della civiltà,
un periodo di decadenza, che poi viene ripreso da una classe nuova, da
un’aristocrazia che nasce dalla terra stessa. Qui, la grandezza di Guell sembra
riconoscersi meglio nelle sue opere: il palazzo, il parco, le sue costruzioni, dove è
evidente il suo ruolo di mecenate, ma non si creda che Guell fosse uno strumento per
il successo del libro, bensì è il contrario. Guell voleva essere non un borghese, ma un
signore, ed è per questo che si fece costruire non una casa, ma un palazzo, un palazzo
che però viene chiuso in un quartiere meschino, questo è ciò che si dice nella
monografia di Puiggarì. L’edificio venne inaugurato in occasione dell’Esposizione
universale, anche perché il palazzo era più per ricevimenti, feste, mentre la vita
familiare si svolgeva in Torre Satalia. La varietà qui è ben espressa dalle colonne, i cui
capitelli hanno ognuno una forma diversa, ogni cosa è curata, nei capitelli, nelle pareti,
c’è un lavoro umano incommensurabile, e infatti in questo palazzo si ostenta il
possesso del lavoro. Le pitture murali realizzate da Alex Clapès per le pareti del salone
principale sono significative, non occupano il centro delle pareti ma gli angoli,
curvandosi con essi, quindi si integrano con lo spazio architettonico. Su una delle
facciate laterali del palazzo, quella che si affacciava sulle ramblas, Clapès aveva
dipinto un grande affresco, oggi scomparso, che raffigurava Ercole, mentre
camminava a grandi passi tenendo alta con la mano una torcia, e la sinistra armata di
una clava, illuminato drammaticamente da una fiamma, è un riferimento all’Atlantida
ma la torcia e la clava sono le armi che l’eroe aveva usato nella sua lotta contro l’idra
e non nella ricerca delle Esperidi, il personaggio è sproporzionato, con la testa piccola
e il corpo rude ma perché doveva rappresentare un simbolo, non un racconto.
Nella parte alta della stessa strada si trova il palazzo Moja acquistato da Lopèz, a cui
non si accede dalle ramblas ma da una traversa ed è l’unico edificio che si articola
intorno a un salone a doppia altezza. Entrambi questi elementi si riproducono nel
palazzo Guell, e allo stesso modo con cui il salone del palazzo Moja è decorato con
affreschi che riguardano la storia dei Cartellà, gli antichi proprietari, quello del palazzo
Guell è decorato con gli affreschi di Clapès, che rappresentano l’altruismo di Isabel
Lopèz, moglie di Guell, e soprattutto la politica sociale della famiglia. Il senso di
fondazione della città da parte di Ercole, si amplifica nel palazzo, fra le due porte
d’ingresso infatti vi è uno splendido lavoro in ferro battuto che rappresenta le sbarre
catalane sormontate da un elmo sopra il quale un uccello è nell’atto di spiegare le ali,
un simbolo comune, una fenice che rinasce sulla bandiera di Catalogna, e forse è
anche un’allusione al drago alato che secondo la leggenda costituiva il cimiero
dell’elmo di Jaume I, il re che nel XIII secolo diede inizio all’espansione catalana nel
mediterraneo. Dato che Gaudì aveva a disposizione una superficie ridotta quindi
sviluppò l’edificio in verticale, dal sotterraneo fino al tetto si possono contare 8 livelli,
quello più basso è occupato dalle scuderie, uno spazio illuminato da finestre alte e
quasi completamente occupato da pesanti piloni in mattoni, alcuni dei quali, cilindrici,
sono di enormi dimensioni, piloni inutili e opprimenti, ma che sono destinati a
sottolineare la bestialità di un luogo i cui abitanti saranno animali, animali “irrazionali”,
simboleggia l’inferno. Due livelli separano il sotterraneo dal grande salone del piano
nobile, a pianta rettangolare, ma la sua posizione non appare evidente, infatti vi si
accede tramite due ingressi che prolungano intenzi