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Il terremoto d’Abruzzo rende più rischiosi e impopolari gli aspetti più irresponsabili del Piano casa
Atto quarto.
come la semplificazione delle norme antisismiche o la deresponsabilizzazione dei progettisti e delle imprese di
costruzione. Il governo si blocca e non riesce ad emanare entro dieci giorni un decreto legge quadro. L’accordo
governo Regioni così è del tutto saltato. Eppure le Regioni si affrettano a legiferare anche se in mancanza di una
legge nazionale di riferimento, e quindi senza rispettare l’art.117. Ciò comporta un labirinto di norme che
variano di regione in regione. Quindi nonostante l’inosservanza del patto governo Regioni, il Piano casa dilaga in
tutta Italia. Successivamente il governo vara l’attuazione del Piano casa per l’edilizia residenziale pubblica. Con
Atto quinto.
questo Piano il governo si prefigge di realizzare centomila alloggi in 5 anni, stanziando 350 milioni di euro in
favore di categorie svantaggiate. Torna così a galla con 200 milioni in meno il piano lanciato dal governo Prodi
con un finanziamento di 550 milioni.
dall’estate 2008 all’estate 2009 il governo ha lanciato simultaneamente sotto la stessa etichetta
Riassumendo,
due piani (generando un Piano di edilizia
una voluta confusione nella stampa e nell’opinione pubblica):
residenziale pubblica per chi la casa non ce l’ha e un diverso Piano casa, di fatto un condono preventivo per chi la
casa ce l’ha e vuole ingrandirla. Pesantissime conseguenze sta avendo il Piano casa nella seconda accezione. Esso
dopo il generico accordo Stato-Regioni avrebbe richiesto 1) entro 10 giorni l’emanazione di un decreto legge
quadro per fissare le possibili deroghe alla normativa nazionale vigente; 2) le leggi regionali che avrebbero
dovuto essere approvate entro e non oltre i 90 giorni.
Il governo non ha mai emanato la legge nazionale in compenso si è scatenato il fai-da-te delle Regioni.
6. La casa come bene rifugio e la “bolla immobiliare”.
Come mai tanta concordia, a spese del paesaggio, tra Stato e Regioni? Si possono azzardare tre risposte, diverse
ma convergenti tra loro.
La si trova nello slogan lanciato da Berlusconi già nel 2001 “padroni il rifiuto
Prima risposta. in casa propria”,
delle regole e l’affermazione di uno spazio in cui l’egoismo proprietario possa esercitarsi senza alcun limite.
A contribuire a tale situazione è sicuramente la convinzione che il miglior modo di investire i
Seconda risposta.
proprio guadagni non è indirizzandoli sulle attività produttive bensì sulla proprietà immobiliare. Questa
mentalità arcaica ha prodotto un mercato il denaro fruttifica più che altrove. A dire il vero il rapporto tra
investimenti e profitti è molto favorevole solo per i costruttori. Il guadagno del singolo consiste piuttosto in
quello che si potrebbe chiamare un “sentimento Nascono in tal modo meccanismi di
di sicurezza”.
indebitamento di lungo periodo che immobilizzano capitali e bloccano ogni investimento produttivo. Eppure
molte famiglie stringono la cinghia pur di comprare appartamenti da lasciare ai figli o da rivendere in caso di
bisogno. Conta anche l’invenduto o case vuote ed occupate una settimana all’anno.
La stessa ed identica mentalità è condivisa dal crimine organizzato (gli imprenditori italiani vincenti provengono
dal cemento, la Costituzione dovrebbe mutare e scrivere che si fonda sul cemento e sui costruttori. “Saviano”).
Tale risposta adotta a giustificare tale scempio ai danni del paesaggio: la crisi mondiale. Destra e
Terza risposta.
sinistra concordano un qualche Piano casa che porti ad un rilancio delle imprese di costruzione, anche a spese
del paesaggio, questa è la prima mossa da fare per salvare il Paese dalla crisi.
Non è vero. La crisi globale è stata innescata proprio dalle perdite subite dalle banche e agenzie di credito
americane per l’eccesso di mutui concessi per star dietro agli eccessi dell’offerta edilizia: è questa la housing
o bolla edilizia di cui si è tanto parlato.
bubble, L’analisi più penetrante è sicuramente quella di George Soros. La fiducia nelle capacità di
Analisi del processo.
autoregolazione dei mercati finanziari parte da un assunto essenziale. Secondo questo assunto, il mercato
finanziario, indirizza verso forme di investimento produttivo capitali liquidi di persone che non ne hanno
immediato bisogno. Ne derivano benefici sia per gli investitori sia per i gestori dell’investimento, le decisioni sugli
investimenti sono guidate dalle oscillazioni di mercato, che sono il fedele riflesso dei valori reali. Tuttavia non
sempre i prezzi riflettono i valori reali; succede anzi spesso che le decisioni sugli investimenti vengano orientate
dalle aspettative più che dai valori di mercato. Si viene ad innescare così un circolo vizioso definito reflexivity:
cioè gli investimenti non si basano sulla situazione reale ma sulle proprie percezioni di quella situazione;
compriamo non quello che veramente vale ma quello che riteniamo abbia valore. Tale comportamento
contribuisce a dare l’apparenza della verità alle aspettative che le hanno ispirate, accrescendo in tal modo quelle
aspettative e portando quindi altri investitori ad avere lo stesso comportamento. E’ quello che Sorso chiama
che impatta sui dati economici fondamentali alterandoli e modificando la percezione
manipolative function
generale del mercato (cognitive function).
Tutto ciò genera un processo che inizialmente si auto consolida ma poi finisce con l’autodistruggersi. Infatti negli
Usa i prezzi delle case nel 2001 continuarono a crescere, imponendo ai compratori la ricerca di nuovi
finanziamenti mediante mutui e altri crediti. Banche ed agenzie di credito continuarono a concedere prestiti in
misura crescente, a condizioni sempre migliori nell’aspettativa che il mercato continuasse a crescere. La
convinzione di una crescita indefinita generò aspettative sempre maggiori nei cittadini che pur di accedere a
proprietà immobiliari si indebitarono oltre le loro possibilità. A loro volta gli istituti di credito crearono pacchetti
virtuali mediante la cartolarizzazione dei prestiti concessi ai cittadini per poi rivenderli ricavando nuovi introiti. Di
qui l’housing bubble che ha causato la crisi mondiale. La bolla immobiliare è esplosa quando è diventato
evidente che un numero sempre più alto di persone che avevano sottoscritto mutui non era più in grado di
pagare le rate, mentre col crollo dei prezzi il debito ipotecario tendeva a diventare superiore al valore corrente
della proprietà. Di conseguenza il valore dei pacchetti immobiliari degli istituti di credito crollò nello spazio di
una notte. Anche in Italia stiamo costruendo un castello di carta finanziario basato sulla cartolarizzazione del
debito, e la facile concessione dei mutui fa crescere la domanda immobiliare. Anche in Italia la housing bubble
può scoppiare da un momento all’altro; con l’aggravante che nel nostro paese tale problema si intreccia con la
pesante differenza tra crescita costante del patrimonio edilizio e la flessione della domanda di nuove abitazioni.
E’ solo grazie agli immigrati se in Italia il bilancio demografico è positivo. Sono le famiglie di immigrati a generare
la domanda di nuove abitazioni, che tuttavia non riesce a compensare il calo della domanda da parte della
popolazione autoctona.
Negli ultimi anni è venuta allargandosi la differenza fra l’incremento delle nuove abitazioni e quello delle
compravendite: generando in tal modo un mercato favorevole alla costruzione di nuove abitazioni piuttosto che
alla compravendita di abitazioni già esistenti. Su questo sfondo è giusto chiedersi cosa ne sarà delle 840.000
nuove abitazioni da completarsi tra il 2008 e il 2010 che in nessun caso potranno essere tutte collocate sul
mercato.
Se i dati di questa analisi sono giusti è difficile comprendere le ragioni del “Piano casa”. Come può pensare il
nostro governo di uscire da una crisi scatenata dall’housing bubble americana realizzando una bolla immobiliare
nostrana?. Molto più probabile che la bolla immobiliare scoppi anche da noi. Ma intanto il piano casa del
governo e delle regioni hanno già mietuto una vittima: il Paesaggio.
La crisi globale, anziché stimolare tentativi di trasformazione e di innovazione dell’economia, viene invocata per
legittimare il trionfo della rendita fondiaria, giustificata col miope ricatto di un’immediata redditività.
Capitolo Secondo
1. Conflitti di competenza, diritto di parola.
Chi ha il diritto di parlare di paesaggio? E' giusto che le trasformazioni del paesaggio siano
sottoposte a regole?
Lo spettro delle risposte usuali si muove fra due estremi: una sostanziale deregulation o un astratto
richiamo alle regole (vanificato dai conflitti di competenza istituzionali). Esempio di deregulation è
sicuramente l'ultimo slogan di Berlusconi "padroni in casa propria". "In casa propria", ognuno
potrebbe dunque fare tutto quello che vuole, unico limite alle proprie possibilità sarebbe il vicino in
nome dello stesso principio. Secondo tale governo siamo tutti di buon gusto, infatti per secoli
abbiamo saputo costruire cose belle in piena libertà e che sono state proprio le regole a danneggiare il
paesaggio.
Più insidiosa e difficile da analizzare è la seconda risposta, fondata proprio sul richiamo alle regole
esistenti. Di regole infatti ce ne sono tante, anche troppe: c'è la Costituzione della Repubblica, c'è il
Codice dei beni culturali e del paesaggio, c'è la Convenzione europea sul paesaggio. Tante norme
ma tutt'altro che coincidenti fra loro. Proprio la difformità di tali norme e i derivanti conflitti di
competenza istituzionale sono diventati il fulcro del problema, in tal modo si lascia spazio a due
fenomeni controproducenti ovvero: una moltitudine di strategie interpretative, impiegate dagli
avvocati per piegare le regole a proprio favore; lasciar spazio a chi ha interesse che a una decisione
certa non si arrivi mai.
E' in questo contesto che abbiamo fatto l'abitudine non solo alle violazioni occasionali delle norme
ma anche allo stato d'eccezione sancito per legge, ovvero i condoni. Ma allora: ha davvero senso
regolare gli usi del paesaggio mediante un sistema di norme?
Vi si oppongono vari sofismi che riducono il concetto di paesaggio ad un valore astratto senza alcun
legame con lo spazio in cui viviamo. In particolare si scontrano due concezioni: secondo alcuni il
paesaggio esiste solo in quanto viene reso esteticamente (dai pittori, poeti ecc.); secondo altri il
paesaggio estetizzato si basa su credenze del mondo arcaico con il preciso tentativo di ibernare il
tempo ed arrestare