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Nell’amministrazione cittadina nessun peso aveva il popolo minuti distinto da quello grasso.
Tuttavia ciò non esclude l’esistenza di forme di organizzazione corporativa, risalgono infatti al
tempo di Carlo II i casi di categorie artigiane che intervengono presso il sovrano per la tutela
dei loro interessi.
Il riconoscimento formale però di eleggere i propri rappresentanti fu concesso da Giovanna I.
La città non aveva conosciuto né avrebbe conosciuto un vero sviluppo industriale nonostante i
tentativi operati da Carlo II e Roberto il Saggio per promuovere l’industria tessile napoletana.
Lo stesso fece l’amministrazione cittadina concedendo a lanaioli forestieri finanziamenti per
farvi impiantare manifatture di panni di lana. Nel complesso furono i mercanti stranieri e
soprattutto fiorentini a svolgere un ruolo propulsivo nell’economia non solo della città ma
dell’intera Campania.
“Nobile e chiara città”. Mito e realtà della Napoli aragonese.
Il ruolo di Napoli come piazza commerciale andò consolidandosi nel corso del Trecento, anche
se in quel secolo il Regno stava attraversando una crisi economica e demografica. Le
condizioni del Regno spossato dal calo demografico e dalle vicende dinastiche che portarono
alla morte della regina Giovanna uccisa dal nipote Carlo III di Durazzo, avrebbero richiesto un
periodo di pace e l’utilizzazione di tutte le risorse disponibili per la ripresa demografica e
produttiva. L’avvento dei Durazzeschi segnò però la ripresa della politica espansionistica di
Carlo I d’Angiò, tuttavia l’ambizioso sovrano morì mentre tentava di cingere anche la corna
d’Ungheria. Il figlio Ladislao tentò a più riprese di ottenere la supremazia nella penisola.
Tuttavia non conseguì risultati duraturi lasciando alla sua morte il paese in una situazione di
grave crisi politica, che si accentuò negli anni di Giovanna II la quale vedendo il suo trono
minacciato da Luigi III d’Angiò adottò come figlio e successore il re d’Aragona Alfonso V, salvo
poi revocare l’adozione preferendogli proprio Luigi III. Ne conseguì una guerra tra i due
candidati che si concluse con la conquista di Napoli da parte di Alfonso.
Il corteo regale, partito dalla porta del Carmine, attraversò la città fino al Duomo e a Castel
Capuano. Il carattere classicheggiante del corteo, ispirato a quelli di Roma antica, ben si
inseriva nello scenario di una città che era seconda solo a Roma.
Al corteo trionfale seguirono una serie di rapidi interventi volti alla ricostruzione materiale
della città.
Il sovrano avviò un’opera di rinnovamento delle strutture politiche e amministrative e fece
della capitale uno dei maggiori centri della nuova cultura umanistica. Immediato fu il riflesso
sulla vita dell’Università grazie al reclutamento di prestigiosi docenti.
Ferrante non solo continuò nell’opera di promozione culturale e di ammodernamento in
ambito politico-amministrativo, ma si impegnò nello stimolare il commercio, l’attività
cantieristica e l’industria tessile. Inoltre prometteva privilegi a spagnoli, genovesi, fiorentini e
milanesi disposti a impiantare manifatture e istituiva l’Arte della Lana e l’Arte della Seta.
Tuttavia non riuscì a suscitare iniziative imprenditoriali locali.
Sia Alfonso che Ferrante durante i loro regni riempirono Napoli di capolavori d’arte,
chiamandovi a lavorare i più famosi pittori, scultori e architetti per cui si modificò l’aspetto
della città, che si venne configurando non solo come una delle più belle ed eleganti d’Italia
ma anche come un eccezionale crocevia di esperienze in ambito artistico.
Alla fine del secolo XV la popolazione contava 100.000 abitanti, per cui si dovette ampliare la
cinta muraria. Intanto con la scomparsa di Lorenzo il Magnifico e di Innocenzo VIII, seguita due
anni dopo da quella di Ferrante, iniziava in Italia un’età drammatica di guerre ed invasioni per
il predominio della penisola da parte delle maggiori potenze europee.
La nobiltà feudale sulla base dei vantaggi che si attendevano dalla loro scelta decisero di
schierarsi o dalla parte della Francia o della Spagna. La stessa capitale Napoli puntando a
mantenere i privilegi concessi in quegli anni si consegnò alle truppe spagnole di Consalvo da
Cordoba, che la occuparono facendole perdere il rango di capitale.
Dal Viceregno all’Età dei Lumi.
La “gran mutatione” e i baroni in città.
Nel 1503 si concluse dunque l’indipendenza del Regno di Napoli che inserito nell’impero di
Carlo V, venne amministrato da vicerè, il primo fu proprio Consalvo da Cordoba.
La dipendenza del Regno di Napoli dalla Spagna non ebbe mai le caratteristiche di una
colonia, infatti con la visita del re Ferdinando vennero riconfermati e ampliati i privilegi della
città. Per assicurarsi il controllo del Regno fu rafforzata l’aristocrazia ( ) e furono
ceto baronale
avanzate concessioni anche all’Eletto del Popolo.
Fallirono invece i tentativi di introdurre l’inquisizione nel Regno a causa della strenua
opposizione dei cittadini.
A uno dei vicerè, don Pedro di Toledo si deve una delle trasformazioni più vistose della storia
urbana di Napoli. Già nei primi anni con Consalvo di Cordova ci furono i primi interventi, tra
cui l’ammodernamento delle mura e l’inizio dei lavori per la creazione della cinta bastionata
del Castel Nuovo. Inoltre si iniziò a pavimentare le strade e si ampliò il perimetro urbano
grazie ad un prolungamento delle mura che consentì di raddoppiare quasi la superficie
urbana.
Il Toledo ordinò il rinnovamento del tratto settentrionale e la costruzione di una nuova cinta
che da quest’ultimo punto salì a Castel Sant’Elmo, per discendere poi ad avvolgere tutta la
collina di Pizzofalcone e giungere a Castel Nuovo inglobando così tutte le fortificazioni
esistenti. Si sarebbe trattato solo di un collegamento tra castelli se non si fosse aperta anche
la grande arteria chiamata via Toledo.
Inoltre tra Castel Sant’Elmo e via Toledo furono edificati quartieri di alloggiamento delle
truppe spagnole. Tra i quartieri e il Castel Nuovo fu fondato il complesso dell’Ospedale e
Banco di San Giacomo degli Spagnoli, mentre sulle pendici di Pizzofalcone sorsero ville e
palazzi della nuova nobiltà.
All’ammodernamento delle strutture cittadine si deve collegare la decisione di raggruppare
tutti i tribunali, in un’unica cittadella giudiziaria, l’antico Castel Capuano.
Il tentativo di riordinare l’organismo urbano non riuscì soprattutto a causa dell’inurbamento
dell’aristocrazia feudale che condusse ad un eccezionale incremento demografico e ben
presto fuori le mura della città nacquero borghi popolosi.
Toledo riorganizzò anche il sistema idrico e fognario, ampliò il porto e costruì il nuovo
arsenale. Tuttavia non fu solo l’aspetto architettonico a cambiare ma anche l’assetto
socio-economico causando in tal modo una frattura tra la capitale e le province.
I grandi vantaggi fiscali e finanziari che la vita nella capitale garantì agli abitanti di Napoli
favorirono l’esodo della nobiltà dai feudi.
La popolazione di Napoli giunse a metà del XIX secolo al numero di 409.000. Napoli divenne la
prima città d’Italia. Tale espansione fu causata dai grandi privilegi concessi ai cittadini e
soprattutto dall’accentramento di tutte le funzioni politiche, economiche, sociali e culturali.
( ).
Nasce in tal modo la figura dei mascalzoni: “il paradiso abitato da Diavoli”
All’ampliamento della cinta muraria, dovuta all’esplosione demografica, seguì la vendita di
ampi terreni a occidente. Contemporaneamente il Vicerè si dedicò ai tanti problemi della città:
come il miglioramento della circolazione interna, si iniziò a lastricare le strade principali e si
procedette alla rettifica del tracciato di alcune strade.
Inoltre nel 1566 finirono i lavori di ampliamento delle mura e fu l’anno della prammatica con
la quale le autorità spagnole posero un freno alla continua espansione della città e alle attività
edilizie abusive con il divieto di costruire da 30 canne dentro e 200 fuori le mura.
La città sacra.
Lo spazio urbano nell’età della Controriforma venne rimodellato dagli ordini religiosi che si
instaurarono in pieno centro a prezzo di una disarticolazione del tessuto preesistente.
I vecchi complessi conventuali vennero adeguati ai dettami del Concilio di Treno: ne risultò
quasi sempre la distruzione delle strutture di età pregotica.
Le fondazioni dei nuovi ordini furono particolarmente imponenti come quelle dei Gesuiti ( Gesù
) e dei Teatini (
nuovo adattato nell’antico palazzo Sanseverino San Paolo Maggiore al posto di una
). Particolare di questo periodo è il cosiddetto
chiesa paleocristiana eretta sul tempio dei Dioscuri
diritto a “far isola” cioè acquistare le costruzioni limitrofe alla fondazione religiosa, acquisto
che veniva eseguito in base al prezzo indicato nell’ultimo contratto di vendita, spesso vecchio
di anni e quindi estremamente favorevole.
Gli ordini religiosi si espansero in continuazione sottraendo spazio alle abitazioni civili, e a
volte anche a quello pubblico, ma soprattutto a danno degli edifici donati dalle famiglie nobili.
Si avrà un’urbanistica che si preoccuperà principalmente di sistemare le adiacenze delle
chiese antiche, conformandosi alle esigenze di isolamento delle fabbriche propugnate dal
Concilio. Vengono creati in tal modo piazze dove vi erano edifici e che quindi incidono la
regolarità della maglia greco-romana.
L’architettura a Napoli a prescindere dall’attribuzione a Bramante del Succorpo e dell’ancor
anonimo autore della straordinaria cappella Caracciolo di Vico in San Giovanni a Carbonara, fu
segnata da una forte componente toscana visibile nell’attività di diversi architetti del Regno
come Giovanni Donadio o Romolo Basimelli.
Questa tendenza si fronteggiò con quelle influenzate dall’ambiente romano e iberico, di cui
furono espressione architetti come Giuseppe Nuvolo o Francesco Grimaldi.
Nel 1592 Domenico Fontana venne nominato architetto regio ed ingegnere maggiore.
Napoli dovette attrarre artisti italiani e stranieri, e favorire lo sviluppo delle botteghe di pittura
locali.
Grazie all’arrivo in San Domenico di un grande capolavoro di Raffaello, la Madonna del Pesce,
e alla presenza di diversi maestri si diffuse a Napoli la cosiddetta “maniera moderna”.
Nel 1544 fu presente a Monteoliveto Giorgio Vasari che