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JOHN SEARLE

Dagli atti linguistici alla coscienza

Da 30 anni cerca di elaborare una teoria generale della mente e del linguaggio. Ha

analizzato profondamente l’intenzionalità, che giustifica gli stati mentali e i

comportamenti linguistici.

Si forma ad Oxford nei 50’ alla scuola dei “filosofi del linguaggio ordinario” come

Atti linguistici,

Austin, Grice, Strawson. Scrive il primo libro nel 1969: molto vicino

alle posizioni di Austin. L’atto linguistico è il pronunciare una frase. Ci sono 4 tipi di

atti linguistici: enunciativi, proposizionali, illocutivi, perlocutivi. Ma lui è interessato

solo ai proposizionali e illocutivi e degli illocutivi si interessa molto alla promessa.

Per le sue ricerche nella filosofia del linguaggio è considerato uno dei fondatori della

pragmatica moderna. Egli in ogni caso non condivide la distinzione fra semantica

(teoria del significato) e pragmatica (teoria dell’uso di espressioni dotate di

significato). Significare e dire qualcosa di significato sono aspetti dell’illocuzione.

intenzione

Fondamentale nella teoria è il concetto di perchè la descrizione di un

atto linguistico si riferisce essenzialmente alle intenzioni del parlante.

Dagli atti linguistici e dalla filosofia del linguaggio Searle passa alla filosofia della

Dell’intenzionalità

mente. Nel 1983 scrive e elabora una teoria generale dei

fenomeni mentali che si riferisce un po’ alla tradizione fenomenologia di Brentano e

Husserl, ma da una prospettiva realista invece che trascendentalista come la loro.

L’intenzione è irriducibile e segna la direzione verso un oggetto. E' una proprietà di

base della mente, uno stato mentale (come dice Husserl), un processo mentale

sinonimo di “evento di coscienza”. E' un primitivo su cui non è possibile fare

un’indagine logica. Tuttavia Searle non attua un’indagine della coscienza

analizza il comportamento umano verbale

fenomenoologico-trascendentale, ma

(enunciati linguistici) e non verbale (azioni pratiche). Vuole capire l’intenzionalità

non solo a livello psicologico e mentale ma anche a livello linguistico e

comportamentale, biologico e neurologico.

Quelli che per Brentano erano oggetti psichici, per Searle sono oggetti del mondo,

della realtà fenomenica: la direzionalità dell’intenzione è verso un oggetto fisico che

esiste realmente e non solo nella mente.

1 giovedì 30 novembre 2017

La riscoperta della mente

Elabora una teoria della coscienza nel 1992: e poi

La ricostruzione della realtà sociale

indaga la realtà sociale con del 95. E' sempre

costernato da problemi come la relazione mondo-mente-linguaggio , soggettiva,

naturale e sociale. Vuole assolutamente capire come i diversi elementi che

costituiscono il mondo si relazionano fra loro.

Critica radicalmente l’intelligenza artificiale, infatti secondo lui le macchine

possono manipolare sintatticamente simboli ma non possono interpretarli,

comprenderli o darne un significato. Solo il cervello è capace di interzionalità. Egli

stanza cinese.

argomenta tramite il Gedenkenexperiment della Il modello

computazionale non considera coscienza e intenzionalità, basi della mente. Non si

può trasformare contenuti mentali e semantici in prodotti formali e sintattici. I

fenomeni mentali sono fenomeni primaitivi profondi, reali quando quelli biologici. La

questione mente-corpo si risolve chiarendo che i fenomeni mentali sono tutto ciò

che accade all’interno della struttura fisica del cervello. Siamo così complessi da

non essere riducibile alla logica binaria e digitale. Spesso noi andiamo oltre alla

logica, abbiamo sfumature di grigio e non agiamo/pensiamo in bianco o nero.

Abbiamo una sofisticata vaghezza e siamo influenzati, come le nostre scelte

razionali, da stati cognitivi ed emotivi diversi, come desideri, credenze, il piacere.

Spesso i nostri piani intenzionali sono troppo “sfumati”, imprecisi, limitati. Così

fuzzy

sfuggono al meccanismo logico del sillogismo classico. Siamo dominati dalla

logic.

“Oxford anni 50, quale fu la sua educazione filosofica e quanto il suo

pensiero è stato influenzato dai maestri di Oxford?”

Arrivai ad Oxford a 19 anni; in America il livello filosofico era molto basso mentre ad

Oxford si era in piena età d’oro della “filosofia del linguaggio ordinario” , stimolata

dall’eredità del secondo Wittgenstein. Il primo impatto fu traumatico perchè non

riuscivo a comprendere la rilevanza filosofica e il senso dell’analisi del linguaggio

ordinario.

Per i filosofi analitici di Oxford l’obiettivo principale era quello di fornire un modello

di chiarezza e razionalità, lontano dalla metafisica. C’era assoluta cooperazione, per

un’impresa comune.

Austin era una figura dominante, la sua influenza era enorme, aveva argomentazioni

inattaccabili, incuteva timore e reverenza, non tollerava vaghezze o incertezza.

Lo stile filosofico appreso ad Oxford ha determinato il mio stesso procedere

argomentativo. Credo che in filosofia sia fondamentale proseguire in modo rigoroso,

passo a passo con un progetto preciso, senza pretendere di conoscere ciò che gli

altri non conoscono o di provare ciò che non è stato provato.

2 giovedì 30 novembre 2017

L’influenza di Wittgenstein ad Oxford determinava un orientamento

unilaterale ed omogeneo fra i filosofi o lasciava spazio anche a

critiche e posizioni divergenti?

Wittgenstein costituiva il predominio intellettuale ad Oxford, c’erano infatti persone

che addirittura “emulavano il maestro” costituendone eguali copie, come

Anscombe, McGuinness e Dummett. La Anscombe aveva assunto addirittura pure

la stessa camminata e atteggiamento.

Austin invece lo vedeva come un bersaglio critico, soprattutto per il suo fare oscuro,

Ricerche filosofiche.

contraddittorio, metaforico e impreciso, così come le sue

Austin prendeva tutto alla lettera in generale, ogni analisi filosofica doveva essere

letterale e precisa, dunque non coglieva e criticava le metafore e le sfumature del

linguaggio di Wittgenstein.

Dunque fu Austin ad influenzarla maggiormente?

I miei primi lavori in filosofia del linguaggio nascono dagli atti linguistici di Austin, ma

Strawson.

la figura ad Oxford che ha plasmato il mio modo di fare filosofia era Mi

ha insegnato a costruire un’argomentazione filosofica, ad insistere sui concetti con

precisione e chiarezza, a scrivere di filosofia. Fu lui a convincermi ad intraprendere

la filosofia come professione per poi diventare professore.

Perchè non è rimasto ad Oxford e ha deciso di tornare negli USA?

Per ragioni personali, perchè non volevo vivere in Inghilterra per sempre e perchè

non mi piaceva molto la filosofia europea. Forse avrei preferito la Francia ma la

filosofia francese mi appariva stupida, ridicola e disonesta. Sono intellettualmente

cresciuto in Inghilterra ma non mi sono mai sentito inglese e non volevo fare figli che

sarebbero diventati “englishmen” con un accento ridicolo. Sarei diventato il miglior

filosofo se fossi rimasto ad Oxford, ma io sono americano. Le università americane

degli anni 50 erano estremamente povere filosoficamente, se non per Carnap e

Quine. Oxford invece era stimolante, animata da dibattiti filosofici intensi e creativi.

Il mio tornare in America non fu ben visto ad Oxford ma Austin mi appoggiò e grazie

a lui andai a Berkeley in California. Qui il dipartimento di filosofia, inizialmente

inesistente, divenne fra i più prestigiosi degli USA, a seguito dell’arrivo di Kuhn,

Grice, Nagel e Cavell.

3 giovedì 30 novembre 2017

E' partito dalla filosofia del linguaggio per arrivare alla filosofia della

mente tramite un percorso unitario e coerente…

filosofia del linguaggio

I primi lavori riguardavano la e gli atti linguistici. Al contrario

di Wittgentein credevo fosse possibile elaborare una teoria generale degli atti

Atti linguistici

linguistici, che è quello che ho fatto in del 62. Sono partito da brillanti

intuizioni di Austin, che voleva scriverne un libro pure lui. Volevo fare

un’elaborazione sistematica e generale degli atti linguistici, affrontare il problema del

significato, la credenza, il desiderio, l’intenzione e l’azione intenzionale, su cui

volevo scrivere un libro.

In quel momento comincia ad affrontare uno dei punti deboli della filosofia di

filosofia della mente,

Oxford: la e oltre a questo pure il problema dell’etica. Sulla

filosofia della mente c’erano solo annotazioni sparse di Wittgenstein e Ryle, tuttavia

nessuno pensava ad una teoria generale dell’intenzionalità. Ci ho messo 10 anni a

scrivere un libro sull’intenzionalità. Sapevo che una teoria dell’intenzionalità era

implicita nella teoria degli atti linguistici:

- La struttura dell’atto linguistico è data dal contenuto proposizionale

- ad uno stato proposizionale corrisponde uno stato psicologico

- la forza illocutoria rispecchia la struttura della mente.

Le stesse nozioni che avevo elaborato in filosofia del linguaggio potevano essere

L’atto

usate anche in filosofia della mente (soddisfazione, adattamento..).

linguistico è la base per indagare l’intenzione. Così sono giunto alla teoria

dell’intenzionalità. Poi ho compreso che una volta che abbiamo una teoria degli atti

linguistici e una teoria dell’intenzionalità, abbiamo tutti gli strumenti per sviluppare

una teoria della realtà sociale. Il problema è, in che modo l’intenzionalità collettiva,

per mezzo del linguaggio, giunge alla creazione di una realtà istituzionale, la realtà

del denaro, della proprietà, del matrimonio, dei governi e della politica? Ho cercato

La costruzione della realtà sociale

di rispondere a queste domande in (95).

Riguardo alla critica sulla riproduzione artificiale della mente…

Il dibattito sulla filosofia della mente non è per me interessante perchè il livello

intellettuale è molto più basso rispetto alla filosofia del linguaggio. Quando mi

confronto con filosofi come Kripke, Kaplan o Burge è una cosa stimolante,

interessante anche quando le posizioni sono opposte e il dibattito filosofico risulta

sempre d’alto livello. Con la filosofia della mente è diverso, infatti molti sono famosi

senza aver concretamente contribuito in modo scientifico alla comprensione dei

fenomeni mentali.

4 giovedì 30 novembre 2017

La pretesa dell’intelligenza artificiale forte e del funzionalismo di risolverei dualismo

cartesiano riducendo gli stati mentali ad un problema computazionale è

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A.A. 2017-2018
8 pagine
SSD Scienze matematiche e informatiche INF/01 Informatica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher 30elodee di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Intelligenza artificiale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Ghislandi Patrizia Maria Margherita.