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SONNO NELL’ANZIANO

Anche nell’invecchiamento ci sono modificazioni che richiamano caratteristiche di quelle che abbiamo visto

nel primo sviluppo, ma ovviamente hanno un significato diverso.

L’invecchiamento va a influenzare:

1)modificazioni struttura interna e organizzazione del sonno

2)modificazioni della distribuzione del sonno nelle 24h

3)va a peggiorare la qualità del sonno, intesa sia in termini oggettivi che soggettivi

Le modificazioni riguardano anche le caratteristiche dell’attività elettrica cerebrale e le possiamo trovare

anche durante la veglia. Ad esempio possiamo trovare l’attività “delta transitoria benigna” che è un attività

lenta rilevata nella regione temporale sinistra. L’1% del tracciato superati i 60 anni può mostrare questa

attività lenta.

Se il soggetto è in veglia rilassata(ritmo alfa 8-12 HZ), diminuisce la frequenza ma anche l’ampiezza.

Inoltre diminuisce la ripartizione spaziale della produzione di questa attività elettrica cerebrale. Ad esempio

sappiamo che il ritmo alfa è soprattutto prodotto dalle regioni occipitali, questa differenziazione spaziale del

giovane adulto, inizia un po’ a sgretolarsi nell’anziano. Se osserviamo i risultati degli studi che hanno usato

i PE vediamo che soprattutto nelle componenti tardive appare un ritardo e una diminuzione dell’ampiezza.

C’è quindi una modificazione globale dell’attività elettrica cerebrale che riguarda sia la veglia che il sonno.

Modificazioni del sonno

All’interno del sonno NREM ci sono modificazioni:

della qualità: meno fusi e complessi k nello stadio 2. Quindi morfologia di stadio2 più povera, pur

rimanendo l’attività theta;

 della quantità: sebbene questa morfologia sia più povera, lo stadio 2 aumenta nell’anziano, come anche

lo stadio 1. Vuol dire che produce più sonno leggero rispetto al giovane adulto.

Altre modificazioni riguardano lo stadio 3-4 (sonno a onde lente), sono modificazioni diverse a seconda del

criterio che utilizzo per identificare questo tipo di sonno.

Sapete che le onde delta hanno criteri di ampiezza e di frequenza (hanno ampiezza superiore ai 75mV e

frequenza compresa tra gli 0,5 e i 3 Hz).

Se si utilizza l’ampiezza e la frequenza, nell’anziano ottengo una quantità inferiore di sonno a onde lente

rispetto al giovane adulto,

Altri ricercatori, hanno evidenziato che in realtà le modificazioni del SWS non fossero tanto nella capacità di

produrre questo tipo di sonno ma di produrre onde lente sufficientemente ampie. Infatti se vado ad

applicare solo il criterio della frequenza per identificare il sonno ad onde lente non osservo alcuna

differenza quantitativa del sonno a onde lente. La principale modificazione riguarda L’AMPIEZZA delle

onde lente.

Distribuzione degli stati nel corso della notte

Il sonno a onde lente è concentrato nella prima parte dell’episodio e va a diminuire nella seconda,

nell’anziano viene invece distribuito in modo più uniforme. Non c’è differenziazione tra prima e seconda

parte del sonno.

Questa modificazione ha fatto ipotizzare che nel soggetto anziano sia:

A)alterato il processo S correlato al sonno a onde lente. A questa riduzione di SWS potrebbe anche

esser correlato il numero maggiore dei risvegli (soprattutto durante la prima parte della notte).

Ma questa prima ipotesi sembra sbagliata: sono stati fatti anche studi in cui è stato chiesto di dormire il

pomeriggio, cioè attenuare il processo S, effettivamente quando i soggetti dormono il pomeriggio

diminuisce il SWS di notte.

B)oppure questa diminuzione di sonno a onde lente potrebbe derivare dalla riduzione del soggetto

anziano di produrre onde di elevata ampiezza, e di sostenere un certo stato comportamentale a

lungo.

Un’ipotesi più probabile è che il soggetto anziano presenti una relativa inconsistenza del SNC che si

traduce nell’incapacità di mantenere per tempo prolungato le stesse attività. Quindi anche il fatto che ci sia

un frequente passaggio da uno stato di sonno all’altro (INCERTEZZA FUNZIONALE ).

Recentemente è stato pubblicato uno studio in cui sono stati analizzati gli episodi di sonno di soggetti

anziani di età compresa tra i 65 e 85 anni, confrontati con giovani adulti di età tra 22 e 32 anni per vedere

se ci fossero differenze in alcuni parametri che potrebbero essere espressione di questa incertezza

funzionale ipotizzata nell’anziano. Si è osservato che ci sono differenze significative per quanto riguarda:

- i risvegli e gli arousal (attivazioni molto bevi) più frequenti negli anziani,

-tempo totale di sonno è minore negli anziani rispetto ai giovani (384 vs 455 minuti),

- l’actual sleep time, cioè l’effettivo tempo di sonno va a esser ridotto,

- la latenza di addormentamento non differisce

- stadio 1 e 2 che aumentano nell’anziano,

- il SOL qui non differisce perché è stato usato solo il criterio della frequenza e non dell’ampiezza,

- mancanza di differenza della % di sonno REM,

- riduzione sleep efficacy che rappresenta quanto è stato in grado il soggetto di produrre sonno rispetto al

tempo di letto

- l’organizzazione del sonno significativamente diverso tra giovani e anziani:

-numero dei cicli (3,4 vs 5),

-il tempo totale trascorso in cicli (191 vs 333 minuti).

-la durata media dei cicli (49 vs 73 minuti).

Conclusioni: Nel soggetto anziano viene confermata quell’incertezza funzionale che si traduce in una

incapacità di mantenere per periodi prolungato un certo stato di sonno, ma anche una modificazione del

sonno che porta a produrre più sonno leggero. Questo vuol dire che il sonno dell’anziano è più sensibile al

risveglio.

Questa incertezza funzionale è maggiormente rappresentata dai risvegli, dalle transizioni tra uno stato e

l’altro, dalla diminuzione del tempo totale trascorso in cicli, ciò vuol dire che il sonno è meno organizzato.

Modificazioni sonno REM

La questione trova anche delle discordanze, non tutti gli autori riportano risultati analoghi:

• non riportano una modificazione quantitativa,

• riportano una diminuzione significativa e sarebbe presente una riduzione dal 20 al 16 % del tempo

totale di sonno,

• evidenziano una riduzione solo nei soggetti affetti da demenza o malattia di Alzheimer: se vado a

vedere la percentuale del sonno REM su quella totale di sonno osservo una riduzione o una leggera

tendenza di diminuzione del sonno REM sul tempo totale di sonno 8ciò è stato notato anche in

soggetti con depressione).

Modificazioni su aspetti più specifici del sonno REM

• alcuni autori hanno riportato una diminuzione della durata media degli episodi di REM, quindi quando il

soggetto va in REM ci sta meno rispetto al giovane,

• aumento della durata del primo episodio REM: diversa distribuzione nel corso dell’episodio di sonno,

• riduzione della latenza REM,

• frequenti intrusioni di veglia e di stadio 2,

• riduzione della densità dei REMs dal 13% al 7%. In soggetti di età > 75 anni, sono anche meno

raggruppati in salve,

• differenza EEG: ha una frequenza minore rispetto a quella del giovane. Vuol dire che sia il beta che il

theta hanno frequenze inferiori a quelle del giovane adulto.

Modificazioni globali dell’organizzazione ritmi sonno veglia:

a) Il sonno dell’anziano è caratterizzato da più risvegli e tempo totale maggiore trascorso in veglia,

questo va a discapito dell’efficienza del sonno, che si riduce. Altra cosa riportata, è una diminuzione del

tempo totale di sonno. Va precisato tempo totale di sonno notturno. Perché bisogna tenere di conto che il

soggetto anziano ha più probabilità di addormentarsi di giorno. Quindi quando vado a sommare tutti gli

episodi di sonno nelle 24 ore è molto probabile non trovare differenze significative (dire che il soggetto

anziano dorme meno è fuorviante perché dorme di meno di notte ma poi magari recupera quel tempo

durante il giorno).

Sicuramente è tempo di sonno organizzato diversamente dove per esempio osservo un numero inferiore

di cicli e un minor tempo totale trascorso in cicli e anche un maggior tempo totale trascorso a letto,

potrebbe contribuire a diminuire l’efficienza di sonno perché tanto più tempo trascorro a letto tanto meno

poi dormo,tanto minore sarà la mia efficienza di sonno;

b) Anticipazione orario di addormentamento e di risveglio=>ANTICIPO DI FASE (si osserva per il ritmo

sonno veglia ma anche della temperatura);

c) La quantità di risvegli che aumenta. Cosa che succede anche nel primo sonno;

d) La distribuzione temporale dei risvegli durante l’episodio di sonno:

I giovani si svegliano molto di più nella seconda parte della notte perché il soggetto giovane nella prima

parte della notte produce molto SOL. Nell’anziano, questa cosa non è più evidente perché sappiamo che il

SOL nell’anziano è distribuito in modo uniforme, quindi anche i risvegli sono più uniformemente distribuiti.

NELL’ANZIANO non ci sono solo più risvegli ma sono anche più lunghi, quindi ha difficoltà a

riaddormentarsi;

e) Bisogna tener presente che tutti questi cambiamenti si verificano in misura inferiore in quei soggetti che

presentano INVECCHIAMENTO OTTIMALE;

f) La modificazione del ritmo sonno veglia si traduce anche in una maggiore probabilità di dormire durante il

giorno, questo come conseguenza ha il fatto che l’anziano presenta un ritmo polifasico . I sonnellini diurni

dell’anziano sono associati anche a una maggior sonnolenza diurna che esprime la difficoltà da parte del

soggetto anziano di mantenere per periodi prolungati lo stato di veglia.

Però per quanto riguarda il fattore età e quindi l’invecchiamento bisogna anche tener presente che questa

propensione al sonno durante il giorno potrebbe esser legata a fattori ambientali.

Sonnellini diurni.

“sono utili”?

NO SE i sonnellini sono molto frequenti, di lunga durata e non pianificati ( si associa a conseguenze

negative per l’anziano);

SI SE i sonnellini sono brevi e pianificati (es. anziano che dorme dopo pranzo) non è detto che non possa

essere benefico.

E’ stato anche visto che l’associazione tra sonnellino e attività fisica moderata contribuisce ad aumentare la

qualità del sonno notturno e a diminuire la sonnolenza diurna.

L’effetto del sonnellino diurno sulle capacità mnestiche è stato riscontrato sia nel nel giovane adulto che

nell’anziano (infatti brevi sonnellini facilitano la memorizzazione di materiale verbale e altri tipi di memoria).

Tra

Dettagli
A.A. 2017-2018
4 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/02 Psicobiologia e psicologia fisiologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher JulieDeCorrencon di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia del sonno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Giganti Fiorenza.