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PARTE PRIMA LA PARTECIPAZIONE GIOVANILE: TEORIE E MODELLI INTERPRETATIVI
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CAP. 1 I GIOVANI NELLA RICERCA SOCIALE Anni 80-90: giovani tra leisure e disimpegno
Le prime ricerche italiane sui giovani, dagli anni 80 fino alla seconda metà degli anni 90, hanno
fornito un quadro della generazione giovanile caratterizzata da forme di socialità ristretta, cioè
occasioni di relazionalità sempre più circoscritte e autoreferenziali, e da una fruizione dei beni di
consumo anche non essenziali. La partecipazione del soggetto risulta fortemente condizionata dalle
reali possibilità che il contesto offre in termini di opportunità di conseguire uno status diverso da
quello familiare, soprattutto nel caso dei giovani appartenenti alle classi sociali inferiori e in
particolare dei giovani residenti nel mezzogiorno. Le principali differenze nei comportamenti si
registrano soprattutto in relazione al genere. In particolare, le donne preferiscono trascorrere il tempo
libero leggendo o fruendo di altri consumi culturali, mentre gli uomini si dedicano soprattutto allo
sport e ascoltano musica. Dai risultati emerge anche come i media influenzano di fatto i consumi
culturali dei giovani; nello specifico si evidenzia una forte correlazione tra tipi di consumo culturale e
lettura dei quotidiani. Chi legge molto fruisce infatti di consumi con un alto contenuto culturale,
mentre chi legge poco presenta un consumo culturale più leggero. La stessa cosa non vale però per
l'esposizione alla tv, dal momento che si registra un consumo selettivo dell’apparecchio televisivo
così come un orientamento indirizzato all'informazione e all'apprendimento e non soltanto
all'intrattenimento e allo svago. A prevalere dunque in questi anni è un modello deterministico che
considera le scelte partecipative dei giovani come fortemente influenzate dalle categorie scritte,
dall'eredità culturale ed economica e dalle reali possibilità di consumo a disposizione degli stessi
giovani. la consapevolezza e l’ambivalenza
Gli anni 90-2000:
Per quanto riguarda il decennio compreso tra gli anni 90 e il 2000, si registra un cambiamento
strutturale della condizione giovanile e una difficoltà crescente ad assumere il ruolo di "adulto". Le
indagini in questi anni continuano a rilevare persistenti disuguaglianze nell'accesso dei giovani alle
opportunità formative ed educative, in conseguenza di fattori prevalentemente ascritti come lo status,
il reddito e il capitale culturale familiare. A incidere è anche il territorio, per cui la partecipazione dei
giovani dipende anche dalla disponibilità e dalle differenze di opportunità presenti tra Nord e sud. Il
rapporto IARD pone inoltre attenzione in questi anni allo stile partecipativo dei giovani italiani
caratterizzato da due fattori: l’assiduità e la membership. In questo senso, sono soprattutto le
associazioni religiose a sviluppare più attivismo da parte dei giovani, a scapito delle associazioni
politiche dove si registra invece un forte calo della partecipazione giovanile. Rispetto a indagini
precedenti, dunque, i giovani durante questo decennio sembrano fruire in quantità minore dei
prodotti culturali cosiddetti persuasivi (quali la radio, la tv e quotidiani), consumando invece in
maniera più autonoma e meno condizionata dai valori simbolici della famiglia. Ad una socialità
ristretta si contrappone inoltre ora una intimità svelata e allargata, per mezzo delle nuove forme di
comunicazione virtuale offerte dalla rete. L'ultimo rapporto IARD evidenzia inoltre come le nuove
generazioni tendono ad avvalersi di riferimenti forti come la famiglia e gli amici sul piano della
trattazione teorica di valori fondanti e genericamente condivisi, ma al tempo stesso accettino anche
comportamenti trasgressivi. Il bisogno di essere riconosciuti come parte di un gruppo, di appartenere
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a una rete di cambio stabile si scontra dunque con il bisogno altrettanto forte di distinguersi dalla
massa e riconoscere la propria indipendenza.
I giorni nostri: giovani che partecipano “diversamente”
Nel sesto rapporto IARD si evidenzia come, a fronte di una generale sfiducia nei confronti delle
istituzioni e di una difficoltà a progettare percorsi futuri da parte dei giovani italiani, emerge invece
un’importanza sempre maggiore attribuita al tempo libero e alle relazioni amicali. Il modello di tipo
deterministico, che interpreta la partecipazione dei giovani come profondamente legata alle variabili
ascritte del soggetto, comincia pertanto ad essere soppiantato da un modello di partecipazione di
tipo relazionale, incentrato sulle relazioni sociali a disposizione del soggetto. In questi anni inoltre i
giovani si mostrano sempre più autonomi, indipendenti e consapevoli del proprio tempo per
partecipare. In tal senso, la fruizione delle opportunità extra scolastiche diventa per i giovani
espressione di un bisogno personale, soggettivo, di un tempo per sé che permette agli adolescenti
di liberarsi dal controllo formale dei genitori. Questo in particolare emerge nella ricerca più recente
sui giovani italiani condotta da Besozzi, analizzando le scelte partecipative di un campione di 1200
giovani. Nell'indagine emergono inoltre differenze significative, oltre che tra generi e indirizzi
scolastici, anche tra territori. Tra i diversi comuni analizzati si evidenziano infatti differenze
significative rispetto alla partecipazione verso gli eventi culturali medio alti come musei e mostre
d'arte, biblioteche e manifestazioni culturali. Si evidenzia inoltre come la bassa partecipazione dei
giovani non sia associata esclusivamente a status sociali inferiori, anzi in questi ultimi la
partecipazione associativa risulta addirittura maggiore. Questo significa che non è possibile
sostenere a priori che vi sia una corrispondenza tra alto e basso status e scelte di partecipazione e
non partecipazione. È infatti un insieme di fattori, strutturali e contestuali, oltre che soggettivi, che
agisce nell’influenzare le scelte partecipative dei giovani. 2
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CAP. 2 I GIOVANI E LA PARTECIPAZIONE
Il contributo della psicologia all’interpretazione dell’azione partecipativa
Non esiste una vera e propria psicologia della partecipazione né una teoria unitaria in grado di fornire
un modello di analisi dei processi psicologici sottostanti la partecipazione. Si è cercato comunque di
individuare motivazioni e fattori in grado di promuovere o inibire l'azione partecipativa. Nell'ambito
della letteratura scientifica di derivazione anglosassone viene largamente utilizzata l'espressione
community participation che indica le forme endogene di partecipazione sviluppate su basi locali e
che concorrono alle scelte di interesse collettivo. La community participation si lega inoltre alla
community development che indica i modelli e le pratiche che spiegano l'autonomia delle comunità
locali in relazione alla massimizzazione delle risorse interne. È possibile inoltre distinguere un senso
forte e un senso debole della partecipazione. Nel primo caso, la partecipazione richiede un intervento
nel governo della collettività, mentre nel secondo caso la partecipazione si manifesta nell'adesione
alle attività di un gruppo. La relazione tra partecipazione e comunità si pone inoltre su due livelli: uno
soggettivo e l'altro oggettivo. Sul piano soggettivo, la partecipazione è alla base del senso di
appartenenza ad una comunità, ai suoi valori e ai suoi obiettivi. Sul piano oggettivo invece la
partecipazione si lega all'interpretazione dei vincoli e delle risorse che i singoli contesti mettono a
disposizione. Nell'ambito della ricerca psicologica, la partecipazione vista come "processo del fare"
è stata per molto tempo trascurata a favore dell'interesse per lo studio dei processi cognitivi. Un
contributo importante, in tal senso, è offerto da Parsons il quale considera l'azione un processo socio
cognitivo guidato dall'intenzionalità dell'individuo che definisce il suo comportamento in relazione a
specifici obiettivi.
Le tante forme della partecipazione
Le tipologie della partecipazione possono essere distinte in relazione all'origine della formazione e
della funzione del gruppo coinvolto nell'azione e quindi al tipo di reclutamento. A tal proposito si
distinguono forme di partecipazione "di fatto", "spontanee", "volontarie" e “provocate". La
partecipazione "di fatto" interessa gruppi spontanei come quello familiare o religioso. In questo caso
la partecipazione serve a rafforzare i costumi e le tradizioni mentre il tipo di reclutamento è non
volontario. La partecipazione "spontanea" è invece volontaria e comprende persone che condividono
interessi, obiettivi ecc. La sua funzione è quella di soddisfare i bisogni emotivi e sociali. La
partecipazione "volontaria" riunisce anch’essa gruppi che hanno interessi in comune, in questo caso
però la sua funzione è quella di soddisfare bisogni di adattamento o resistenza ai mutamenti sociali
(ad esempio gruppi sindacali, partiti politici ecc.). Infine, la partecipazione "provocata" è stimolata da
un attore esterno al gruppo che lo sollecita ad autorganizzarsi. In questo caso la funzione principale
della partecipazione è vincolata al mutamento sociale. Un'altra distinzione della partecipazione è
quella tra partecipazione intesa come strumento per raggiungere un fine e partecipazione come fine
in sé, come valore. La prima produce benefici estrinseci di tutela di specifici interessi e utilità, mentre
la seconda produce benefici intrinseci che derivano dalla condivisione di una comune appartenenza.
Perché si partecipa?
Secondo alcuni autori, la tendenza a manifestare comportamenti di partecipazione sociale è dovuta
a delle variabili psicologiche quali ad esempio il locus of control, l'auto efficacia e l'orientamento
culturale distinto in individualista-collettivista, mentre per altri autori dipende soprattutto da fattori
contestuali, quali il senso di appartenenza a una comunità, la percezione della situazione in termini
di bisogni e problemi e un senso di autoefficacia sufficientemente elevato da ritenere di essere in
grado di raggiungere l'obiettivo desiderato. Sul piano degli affetti a livello individuale, la
partecipazione contribuisce al benessere psicosociale delle persone, mentre sul piano collettivo, la
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partecipazione rappresenta la base dei processi di community develpoment, ossia l'insieme di azioni
messe in campo attraverso la cooperazione e il reciproco aiuto degli individui, volte a migliorare le
condizioni ambientali, sociali ed economiche di un contesto locale. Non sempre però la
partecipazione produce effetti positivi, talvolta infatti può causa