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IL GIOCO DELLA CULTURA di S. Piccone Stella e L. Palmieri

PARTE PRIMA – LE PROSPETTIVE

CAP. 1 – IL CROCEVIA DELLA CULTURA

La cultura si presenta inizialmente come la conquista o l'attributo di un singolo individuo. La parola deriva etimologicamente dal verbo latino colere e alludeva originariamente all'azione di chi coltivava la terra o tutt’al più la mente. Il termine culturale passa poi designare non più un solo soggetto ma la collettività. La riflessione storica dà origine in questo periodo al termine "civiltà" riferita a un'intera nazione e a un intero popolo, ragion per cui la cultura non rappresenta più un fatto individuale bensì collettivo. Nel momento in cui si parla di civiltà entrano in scena anche l'autoriflessione e il pensiero critico: la civiltà occidentale, non appena viene percepita come tale dai pensatori, comincia a vedere se stessa come una civiltà tra le altre. Da una cultura o dalla civiltà di un solo popolo si passa così alle molte culture dei diversi popoli, soprattutto in seguito ad avvenimenti globalizzanti come le traversate transoceaniche, le esplorazioni e l'ingresso di nuovi paesi come l'America, la Cina e l'Oriente nella geografia mondiale. A rafforzare l'idea che non esistesse una civiltà sola, ma tante culture e individualità diverse, contribui poi la polemica di alcuni studiosi tedeschi nei confronti del termine francese civilization, ritenuto troppo astratto e unilineare. Proprio a questi filosofi tedeschi si ispira l'antropologo inglese Eward Burnett Tylor, il primo a formulare in maniera sistematica il concetto di cultura, alla fine dell'ottocento. Ora l'antropologia si apre inoltre a un nuovo capitolo: la cultura non riguarda più solo il sapere ma l’intero modo di vivere.

di cultura rientrano dunque, a partire da questo momento, una serie di elementi prima del tutto estranei come gli usi, le abitudini, gli oggetti della vita quotidiana, i prodotti materiali. Intorno alla metà degli anni 50 del novecento, gli studiosi inglesi di storia e critica letteraria che hanno formato la scuola dei Cultural Studies britannici trassero dall’antropologia l’espressione a whole way of life, collegando in questo modo sul piano epistemologico il campo letterario e le scienze sociali. Ci si rese infatti conto che bisognava disfarsi della vocazione elitaria intrinseca alla tradizione umanistica poiché i grandi fatti politici ed economici dell’epoca moderna, la modalità capitalistica di produzione e l’idea sempre più estesa di democrazia stavano trasformando il rapporto tra la cultura e il suo pubblico.

I contenuti

Secondo la definizione di Tylor la cultura è composta da conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costume e da qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società. Il fatto che gli antropologi siano fermamente intenzionati a separare la cultura in primo luogo dalla natura (cioè da ciò che viene biologicamente trasmesso agli esseri umani) spiega il motivo per cui essi tendano a includere nella cultura tutti i prodotti umani, quindi l’intera sfera del sociale. Dopo mercato eterogeneo in cui la società la cultura sono visti come un tutt’uno nel corso del novecento è stato sottoposto a un processo di depurazione, frutto principalmente del lavoro teorico di Talcott Parsons. Questo processo ha inoltre fatto sì che i contenuti della cultura diventassero più nitidi e che venissero riassunti in alcuni elementi quali le norme, i valori, le credenze e i simboli. Le norme in particolare includono le convenzioni condivise, i criteri di giudizio riguardanti i comportamenti

codice linguistico non sia sufficiente a conferire anche la padronanza degli usi appropriati.

L'impegno dei sociologi nel periodo successivo al funzionalismo di Parsons ha cercato di superare l'antinomia fra sistemazione, equilibrio di cambiamento, riproduzione del consenso e trasformazione sociale. A questo proposito, lo studio più convincente è stato quello di Giddens, che verso la fine degli anni 70 ha proposto il suo concetto di "strutturazione": Giddens fa riferimento alla pratica sociale e soprattutto all’agency, cioè all'azione umana. Le strutture della società, a suo giudizio, sono caratterizzate da una doppia proprietà che le permette di influenzare da un lato l'azione dei soggetti (le pratiche), dall'altro permette invece ai soggetti di reagire a quelle stesse azioni. L'individuo dunque non è bloccato ma può anche reagire. L'obiettivo di Giddens in sostanza è quello di consentire il concetto di cambiamento sociale sul piano teorico, indicando i passaggi che permettono di cogliere non soltanto la durezza della struttura ma anche la sua elasticità. Giddens riprende poi il concetto di habitus di Bourdieu, affermando che esso, cioè le strutture oggettive, sono esse stesse il prodotto di pratiche storiche, da quest'ultime costantemente riprodotte e trasformate. Per Bourdieu, l'habitus rappresenta un insieme di disposizioni acquisite dall'attore attraverso il tempo e il confronto con i condizionamenti e le pratiche storiche già sedimentate. L'habitus è inoltre la matrice di ogni routine e di tutto il sapere tacito e indiscusso che Bourdieu definisce doxa. Il fatto che Bourdieu insista sulla potenza dell'habitus, cioè sull'introiezione delle pratiche e sulla potenza della doxa, cioè sulla loro trasformazione in una seconda natura, sembra impedire ogni cambiamento e limitarsi soltanto alla riproduzione di ciò che già esiste. È stato in tal senso accusato di essere il sociologo della riproduzione e non dell'innovazione. Questa accusa non è

politica di cambiamento e il suo interesse per la cultura popolare.

Cultura-culture

Solitamente si parla di "cultura dei giovani", "cultura urbana", "cultura etnica", così come di "cultura italiana", "cultura francese" ecc., per alludere a gruppi sociali categorie di persone contraddistinte da proprie abitudini, modi di esprimersi e stili di vita. Il termine “culture” al plurale è un'espressione che affianca lo sviluppo creativo della società e che si moltiplica man mano che l'esperienza sociale si differenzia e si diffonde. La Cultura al singolare, invece, si riferisce sempre in contrasto con qualcosa che non è cultura, come la politica, l'economia o la finanza. Attraverso questa distinzione è possibile tracciare il confine tra una forza sociale pervasiva e impalpabile, la Cultura, e le sue manifestazioni singole. In particolare, l'antropologia studia la cultura come se fosse un tutt'uno con la società, e concepisce in maniera egualmente globale e con lo stesso termine le culture locali e particolari che costituiscono il suo terreno di ricerca abituale.

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CAP. 2 – LO SGUARDO ANTROPOLOGICO, LO SGUARDO SOCIOLOGICO

Il percorso che l'antropologia e la sociologia hanno seguito nel definire il concetto di cultura è caratterizzato sia da alcuni punti di incontro che da alcune divergenze. La definizione di cultura formulata da Edwar Burnett Tylor nel 1871 era stata fatta propria dall'antropologia e si era mantenuta identica anche nei cinquant'anni successivi. Gli oggetti di studio dell'antropologia erano sostanzialmente le società primitive e la loro cultura. La sociologia, anch'essa

quello ideale. Il relativismo culturale si oppone però a questa concezione, condannando qualsiasi giudizio di superiorità o inferiorità e promuovendo la pari dignità di tutte le culture. A questo proposito, gli esponenti del relativismo culturale sottolineano come gli uomini possano concepire l'esistenza di altre civiltà diverse dalla propria; allo stesso tempo, però, risulta difficile apprezzarne i valori non essendo abituati alla sua influenza. Per riconoscere l'uguaglianza e la pari dignità delle altre culture occorre dunque, a detta di questi esponenti, molta tolleranza. Il relativismo culturale ha in questo senso dato vita a un dibattito lungo e animato, dove i suoi stessi sostenitori hanno precisato che la tolleranza auspicata dovesse comunque essere regolata da precisi limiti e criteri. In questa direzione si muove ad esempio Geertz, a proposito del problema epistemologico ed etico implicito

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in alcune impostazioni relativiste, come quella di Ruth Benedict che, nel suo libro Modelli di cultura, arriva ad affermare che tutto ciò che un gruppo sia incline a fare debba essere considerato degno di rispetto da parte di un altro gruppo. Diventa dunque necessario distinguere tra relativismo metodologico e relativismo etico. Il primo si tratta di un principio guida che permette di osservare descrivere oggettivamente, senza pregiudizi, culture diverse, in base al quale il comportamento degli individui appartenenti a una determinata comunità va spiegato in rapporto al sistema di valori riconosciuto da questa. Fino a quando la ricerca e l'osservazione sono in atto giudizi di valore non vengono ammessi; solo indagine conclusa è possibile analizzare criticamente pratiche culturali ritenute barbare e incivili, che

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
114 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ta-ty di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Scardigno Fausta.