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RELAZIONI FIDUCIARIE E CAPITALE SOCIALE

Secondo l’approccio sistematico, la FIDUCIA è la corrispondenza tra

l’aspettativa del soggetto e il comportamento del suo interlocutore.

Secondo Simmel, la FIDUCIA è uno stadio intermedio tra conoscenza

e ignoranza. Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi

non sa affatto non può fidarsi. Un’eccezione è la fede, che si pone

aldilà di conoscenza e ignoranza. L’oggettivazione della cultura

moderna non richiede più una conoscenza personale, basta

conoscere elementi necessari per soddisfare incertezze, non

riguarda più qualità personali. Nelle società complesse le relazioni

fiduciarie sono difficilmente riproducibili, quindi più che riporre

fiducia (che implica la possibilità di scegliere) è necessario

confidare.

Seguendo lo schema proposto da Sztompka è possibile individuare

diversi livelli di fiducia che dal generale arrivano al particolare:

FIDUCIA GENERALIZZATA: riposta nel sistema in quanto tale

1. FIDUCIA PER SEGMENTI: imposta in singoli elementi della

2. società (sanità, giustizia)

FIDUCIA DI TIPO TECNOLOGICO: verso i sistemi di sapere

3. FIDUCIA PUBBLICA: rivolta alle organizzazioni concrete (polizia,

4. ospedali)

FIDUCIA NELLE POSIZIONI: rivolta a specifiche figure

5. professionali (medici, avvocati, ingegneri)

FIDUCIA PERSONALE: rivolta a singole persone, con la quale si

6. instaura un legame diretto o, anche, di eminenti personalità

pubbliche alle quali si riconoscono doti particolari quali, per

esempio, il carisma.

FIDUCIA COMMERCIALE : riferita ai rapporti tra consumatori e

7. produttori.

Le relazioni fiduciarie focalizzate però si allacciano a quelle

generalizzate attraverso i

DIFFUSORI DELLA FIDUCIA: si tratta di mediatori sociali che

creano canali di collegamento tra reticoli sociali diversi, che

favoriscono l’accumulazione allargata del capitale sociale.

Lo stesso Coleman non si sottrae dall’individuare degli intermediari

della fiducia. Si tratta di figure che rappresentano gli anelli di

congiunzione tra gruppi diversi di persone appartenenti al più

ampio aggregato sociale (consiglieri, garanti e imprenditori. I primi

sono quelli che assolvono alla funzione di consigliare gli attori in

gioco; questi hanno tutto l’interesse a mantenere inalterato il

rapporto di fiducia, onde evitare di dover mettere in gioco la propria

reputazione. I garanti che, esponendosi in prima persona, rischiano

di perdere risorse proprie. E, infine, gli imprenditori che si

propongono come intermediari negli affari in cui occorre mettere

insieme più attori,. Anche in questo caso gli intermediari non hanno

alcun interesse ha incrinare la relazione fiduciaria). Il capitale

sociale, come altre forme di capitale, è produttivo, ed è contenuto

nella struttura delle relazioni tra le persone, non si trova nei singoli

individui, è un concetto situazionale e dinamico (cambia ogni volta

che le persone modificano le loro relazioni).

Per Putnam il capitale sociale è un fenomeno attraverso cui la

fiducia, le norme di convivenza, le organizzazioni, sono finalizzati a

potenziare l’efficienza dell’organizzazione politico-istituzionale

grazie alla cooperazione spontanea. Per Putnam c’è però un

determinismo culturale per il capitale sociale dal quale è difficile

individuare una via di fuga (capitale sociale nord-sud clientelismo).

Tuttavia Putnam ha una visione statica del capitale sociale, evidente

nella descrizione del Sud, in cui tralascia la fitta rete di relazioni

sociali tra individui, che hanno saputo proporsi come strumenti di

partecipazione collettiva.

LA SOCIETA DEI CONSUMI

Con il passaggio dal fordismo al post-fordismo si passa ad un

consumerismo di massa, in cui il lavoro perde la sua funzione

regolatrice, ambiente in cui si sviluppano relazioni sociali, si passa

da lavoratore! consumatore, a consumatore/lavoratore.

Già Smith parla di consumo produttivo e improduttivo. Egli valuta

produttivo quella forma di consumo necessario alla sussistenza

stessa delle persone che contribuiscono alla riproduzione dei cicli

economici, mentre considera improduttivo quel consumo adottato

da coloro che non concorrono alla formazione di quello che Marx,

successivamente, avrebbe definito surplus, siano essi lavoratori che

consumano più di quanto sia strettamente necessario alla propria

sopravvivenza, sia il consumo perpetrato dalla classe dei proprietari

terrieri e dei capitalisti.

Secondo Say è l’offerta a generare la domanda. Per Ricardo, come

per Smith, il consumo improduttivo è inutile, per Malthus invece è

fondamentale per lo sviluppo, il consumo dei beni voluttuari evita la

sovrapproduzione permanente. Marx invece si discosta dalla legge

di Say perché vendita e compera sono separate nello spazio e nel

tempo, ciò può generare sovrapproduzione e crisi. La crisi può

anche essere dovuta alla caduta tendenziale del saggio di profitto e

dalla crisi di realizzo (incapacità di vendere merce al suo valore o

sottoconsumo). Il consumo diventa oggetto di studio a sé alla fine

dell’800, con la rivoluzione marginalista.

Essa si basa sul principio di utilità marginale, sulla LEGGE DI

GOSSEN: per la quale la soddisfazione (o utilità) tenderà a

diminuire ogni qualvolta si usufruirà di una dose aggiuntiva dello

stesso bene (utilità decrescente). Ciò presuppone l’esistenza di un

consumatore razionale e la validità del postulato di non sazietà e

della transitività delle preferenze. È Keynes che avvierà una vera

rivoluzione, sostiene che non è l’offerta a generare la domanda, ma

la domanda genera l’offerta. A differenza dei marginalisti, Keynes

considera diversi fattori: composizione familiare, le aspettative

future, e soprattutto il reddito. Non c’è per lui alla crescita del

reddito una crescita direttamente proporzionale dei consumi, poiché

aumenta il livello di soddisfazione e quindi la quota destinata al

risparmio.

L’antropologia dà un grande contributo nella comprensione

del’agire di consumo. Nelle società arcaiche le prestazioni

economiche sono prestazioni totali. La motivazione reale del

movimento di beni è infatti lo scambio sociale. Ogni oggetto

possiede una parte dell’anima del donatore, quindi la necessità di

ricambiare è un obbligo morale (Mauss). Per Levy Strauss all’origine

degli scambi ci sono strutture inconsce, quindi le azioni non sono

regolate da vincoli e obbligatorietà. Per Douglas ogni società

elabora un insieme di significati condivisi.

Per Marx il consumo rappresenta l’arrivo, la produzione e il punto di

partenza. Il consumo è funzionale al capitalismo a causa

dell’alienazione, che fa sì che le persone perdano di vista i rapporti

sociali di produzione. Ciò porta al feticismo delle merci e a un

duplice valore degli oggetti: valore d’uso legato all’utilità e alle

qualità intrinseche, valore di scambio legato al rapporto

quantitativo. In questo modo le merci finiscono per essere

indifferenti, viene cancellato il lavoro individuale, le merci occultano

i rapporti umani

.

Veblen è il primo a rendersi conto che con lo sviluppo del

capitalismo, cambiano i consumi, sia dal punto di vista qualitativo

che quantitativo. La ricchezza conferisce onore, quindi bisogna

dimostrare il proprio status. Il fine ultimo della proprietà non è

quindi l’accumulazione, ma l’ostentazione. Il denaro diventa il

simbolo della modernità, strumento di libertà che porta a

spersonalizzarsi, fino a raggiungere la solitudine. In tempi recenti il

consumo è considerato una vera e propria categoria sociologica. Il

consumo è un codice (attraverso cui si cerca di appartenere ad una

classe sociale) di classificazione e differenziazione della società, non

è più solo conseguenza dei bisogni.

Le relazioni sociali dipendono da tre variabili: capitale economico,

sociale, culturale. Con il modello post-fordista vi è la tendenza

all’internalizzazione dei flussi commerciali, integrazione

dell’economia globale (retribuzioni più basse, abusi delle imprese

del nord). Le trasformazioni del ruolo dello stato, che si svuota dalla

sue funzioni, si privatizzano le imprese e viene smantellato il

welfare state (per via dei costi eccessivi). La società civile porta a

difendersi da queste trasformazioni creando intrecci di reti sociali ad

alto capitale umano e culturale, questo spazio da vita ad una

ECONOMIA ALTRA e il consumatore diventa consum-attore.

DALLA FALSA COSCIENZA ALLA CONSAPEVOLEZZA DEL

CONSUMATORE

All’inizio degli anni ‘90, con la crisi il quadro dell’economia è

inquietante soprattutto per quanto riguarda la polarizzazione del

reddito mondiale. Le barriere doganali favoriscono i mercati interni

dei paesi industrializzati, creando condizioni sfavorevoli per i paesi

in via di sviluppo. I modelli basati sul ruolo centrale dell’economia di

mercato e dello Stato si sono dimostrati fallimentari e ormai ciò è

evidente, così come è evidente il sopravvento dell’economia

finanziaria su quella reale. Grazie all’annullamento delle distanze, i

paesi industrializzati possono prendere coscienza dell’iniquità, del

dolore, della miseria del Sud. Si diffonde un senso di sfiducia

generalizzata e una fiducia focalizzata verso i singoli individui,

diffusori di fiducia, persone, organizzazioni che attraverso siti,

danno vita alla controinformazione, ci si rende conto che un altro

mondo è possibile se si concepisce in modo diverso l’economia.

Si diffonde una nuova pratica di consumo:

CONSUMERISMO POLITICO (USA, ANNI 60): strumento di

• difesa dei consumatori che danno vita a class actions per tutelare

i propri diritti di fronte alla grande azienda, questi vengono ben

presto assorbiti da più grandi movimenti politici.

E in questo tipo di fenomeno resistenziale che si colloca il

commercio equo e solidale. Un mercato altro può esistere, perché i

mercati sono una costruzione sociale, deve essere un’alternativa al

mercato dominante, per soddisfare il bisogno di giustizia senza

ricorrere all’assistenzialismo o beneficenza.

Lo slogan che viene sempre usato è “FAIR TRADE, NOT AID”

Commercio equo, non aiuto. Il commercio equo e solidale può

essere definito come una libera associazione dei produttori e

consumatori per la ricerca di un prezzo del lavoro umano che

risponda di più ai bisogni v

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A.A. 2012-2013
8 pagine
2 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elerudi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dei processi economici e culturali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Mostaccio Fabio.