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CRISI E TRASFORMAZIONE DEL MODELLO FORDISTA
Con la crisi del welfare entra in crisi il modello keynesiano,
e negli anni ’80 si passa dal modello fordista a quello
postfordista.
Il modello fordista nasce nel 1914 quando Henry Ford
riduce la giornata lavorativa e aumenta il salario, per
incentivare i consumi. Ciò è possibile applicando i principi
di Taylor che sostiene che studiando il corpo umani, i tempi
e i movimenti si può produrre di più, si innalza il livello di
produzione della fabbrica (se prima facevo 100, con le
macchine riesco a farne 120). Con la CATENA DI
MONTAGGIO viene riorganizzato il lavoro, senza
innovazioni. L’obiettivo di Ford è permettere agli operai di
poter acquistare ciò che producono per incentivare i
consumi. Contribuisce alla nascita della SOCIETÀ DEI
CONSUMI; solo inizialmente i lavoratori fanno resistenza a
inserirsi nella catena di montaggio,e i sindacati provano a
ribellarsi a questa alienazione. Questo tipo di problema non
è stato così forte negli Stati Uniti perché i lavoratori erano
immigrati e avrebbero lavorato a ogni costo. Ford è
fortemente contrario all’intervento dello Stato
nell’economia. Nel ’73, dopo una crisi e innalzamento del
prezzo del petrolio, si arriva alla conclusione che il modello
fordista è troppo rigido nel mercato del lavoro e dei
consumi, caratterizzato dalla produzione in scala di bene
standardizzati, iniziano ad essere non venduti, non
permette la personalizzazione. Le esigenze dei lavoratori
non corrispondono più ai temi che circolano nel mercato
(beni macchina). Negli anni ’80 si impone il TOYOTISMO
che introduce l’elemento dello scopo e il principio del JUST
IN TIME, (che dà la possibilità di personalizzare), fare in
modo che ci sia un quantitativo di lavoro per produrre quel
quantitativo di beni richiesto dal mercato. Si passa da un
modello gerarchico (verticalefordista) ad un modello
orizzontale, flessibile, con maggiore facilità di entrata e
uscita dal mercato del lavoro. In questo modo le imprese in
caso di crisi riescono a resistere meglio. Il sistema fordista
si basa sull’esistenza di città-fabbrica enormi a livello
territoriale e per la quantità di lavoratori, caratterizzate da
piazzali per lo stoccaggio. Con la crisi del sistema fordista si
parla di fabbriche integrate che devono ridurre la
diseconomia( quando la combinazione di fattori produttivi,
terra, lavoro, non produce effetti positivi). La fabbrica deve
occuparsi di un preciso aspetto e delocalizzare (per trovare
anche manodopera a basso costo) secondo il principio del
JUST IN TIME. Si crea un mercato del lavoro basato su
NUCLEO E PERIFERIE. Il nucleo del mercato dei lavoratori è
costituito da lavoratori ad alta specializzazione con elevati
compensi. Una prima periferia al nucleo è costituita dal
classico operaio, lavoratore, non specializzato che però
ottengono un contratto stabile. La seconda periferia al
nucleo è costituita da tutti i lavoratori senza
specializzazione che entrano ed escono dal mercato del
lavoro e riguarda anche lavoratori altamente specializzati
che si introducono per la prima volta nel mercato del
lavoro, gente che comunque si accontenta e scaduto il
contratto non pensano a rinnovarlo ma cercano un altro
lavoro. Questo modello inizia ad essere discusso poiché
nella seconda fascia, i lavoratori oggi cercano a tutti i costi
di rimanerci pur di non uscire dal mercato del lavoro. Si
passa ad un lavoro di rete.
DISTRETTI INDUSTRIALI entità socioeconomiche, piccole e
medie imprese collocate in un’area ristretta, si occupano
dello stesso settore produttivo, sono concorrenti tra loro,
ma con spirito di cooperazione, sono più capaci di reagire
alle crisi.
Motivi del successo della 3°Italia (Bagnasco):
Struttura familiare, impiegati sono familiari disposti anche
- a fare sacrifici.
Vocazione a guardare fuori grazie alla presenza di
- IMPANNATORI, di intermediari tra grandi imprese e imprese
locali.
Ruolo della politica, che prevede sgravi e agevolazioni
- fiscali per imprese a conduzione familiare
Amministrazioni locali costruiscono infrastrutture affinchè
- piccole e medie imprese possano raggiungere il decollo.
Queste imprese, che resistono nel tempo grazie alla
flessibilità, sono legate alla tradizione di tipo solidaristico
(coop. rosse nel centro nord-est, bianche nel veneto). I
distretti nascono nell’ambito dell’economia informale, in
assenza di regole e tasse.
ECONOMIA INFORMALE
Una definizione più specifica dell’economia informale, si
può basare su tre dimensioni:
la modalità di produzione di beni e servizi legali o meno;
- il tipo di beni e servizi prodotti anch’essi leciti o meno;
- l’orientamento al mercato della produzione.
- L’economia formale è allora costituita dalla produzione
destinata al mercato di beni e servizi leciti, realizzata
secondo modalità che non violano la legge. Per contro,
l’economia informale è caratterizzata dalla mancanza di
uno o più tali requisiti.
In particolare:
la produzione secondo modalità che violano la legge di beni
- e servizi anch’essi legali viene a configurare la componente
informale che si può definire come ECONOMIA CRIMINALE;
la produzione di beni e servizi leciti, realizzate però con
- modalità che violano in tutto o in parte la legge costituisce
la componente dell’ECONOMIA NASCOSTA;
la produzione di beni e servizi leciti, realizzata secondo
- modalità che non violano la legge, non orientata al mercato
ma all’autoconsumo familiare, individua l’ECONOMIA
DOMESTICA O COMUNITARIA.
A partire dalla seconda metà degli anni 70 l’attenzione
della sociologia economica è andata alla diffusione
dell’economia informale, in particolar modo a quella
domestica e comunitaria e a quella nascosta. Da un lato, è
cambiato il modo di guardare all’elevata diffusione di tali
attività nei paesi meno sviluppati. In assenza di
informazioni e misurazioni precise è difficile dire con
precisione se e in che misura le attività dell’economia
informale sono cresciute negli ultimi decenni. Gli elementi
che hanno contribuito alla diffusione dell’economia
informale sono legati alle DIFFICOLTÀ DEL FORDISMO E
DELLA PRODUZIONE DI MASSA e alle DIFFICOLTÀ DEI
SISTEMI DI PROTEZIONE SOCIALE PUBBLICI.
L’elemento cruciale dell’economia informale è la relazione
sociale. Le reti di relazioni sono essenziali anzitutto perché i
rapporti delle imprese con gli acquirenti finali
presuppongono un elevato grado di fiducia. Il radicamento
territoriale è un aspetto essenziale di queste forme di
economia. È nel territorio che si possono sviluppare meglio
le reti di relazioni e conoscenze che permettono la
mobilitazione delle risorse. Questo spiega perché forme di
economia nascosta sono diffuse in quartieri di grandi
metropoli moderne.
LA NUOVA SOCIOLOGIA ECONOMICA
Confluiscono diversi approcci:
APPROCCIO STRUTTURALE l’azione è socialmente
• orientate, influenzata dalle reti sociali. Per Granovetter
l’inserimento in reti sociali permette la diffusione di
informazioni e fiducia. Le istituzioni sono socialmente
costruite, riflettono i condizionamenti delle reti (TEORIA
DELLE AZIONI)
Questa apertura delle reti sociali a esiti diversi è ben
esemplificata anche dal concetto di CAPITALE SOCIALE, che
si può considerare come “l’insieme delle relazioni sociali di
cui un soggetto individuale o collettivo dispone in un
determinato momento”. Attraverso il capitale di relazioni di
rendono disponibili risorse cognitive, come le informazioni,
e normative, come la fiducia, che permettono agli attori di
realizzare obiettivi che non sarebbero altrimenti
raggiungibili, o lo sarebbero a costi molto più alti. Un
determinato contesto territoriale è più o meno ricco di
capitale sociale a seconda che i soggetti individuali o
collettivi che vi risiedono siano coinvolti in reti di relazioni
più o meno diffuse. Coleman sottolinea poi come il capitale
sociale abbia le caratteristiche di un bene collettivo ed è
contenuto nella struttura delle relazioni tra le persone. Dal
punto di vista dello sviluppo economico è la disponibilità
complessiva di capitale sociale in una particolare area ad
essere rilevante. Ciò spiega perché alcune indagini
identifichino il capitale sociale con una particolare cultura
che favorisce la cooperazione. La prospettiva seguita da
questi lavori comporta due tipi di rischi:
Quello di scivolare in una spiegazione culturalista delle
- origini del fenomeno, che trascura il ruolo dei fattori politici
nei processi di sviluppo;
Quello di non poter distinguere bene tra effetti positivi del
- capitale sociale per lo sviluppo locale e altri che hanno
conseguenze negative. Anche la mafia ha un suo capitale
sociale, che è particolarmente importante proprio in
relazione al carattere illegale della sua attività. Per evitare i
due tipi di rischi bisogna chiedersi non solo se esistono reti
di relazioni sociali legate a strutture familiari, parentali,
comunitarie, religiose, ma in che modo la politica ne
favorisca la trasformazione o meno in risorse positive per lo
sviluppo locale.
NEOISTITUZIONALISMO SOCIOLOGICO mette in evidenza
• il ruolo autonomo dei fattori culturali che contribuiscono a
definire gli interessi. Le regole routinarie, spesso
sottovalutate orientano il comportamento. Una buona
esemplificazione delle conseguenze sul piano applicativo
dei neoistituzionalisti è costituito dal contributo di Powell e
Di-Maggio sull’ISOMOFISMO insieme di attori rilevanti
nelle attività.
La prima forma di isomorfismo istituzionale è quella
coercitiva. Quando l’organizzazione è sottoposta a pressioni
esterne che la obbligano a conformarsi (vincoli di legge,
clausole contrattuali con imprese più potenti, …);
L’isomorfismo, quando la scelta di conformarsi a un
modello dipende dalla consapevolezza della superiorità del
modello stesso;
Infine l’isomorfismo mimetico, quando l’organizzazione
inizia spontaneamente dei processi di imitazione di altre
organizzazioni nel suo stesso settore per fronteggiare
situazioni di incertezza.
I nuovi sviluppi della sociologia economica sono rimasti
centrati sul versante delle attività produttive di beni e
servizi. Non ha ricevuto particolare attenzione i