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Questo sogno si è infranto nel ‘900, a partire dalla prima guerra mondiale, che ha fatto emergere
fratture interne alla stessa figura del praticante.
La diminuzione della pratica religiosa è il primo sintomo di questo fenomeno, avvenuto non
soltanto nel Cattolicesimo, poiché tutte le religioni concettualizzano la pratica in maniera diversa.
Il praticante si sente sempre meno vincolato agli obblighi imposti dalla religione, preferendo invece
deviare verso le proprie scelte personali: egli continua a sentirsi parte della comunità religiosa, però
non accetta alcuna imposizione da essa in termini di fede.
La mobilità che caratterizza il panorama religioso moderno impone la necessità di trovare una
nuova figura che sostituisca quella del praticante: il pellegrino.
Costui costruisce la propria fede attraverso il percorso biografico personale in cui matura diverse
esperienze.
Ogni anno a Taizé, paesino sulle colline della Borgogna, viene organizzato un grande ritrovo al
quale partecipano giovani provenienti da tutto il continente europeo: non tutti sono cattolici
praticanti, anzi nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi che non si riconoscono nelle forme
sociali religiose tradizionali (come quella della parrocchia).
Taizé è uno spazio libero e allo stesso tempo strutturato: i giovani sperimentano una vita
comunitaria anche piuttosto spartana (alloggiano in tende o costruzioni pericolanti) e prendono
parte liberamente alle varie attività che vengono organizzate, prendendo parte attiva alla
preparazione.
A Taizé si può arrivare e partire quando si vuole: caratteristica essenziale è la transitorietà
dell’evento, il suo essere circoscritto a un numero limitato di giorni.
I giovani che partecipano presentano i percorsi di fede più diversi, eppure in quel brevissimo tempo
sentono di appartenere a una grande comunità che va oltre ogni differenza.
I ragazzi di ritorno da Taizé portano quest’esperienza nella loro vita di tutti i giorni, senza però
alcuna finalità religiosa (non devono, per esempio, frequentare più assiduamente la chiesa o la
parrocchia): Taizé va vissuto come un arricchimento personale che porta il giovane ad assumersi
nuove responsabilità verso sé e gli altri. 5
Le due figure del praticante e del pellegrino si trovano agli antipodi, soprattutto per quanto riguarda
il concetto stesso di pratica.
La pratica del praticante è obbligatoria, regolata dall’istituzione religiosa, fissa, comunitaria,
territorializzata e ripetuta.
La pratica del pellegrino è volontaria, autonoma, modulabile, individuabile, mobile ed eccezionale.
Il praticante osserva i principi religiosi aderendo al resto della comunità: durante la funzione
religiosa può anche distrarsi e pensare ad altro, però si trova lì e si sta conformando al
comportamento dei suoi simili.
Il pellegrino compie una scelta individuale che rimane tale anche quando si unisce ad altri pellegrini
nel compimento di un itinerario di fede.
Praticante e pellegrino sono anche due modi diversi di intendere la spazialità della religione: il
praticante vive in una realtà stabile come quella della parrocchia, il pellegrino invece lungo un
percorso che meglio si adatta al carattere di eccezionalità del suo approccio alla fede e che sarebbe
stretta nel contesto pressoché immutabile della parrocchia.
La pratica del pellegrino può istituzionalizzarsi? La risposta è no.
Il carattere temporaneo e speciale dei grandi raduni (Taizé oppure le Gmg) evidenziano come non è
necessario appartenere a organizzazioni religiose oppure avere una fede incorruttibile per potervi
partecipare.
La logica del volontariato individuale prevale sulla mobilitazione istituzionale: è la figura del
“pellegrino fluttuante”, che trova nella partecipazione calorosa ed entusiasta la propria ragion
d’essere, a spiccare simbolicamente in questi raduni.
Nelle Gmg si assiste a un vera e propria “fiera del cattolicesimo”: i vari gruppi e movimenti presenti
offrono ai partecipanti la possibilità di aderire a ciò che preferiscono, esattamente come se si
trovassero al supermercato e ognuno di questi movimenti avesse il proprio stand.
Le Gmg sono concepite come occasione di incontro delle diverse anime della fede, tutte riunite
attorno alla figura del papa: egli agisce da “papa pellegrino” che percorre il pianeta in lungo e in
largo per compiere la sua missione di evangelizzazione.
La parrocchia si limita ad abbracciare il territorio nel quale è situata, mentre il pellegrino vive nella
mobilità il proprio carattere universale. 6
CAPITOLO 4: Figure del religioso in movimento. Il convertito
La conversione è un atto sociale determinato socialmente che dipende dalle disposizioni personali e
dalle aspirazioni degli individui.
Si tratta del passaggio, volontario oppure sotto costrizione, da una religione a un’altra: è prima di
tutto la scelta individuale di un soggetto autonomo.
Esistono tre tipologie di convertito:
convertito che cambia religione: rifiuta un’identità religiosa ereditata o imposta perché
incapace di dare risposte concrete ai veri problemi;
convertito “senza religione” che aderisce a una nuova fede: l’appartenenza comunitaria
prevale sull’identificazione religiosa;
“convertito dall’interno”: riscopre un’identità religiosa vissuta fino a quel momento in modo
formale o conformista.
In tutte le epoche storiche ci sono stati “grandi convertiti” che hanno illustrato come riappropriarsi
della propria tradizione oppure entrarne in una nuova.
L’esistenza della figura del convertito è legata al fatto che egli esprime un’identità religiosa
autentica, frutto di una scelta personale, all’interno di un processo di costruzione di sé.
Nella religione cattolica sono due i percorsi di conversione più praticati:
conversione come ultima tappa di un “lungo errare” (inserimento all’interno di una “grande
famiglia”);
conversione come scoperta della “vita vera” (forza civilizzatrice della tradizione cristiana).
Esiste una differenziazione di classe sociale tra le due forme: la prima è tipica di persone
appartenente alla classe media e al ceto popolare, la seconda invece a borghesi dotati di un capitale
culturale più elevato.
I “gruppi-rifugio” sono creazioni comunitarie che consentono a chi vi prende parte di costruire al
loro interno un insieme di relazioni sociali e interpersonali in aperta contrapposizione alla società
circostante.
In questo senso, la comunità prefigura la nascita di un futuro ordine mondiale nel quale l’individuo
avrà la possibilità di rigenerarsi spiritualmente.
La “utopia della conversione” è meno percepibile nel cattolicesimo, dove la riorganizzazione della
vita personale non implica (salvo eccezioni) una separazione dal resto della società: sono forme di
conversioni “familiari”.
La religione non può pretendere di cambiare il mondo o di regolare la società nel suo complesso,
però è in grado di trasformare gli individui. 7
La secolarizzazione rafforza il significato della conversione: è sempre più centrale la figura
dell’individuo che deve testimoniare direttamente la potenza di un messaggio religioso sempre
meno vicino.
Convertirsi significa abbracciare un’identità religiosa nella sua interezza: la scelta compiuta
dall’individuo non è imposta o ereditata, bensì autentica e voluta.
Le istituzioni religiose, messe di fronte al dilagare di sentimenti d’indifferenza o addirittura di
biasimo nei loro confronti, hanno compreso la necessità di promuovere un cambiamento nel modo
stesso d’intendere la religiosità.
Non tutte le religioni accettano i convertiti allo stesso modo: l’ebraismo è molto rigido e impone un
vero e proprio codice di accesso.
Per quanto riguarda il cristianesimo, esso tende ad essere molto elastico riguardo all’accettazione
dei convertiti, onde evitare di riproporre quell’immagine di istituzione aggressiva che appartiene a
un passato lontano.
Per esempio, si accetta il battesimo degli adulti perché frutto di una scelta consapevole,
contrariamente ai bambini che non hanno facoltà di scelta: questo spiega l’aumento negli ultimi
anni dei battesimi in età adulta.
La chiesa non è più una “comunità naturale” costituita dal solo gruppo di fedeli, ma un insieme
numericamente più ampio e simbolicamente coeso per volontà di tutti.
CAPITOLO 5: Le comunità nel regno dell’individualismo religioso
C’è una differenza importante tra l’individualismo religioso e quello moderno: il primo implica
l’appropriazione personale delle verità religiose da parte di ogni singolo credente, mentre il secondo
riconosce la piena autonomia del soggetto.
L’individualismo religioso impone all’individuo il più assoluto distacco dalla realtà mondana che
ostacola l’unione con il divino.
Con “nebulosa mistico-esoterica” si fa riferimento a un insieme di gruppi spirituali che portano
avanti una religiosità centrata sull’individuo e sulla sua realizzazione personale in questo mondo.
Nessuna autorità può esercitare pressioni dall’esterno e imporre alcuna ortodossia: l’individuo non
deve realizzarsi moralmente, ma accedere a uno stato superiore dell’essere.
Vanno raggiunti quegli obiettivi ricercati dalla società moderna (salute, benessere, vitalità),
rifiutando ogni dualismo. 8
Questi gruppi sono alleati della scienza moderna, la quale esercita un controllo sulla natura,
esattamente come essi mirano a realizzare completamente le capacità fisiche e psichiche
dell’individuo.
Sono gruppi che sviluppano tutte quelle tendenze che si possono individuare nei movimenti di
rinnovamento presenti all’interno delle religioni storiche.
Fino all’Illuminismo si è creduto che Dio fosse vicino e amico degli uomini: da quel momento si
tende invece a respingerlo e ad allontanarlo (corrente del deismo).
Principale sostenitore del deismo è stato il filosofo e scrittore Voltaire, secondo il quale Dio non
interagisce con gli uomini ed è quindi impensabile che abbia delle relazioni con gli uomini.
Insomma, nell’Età dei Lumi sono presenti due poli opposti: da una parte un Dio conoscibile
attraverso il cuore, dall’altra un Dio lontano che consente all’uomo di affermare la propria
autonomia.
È attraverso la transazione tra le due forme che l’indivi