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Disciplina, controllo e speranza
L'obiettivo implicito è persuadere il paziente della gravità del suo male convincendolo al tempo stesso delle possibilità della vittoria finale, e dunque della necessità di cooperare e di accettare con docilità le istruzioni ricevute dagli specialisti. Continuare la terapia significa speranza, smetterla vuol dire che non si può fare più nulla. "La prima mossa è quella che conta": l'imprinting della comunicazione.
Le decisioni comunicative adottate nella prima fase della malattia condizionano pesantemente tutti gli eventi successivi, secondo una sorta di effetto "imprinting" per cui la "prima mossa è quella che conta".
Due dimensioni principali di fiducia:
- Sistemica o impersonale: produzione e stabilità dell'ordine sociale
- Personale: rappresentato da altri attori sociali, relazioni interpersonali
Il medico deve tenere alta la "fiducia" del paziente, che si basa sulla disciplina e sul controllo della malattia, ma anche sulla speranza di una possibile vittoria finale.
fiducia sistemica” del paziente verso il sistema sanitario. Le interazioni tra medico e paziente molte volte cominciano con la domanda: “cosa sa della sua malattia?” Un medico è costretto a continuare a mentire al paziente anche quando constata la presenza di numerose conseguenze negative di quella strategia comunicativa per la salute psichica del malato. Strutturazione organizzativa del sistema di cura, consistono nel: a) riduzione dei rischi di burn-out a cui sarebbero esposti i medici chiamati ad accompagnare il malato fino alla morte. Morte del malato = sconfitta personale del medico ed evento emotivamente doloroso b) dividere la responsabilità tra più medici c) evitare che sorgano conflitti intorno al numero di informazioni da fornire al paziente d) rendere omogenei i criteri di scelta che vengono appresi dai nuovi arrivati, ridurre la complessità dei processi decisionali. Il fatto che i medici sappiano che non devono informare i malati delleprognosi infauste consenteloro di evitare di decidere da caso a caso.Il punto è che il medico conosce troppo poco il paziente, per potere davvero decidere da caso acaso. L'unica alternativa è quella di scegliere tra diverse "politiche della comunicazione": dire laverità a tutti i malati o non dirla a nessuno per:- evitare che sia consapevole del suo destino con la comparazione ad altri malati;- indicare nel corpo del paziente, la fonte della malattia e della resistenza alle terapie dicura.Psicologia medicaLa reazione del malato è imprevedibile, la condizione psichica coinvolge anche il medico, che deveproteggersi ed evitare il burn-out. Il medico si trova in una condizione di "dissonanza cognitiva"quando il malato è un congiunto o quando è giovane.La seconda ragione psicologica per evitare di dire la verità risiede nella particolare natura affettivadel rapporto medico-paziente.La malattia come devianzaILuoghi ospedalieri sono molte volte per il trattamento di comportamenti devianti autorità mediche sui malati. L'organizzazione sanitaria assimila il corpo del paziente ad un oggetto da riparare e restaurare a dovere. Ai confini della modernità: linguaggio della vita e realtà della morte.
2.2 gli infermieri
Professione subordinata e ancillare, questa subordinanza è una delle manifestazioni più chiare di quella dominanza medica di cui ha parlato Eliot Friedson, i suoi elementi costitutivi sono:
- controllo dei medici sul contenuto del lavoro: l'autonomia professionale;
- posizione dei medici di dominio sulle altre professioni sanitarie;
- potere dei medici sui clienti, sugli utenti dei servizi sanitari.
Tousjin parla di dominanza:
- funzionale (diagnosi e terapia);
- gerarchica, scientifica (definizione stessa di salute e di malattia e agli ambiti della medicina in quanto scienza);
- istituzionale (esercitata nei luoghi di formazione delle professioni).
(sanitarie)L'infermieristica è soprattutto una professione femminile. Un infermiere ospedaliero è contemporaneamente un professionista, una persona che si prende cura dei malati (caring: interagire faccia a faccia col paziente, occuparsi di lui in modo solistico, struttura di compiti aperta e flessibile), un membro dell'organizzazione con funzioni relativamente subordinate. La principale fatica del lavoro infermieristico con i malati oncologici consiste nel controllo della fatica emotiva che sorge dal contatto quotidiano con i morenti. Quello del governo delle emozioni è il terreno dove si forma il self professionale degli infermieri. "il self è un prodotto sociale costituito non solo da risposte interiori spontanee, ma da processi di autoconsapevolezza, di autogestione e di automanifestazione che avvengono nel contesto dell'interazione sociale" Kunda.
Il lavoro infermieristico in day hospital. La caposala ha avviato un processo di riorganizzazione,
Organizzazione delle infermiere
Le infermiere sono state divise in due gruppi, a seconda del tumore trattato:
- Tumori "dalla cintola in su": polmonari, testa-collo, cerebrali, mammellari,...
- Tumori alla prostata, all'utero,...
Inoltre, ad ogni infermiera è stata affidata la responsabilità esclusiva di 2 camere.
Privacy dei pazienti
Le infermiere mi hanno fatto notare che l'ospedale è un luogo che viola la privacy di tutti. Un primo criterio di differenziazione dei pazienti è costituito dall'età e dal tipo di tumore sviluppato dal malato, in particolare sull'organo colpito dal cancro. Altre classificazioni riguardano le qualità morali e internazionali dei pazienti:
- Il paziente frettoloso che pensa solo ad uscire il più presto possibile: con questi pazienti è importante mantenere un'efficienza tecnica, riducendo i tempi e il dolore.
- Il paziente disperato che chiede all'infermiere di salvarlo: a questi pazienti va offerta una riflessione e...
Trovare un senso alla malattia.
3. Seduttore non rinuncia alla rappresentazione della sua mascolinità, rifiuta l'assimilazione della personalità alla malattia.
Attività principali delle infermiere: accoglienza dei pazienti al loro arrivo, l'accompagnamento al letto, la pesatura, il prelievo, la somministrazione della terapia, la dimissione.
L'attività più importante però è la somministrazione della chemioterapia, il "buco" nel loro gergo. "Fare un buco" è un'azione sociale che richiede da un minimo di 2 a un massimo di 7-8 minuti in base a delle circostanze oggettive, ed è uno dei momenti in cui l'infermiera e il paziente comunicano di più. Fare un bel buco può voler dire conquistare la fiducia e la stima di un paziente diffidente. I pazienti fanno una classifica di gradimento delle infermiere, così anche le infermiere, quando vogliono
evitare di bucare uno ricorrono a diverse strategie:
- chiedere a una collega di sostituirle
- tattiche di dilazione, lavarsi le mani o sparire dalla circolazione
- scegliere per prime le schede dei pazienti
Quella del bucare è un'azione sociale al centro di un vero e proprio paradosso, che definirei di "rivincita del sensemaking". Le infermiere non credono negli effetti positivi della chemio.
Le infermiere del reparto: 16 letti, 14 infermieri professionali, compresa la caposala (Maura), un infermiere generico e un part-time. Il lavoro è organizzato in 3 turni, mattutino, pomeridiano e notturno, con 2 momenti di saldatura rappresentati dal passaggio delle consegne dove le infermiere descrivono a quelle che subentrano i problemi e le novità. Il più pesante è quello mattutino. Un altro momento critico è la morte di un malato, l'infermiera dichiara l'ora del decesso e chiama il medico che redige il certificato di morte.
2.3
psicologi e volontari
Psicologi al San Michele sono pochissimi e ricoprono un ruolo marginale, non hanno una divisa propria, vengono chiamati solo quando i medici ritengono di trovarsi di fronte ad un paziente "scompensato". Le cure palliative sono state la prima unità ospedaliera ad incorporare al suo interno gli psicologi.
I volontari
Camice verde ed hanno accesso ad alcuni luoghi di retroscena delle corsie. Lo scopo è quello di parlare con i pazienti per alleviare la sua condizione.
Cap. III° I MORENTI E I LORO FAMILIARI
La morte moderna evoca gesti eroici ed esemplari e insieme spaventa ed isola, induce alla menzogna e al silenzio, separa e stupisce.
Insieme alla visibilità pubblica della morte, è venuta meno anche ogni traccia di quella ars moriendi. Non solo non sappiamo più come morire ma non sappiamo neppure più come comportarci di fronte ad un morente. Il morire diventa un'opportunità di libertà, una
Possibilità di disporre termini alla propria vita in un modo autonomo e personale.
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L'assenza di consapevolezza nei rapporti familiari
La morte di un malato di cancro è un evento sociale oggetto di un intenso processo di interazione e di negoziazione. Per i familiari la scelta di dire una menzogna è motivata apertamente dal desiderio di non affiggere il malato con una notizia così terribile, di non fargli subire un altro shock dopo quello causato dalla scoperta della malattia mortale. Essi sono paradossalmente tanto innocui fisicamente quanto pericolosi socialmente. Il medico tende ad allontanarsi dal paziente in fin di vita, mentre il familiare è costretto a continuare la recita fino alla fine.
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Sapere di morire: i malati consapevoli e le loro famiglie
Due ordini di motivazione:
- ontologico: riguardante il significato della morte altrui per la vita dei sopravviventi. La sopravvivenza prolungata rappresenta una sfida fondamentale.
- personale:
personalità individuale del morente
La vista dei morenti costituisce la principale minaccia all'ordine sociale.
Il tempo per i malati perde il suo potere organizzativo e di strutturazione della vita quotidiana e si diversifica drammaticamente: mentre il dolore rallenta il tempo personale del malato, il tempo esterno accelera e fugge via.
Freud dice che la nostra morte è una verità a cui non crediamo mai fino in fondo, di cui non possiamo essere costantemente consci senza che si spenga del tutto l'afflato vitale.
All'interno della "consapevolezza piena" molto rara, si possono distinguere: una "consapevolezza sospesa": la prognosi è stata rivelata ma non viene accettata dal malato; "consapevolezza incerta" ricevuta la notizia non escludono la possibilità di morire, ma continuano a sperare di vivere; "consapevolezza attiva" l'accettazione piena del proprio destino.
L'unità operativa
È guidata da un primario di nomina recente con competenza.